Siamo donne. Ribelli, indipendenti e forti

“Siamo donne, oltre le gambe c’è di più”. Era il 1991, Jo Squillo e Sabrina Salerno si presentavano al Festival di Sanremo con un inedito inno femminista. Trent’anni fa nonostante i dissapori dei critici, il brano è stato accolto da milioni di spettatori, tanto da essere ancora oggi canticchiato dalle giovani e intraprendenti ragazze. Percorrendo questo frangente di tempo ci accorgiamo di quanto poco è cambiato e di quanto ancora è necessario e doveroso fare, per la conquista dell’indipendenza e dell’affermazione femminile.
Il discorso si ripropone nel corso della IV serata del Festival di Sanremo con l’omaggio di Fiorello e Amadeus al brano sopra citato ed il monologo, divenuto appello, di Barbara Palombelli alle giovani donne, baluardo della rinascita di questo Paese: «Ragazze ribellatevi sempre, fate rumore e non arrendetevi mai, anche se il prezzo è molto, molto alto».

Nell’anno della pandemia la chiusura forzata ha rimarcato la separazione dei mondi Maschi vs Femmine, in molti casi segnando profondamente le distanze dalla conquista dei diritti per i quali si è lottato in questi anni.
Le donne hanno dovuto fare un passo indietro a favore di una società maschilista, più prona a ricostituire gli equilibri generali. Queste hanno dovuto fare fronte a lavoro, famiglia e cure sanitarie senza ricevere alcun ausilio o riconoscimento. La giornalista britannica Helen Lewis scrive sull’Atlantic “Quando sento persone che cercano di trovare il lato positivo del distanziamento sociale e del lavoro da casa sottolineando che William Shakespeare e Isaac Newton realizzarono le loro opere migliori mentre l’Inghilterra era devastata dalla peste, la risposta è ovvia: nessuno dei due doveva occuparsi dei bambini”.


Le Nazioni Unite indicano il tema della ‘gender equality’ come il quinto dei 17 Sustainable Development Goals, o SDGs. Inoltre, nel report “The Impact of COVID-19 on Women”, la stessa istituzione evidenzia l’inasprimento delle disparità esistenti e il regresso dei progressi fatti negli ultimi decenni. I numeri parlano chiaro: le donne hanno ricevuto il colpo più grave della crisi pandemica. Molte meno figure femminili occupano un posto di lavoro, il 95% degli uomini in età compresa tra i 25 e 54 anni hanno una occupazione, mentre per le donne della medesima fascia di età la percentuale scende drasticamente al 63%. Per di più la retribuzione economica evidenzia la disparità salariale: in Europa la differenza media nello stipendio è di circa il 15% con una costante tendenza alla diminuzione negli ultimi anni.


È importante ricordare che non è stato solo l’aspetto economico l’unico ambito ad essere colpito. La situazione è preoccupante quando si parla della sfera sociale. Il periodo di lockdown ha sottoposto le donne a una maggiore esposizione alla violenza di genere, dovuta alla necessità\obbligo di convivere nelle mura domestiche. In Italia, dai dati Eures, si stima che nei primi dieci mesi dell’anno sono stati commessi 91 femminicidi (1 donna ogni 3 gg). Un numero che nel complesso appare stabile rispetto agli altri anni, con picchi che sono aumentati al termine del lockdown. Come è possibile? È molto semplice, durante la chiusura forzata sono state ridotte al minimo le richieste di aiuto da parte delle donne, le quali hanno sofferto in silenzio il confinamento diventato una vera trappola.

Il “problema casa” deve essere riaffrontato più volte. Sono le Nazioni Unite ad evidenziarlo e a sottolineare che la chiusura delle scuole, dei doposcuola e dei centri di assistenza delle persone portatrici di handicap ha nel tempo aumentato la quantità di lavoro domestico e della cura alla persona, aspetti che hanno ricaduta incidente sulle donne. Tra i lavori domestici e la cura della famiglia, una donna spende in medica 4-5 h\die non retribuite, contro alle circa 2h\die occupate da un uomo.
L’effetto principale a questa gravante situazione è l’aumento delle dimissioni delle donne lavoratrici per venire incontro alle necessità familiari. L’Ispettorato del Lavoro ha condiviso un dato importante: il numero di neo-papà che hanno lasciato il lavoro per seguire i figli è decisamente inferiore rispetto a quello delle donne, questo spiega la difficile scelta tra rinuncia al posto di lavoro o cura della famiglia, che una madre deve affrontare.


Questa problematica si amplifica soprattutto quando le donne vorrebbero ricoprire ruoli di potere, professioni che necessitano del pieno delle energie come la carriera accademica, il mondo della ricerca. È noto a tutto l’importante divario tra le figure maschili e femminile nella scoperta e nell’innovazione. Dati alla mano, gli uomini pubblicano di più delle ricercatrici, seppure queste ultime abbiano maggiori competenze e siano alla base del progresso. Si possono trovare diverse spiegazioni a questa evidenza: studi confermano che la nascita di un figlio sia la “causa” scatenante il rallentamento delle pubblicazioni da parte di una donna. Motivo per il quale nella nostra società è difficile che non si possa avere una soluzione, basterebbe investire di più sui congedi di maternità e paternità e sui servizi di assistenza all’infanzia in modo da realizzare una vera eguaglianza di genere.

Non di meno, è diventato banale e ricorrente fare appello a giornate quali la Giornata Internazionale della Donna, la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza per ribadire con assiduità diritti in mano alle donne che, nelle nostre società, dovrebbe essere automaticamente concepiti e rispettati.
Le giornate dedicate alle donne dovrebbero invece assumere l’aspetto di un vero palcoscenico dal quale, in queste occasioni, ciascuna di noi possa sentirsi protagonista e possa portare la propria voce raccontando la vita, le giornate spese nella realizzazione delle proprie aspirazioni, dei propri raggiungimenti e conquiste. Una vetrina, non per essere messe in mostra, ma per confrontarsi in modo egualitario e costruttivo con tutta la società.