#WomenInScience!

Come dovrebbe essere noto a tutti, l’undici febbraio di ogni anno è dedicato alla valorizzazione di tutte le donne e le giovani che con il proprio lavoro contribuiscono al progresso scientifico.
Istituito il 22 dicembre 2015, dall’Assemblea delle Nazioni Unite, l’International Day of Women and Girls in Science ricorda e sottolinea un diritto inalienabile di piena parità sociale, culturale e partecipativa.


Non ci deve meravigliare la necessità di rimarcare l’importanza dell’ausilio delle giovani donne nella scienza, campo dominato dagli uomini. Le ultime stime dell’UNESCO riportano che poco meno del 30% dei ricercatori nel mondo sono donne. Non solo, ancor meno sono le ragazze che fin da piccole vengono incoraggiate ad intraprendere la carriera negli ambiti della scienza, tecnologia, dell’ingegneria e matematica meglio conosciute come STEM. Non di meno, in tutta questa minoranza le donne che hanno successo e che raggiungono i vertici degli istituti di ricerca si contano sulle dita di una mano. Sembriamo vivere al passo coi tempi eppure, la nostra cultura ancora non lascia lo spazio adeguato all’ingegno femminile.


L’obiettivo della Giornata è indurre un dialogo costruttivo per incentivare e sostenere “giovani ribelli”. Molteplici sono le iniziative promosse dall’UNESCO, dagli istituti di ricerca e dalle singole università che si fanno portavoce per coinvolgere le istituzioni scolastiche del territorio nazionale.


Il particolare evento pandemico che stiamo affrontando da circa un anno, ha messo un po’ più in luce le figure femminili nella ricerca scientifica. Resta sempre il paradosso del momento: tutti esaltano l’importante contributo femminile nelle corsie di ospedali e nei laboratori di analisi e ricerca ma non ugualmente benvenute e prese in considerazione nelle questioni di gestione dell’emergenza, dove magari una diversa e più materna visione porterebbe a soluzioni.


Prendiamo da esempio, la composizione del Comitato tecnico scientifico (Cts) rielaborata ad hoc per supportare il Capo del Dipartimento nelle attività finalizzate al superamento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Una lista di ben venti esperti, rigorosamente di sesso maschile.
Eppure, la scienza e le cronache raccontano fatti ben diversi. Parliamo del centro di cura e ricerca delle malattie infettive che è l’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, dopo avere ricoverato i primi due pazienti in Italia, affetti da Covid-19, in soli due giorni il gruppo di ricerca ha isolato e descritto il profilo genetico del SARS-CoV-2. A mettere a disposizione della comunità scientifica i dati relativi al virus, un team di ricerca tutto al femminile: la professoressa Concetta Castilletti, la dottoressa Maria Rosaria Capobianchi e la ricercatrice -allora con contratto a tempo determinato- Francesca Colavita. Tre donne e ricercatrici. Successivamente, all’ospedale Sacco di Milano, un secondo team “rosa”, con guida l’immunologa Claudia Ballotta, ha isolato la versione italiana del virus.


Le donne esperte ci sono sempre e soprattutto in questa emergenza sono determinanti. Eppure, la loro presenza è balzata alle cronache di giornali e media come un evento eclatante, una scoperta nelle scoperte. Non a caso la storia delle imprese scientifiche dipinge una “hall of fame” prettamente maschile.


Su più di cinquecento premi assegnati nel corso del XX secolo, solo 17 sono le donne che hanno avuto il privilegio di ricevere un Nobel negli ambiti scientifici. Scelte discriminatorie che hanno ancor di più penalizzato quelle ricercatrici che hanno collaborato in modo determinante alla realizzazione di un progetto di ricerca, poi premiato. Aumenta così notevolmente il numero di “Nobel mancati” a quelle donne che hanno sviluppato idee dal valore particolarmente importanti e che non sono neanche ricordate.


Rosalind Franklin (1920-1958) ricercatrice valorosa della biologia molecolare, prima donna e scienziato a fornire le prove della struttura della doppia elica del DNA. Ricordiamo tutti la foto e il Nobel per questa scoperta che però porta il nome di Watson e Crick. Molti anni dopo fu lo stesso Watson ad affermare che solo grazie alla fotografia scattata dalla Franklin, per mezzo della diffrazione ai raggi X, era stato possibile descrivere la struttura tridimensionale del DNA.


Andando a ritroso nel tempo, deve essere ricordata Ipazia (370-415 d.C.), figlia del matematico e filosofo Teone, uccisa barbaramente da monaci perché tanta genialità matematica in una donna poteva sembrare indice di empietà.


Mary Jackson, matematica afroamericana e ingegnere assunta dall’agenzia spaziale statunitense. Con i suoi calcoli contribuì a lanciare la corsa nello spazio. Il suo nome è divenuto celebre per il film “Il diritto di contare” tratto dal libro Hidden figures.


Marie Curie-Sklodowska, scienziata polacca affermata negli ambiti della fisica e della chimica. L’unica donna a ricevere due premi Nobel. Eppure, si racconta che quando chiesero alla Curie cosa provasse ad essere sposata con un genio, lei rispose “chiedetelo a mio marito”.


Un divario di genere che trova ancora oggi origine dai pregiudizi che permeano le nostre società. Dalle analisi dei dati si osserva una tendenza delle donne a dare un maggiore rendimento in termini di regolarità degli studi e punteggi alti di laurea che però analizzati nel dettaglio evidenziano molteplici fattori sociali, culturali e qualitativi che dissuadono le ragazze ad intraprendere o perseguire carriere STEM.


Bisogna investire nelle giovani donne per svecchiare la burocrazia e immaginare un futuro più competitivo. Questo messaggio è stato fatto proprio dalla maison Bulgari, dove sostenibilità e promozione dei prodotti hanno incrociato le strade della ricerca scientifica e del ruolo delle donne nel management.
Con l’avvento della pandemia la maison romana ha convertito le produzioni di fragranze con igienizzanti per mani poi donati a diversi ospedali. Non è finita qui. È nato il fondo Bulgari Virus Free, una organizzazione no profit che appoggia la ricerca scientifica, le donne e finanzia strategie innovative per la cura dai virus. In accordo con l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Spallanzani – a cui Bulgari ha donato quote per l’acquisto di un microscopio ad alta tecnologia – il Jenner Institute della Università di Oxford e la Rockefeller University è stato messo a punto il vaccino Astra Zeneca.
Quella della maison è una missione al femminile. In Bulgari si conta circa il 62% di manager donne. Motivo in più per lanciare nel contesto del brand di gioielli la Bulgari Women & Science Fellowship in COVID-19 Research: borse di studio a supporto dei nuovi talenti scientifici femminili che insieme al Bulgari Clinical Fund collaborano per lo sviluppo e la sperimentazione attiva nella lotta al COVID-19.


Crediamo nelle donne, in un mondo rosa che può fare la differenza. Nonostante le difficoltà incontrate, molte scienziate ogni giorno danno importanti contributi all’innovazione. Partendo da uno sguardo al passato dove potevamo contare un totale di circa 20 scienziate donne, investiamo in un futuro di ricercatori al femminile. Invertiamo le tendenze: #WomenInScience !