Lunastorta e “Giulia”, la canzone manifesto contro il patriarcato e il femminicidio

Classe 2003, la cantautrice cosentina si racconta tra sogni e impegno sociale

Silvia Alejandra Salituro, in arte Lunastorta, classe 2003, è una cantautrice cosentina che, seppur così giovane, già sa coniugare passione per la musica e impegno sociale. Lo dimostra il singolo “Giulia”, manifesto contro il patriarcato e il femminicidio ispirato alla tragica storia di Giulia Cecchettin. L’intento della canzone non è solo quello di chiedere a gran voce giustizia per Giulia, ma anche denunciare ogni forma di violenza contro le donne e richiamare all’unità, alla sorellanza e alla necessità di cambiamento. Conosciamo da vicino questa giovanissima artista.

Come hai scelto il tuo nome d’arte?

«Devo ringraziare le mie amiche. Stavo cercando un nome d’arte e loro mi hanno dato una mano. Lunastorta nasce perché, sostanzialmente, sono sempre arrabbiata e ho la luna di traverso. Ma ha anche un sacco di significati dietro che vanno da mio nonno Giovanni, perché guardavo sempre la luna con lui, al mio amore per la luna, passando per quello che è il mio stato d’animo perenne cioè con la luna storta».

Lunastorta

Come sono nate la passione per la musica e la voglia di farne di tua?

«Canto da sempre, sin dalle recite di scuola (ride, ndr), ma ho iniziato a farlo seriamente quando mi sono detta “ho un problema, non so come fare, devo scriverne”. Infatti, la mia prima canzone è stata quella che parla del mio disturbo alimentare. È una passione nata da un bisogno. Ho sempre avuto questa voglia di scrivere e cantare, come diceva mia nonna ce l’ho sempre avuta nel sangue, ed è diventata una vera e propria necessità».

Come nasce una tua canzone?

«Sono molto istintiva, soprattutto per quanto riguarda i testi. Quando ho l’esigenza di scrivere mi fermo e scrivo ovunque io mi trovi, anche in treno magari. Butto giù melodie o frasi oppure ancora testi e da lì nascono quasi tutte le mie idee. Non ho un processo di scrittura che seguo sempre, ma scrivo ciò che sento e poi segue la melodia, oppure ancora mi siedo al pianoforte e da lì nasce tutto».

Quali sono gli artisti a cui ti ispiri?

«Nella scena indie italiana – è un cliché, lo so – sicuramente Calcutta. Sin da piccola sono sempre stata legata a Kurt Cobain, anche perché la sua non è stata una vita semplice. E Loredana Bertè».

Com’è nata “Giulia”?

«Giulia è stata scritta per contrastare, nel mio piccolo, il patriarcato, la violenza di genere e gli abusi che subiamo in quanto donne. Nasce dopo la notizia del femminicidio di Giulia Cecchettin, 103° donna uccisa dal patriarcato nel 2023, o più comunemente uccisa da un amore tossico, malato. È giusto dare il giusto peso alla parola patriarcato e a quello che porta con sé. Mi ero stancata di non riuscire a fare niente, di non dare un mio contributo anche a livello musicale, perciò ho scritto “Giulia” e ho cercato di fare uscire fuori tutto il dissenso e la rabbia che avevo per quello che sta succedendo. Sono consapevole che la canzone è innanzitutto un inno di sorellanza, perché accomuna un sacco di persone. Siamo furiose, perché non far vedere la nostra rabbia?».

Pensi che la tua canzone, come le manifestazioni e le azioni messe in campo dopo il femminicidio, possano non solo risvegliare la coscienza generale, ma essere anche di aiuto alle ragazze che si trovano in situazioni di pericolo oppure non hanno ancora capito di essere potenzialmente in pericolo?

«Certo che sì, possono aiutare. Le canzoni, le poesie e le manifestazioni nascono con una consapevolezza dietro e con l’intento di denunciare e chiedere aiuto, quindi perché non mettere in allarme su tutto ciò che sta succedendo? Sia a livello sociale che personale».

La musica quindi non è solo lavoro per sé stessi, ma anche per chi ascolta?

«Sì. Io faccio musica per me stessa perché è una necessità, ma lo faccio con la consapevolezza di poter aiutare qualcun altro, quindi oscillo in questa ambivalenza. Ho scritto Giulia da donna per le donne, ma anche da persona per tutte le persone che devono essere consapevoli di quello che succede oggi nella nostra società».

Credi che la musica possa avere di nuovo un valore e un intento sociale?

«Sì, ovviamente questo varia da generazione a generazione e a seconda delle sensibilità. Come abbiamo visto durante il Festival di Sanremo, da una parte c’è stato il riscontro positivo per i messaggi inviato dai più giovani, mentre il pubblico più adulto non ha gradito».

Sei giovanissima, sei rimasta al Sud: quali sono le difficoltà nel fare musica da qui?

«La musica, per quanto si possa muovere, per quanto ci siano anche al Sud collettivi culturali e musicali, qui è complicata da gestire. Io stessa vado a Roma per registrare: qui c’è un filone che vira verso il cantautorato e non tutti sono sulla mia stessa wave che abbraccia indie-punk, punk-rock e indie-rock. Nel mio caso personale per questo motivo tendo a spostarmi, perché non ci sono le persone adatte qui con cui collaborare. Tuttavia, per fortuna qui a Cosenza ho incontrato Paolo Pasqua, in arte “L’ennesimo”, che ha prodotto Giulia. È uno dei rari casi in cui ho fatto ciò che piace a me qui, avendo al mio fianco una persona esperta che faceva la mia stessa musica. Interfacciarsi qui è difficile, certo si può trovare la persona adatta, ma è molto più complicato».

Avverti l’esigenza di andare via oppure rimarresti comunque al Sud?

«Ora come ora direi che scapperei a Roma anche domani, ma sono anche arrivata alla consapevolezza che, certe volte, quando magari sono lontana per un po’ più di tempo avverto la mancanza di questo posto. Però no, non ci rimarrei per tutta la vita. Avverto proprio la necessità di scappare da dove sto».

Quali sono i progetti in cantiere e quali i sogni?

«Sta per uscire un’altra canzone importante, a cui tengo molto, ma non possiamo svelare di più. Il sogno? Vivere di quello che sto facendo».

Così giovane, eppure con le idee già così chiare, Silvia – in arte Lunastorta – rappresenta al meglio una generazione che ha deciso di non stare più a guardare, di partire dalla provincia per inseguire un sogno che passa anche dal racconto di sé, delle proprie fragilità, dalla rabbia e dall’attivismo.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni