Donne e diritti: manifestare sia un diritto per tutte

“Mi chiamo Martina e sono discriminata, sono discriminata perchè donna, sono discriminata perché sono una donna disabile, è perchè sono una donna che lavora in un contesto di cura e oggi sciopero insieme a voi tutte e tuttu, pechè solo insieme a voi, posso sperare nel mio, nel nostro riscatto”.

Queste le parole di Martina Pasquali, attivista del Disability Pride Network, persona ipovedente che lavora nell’ambito sociale e di cura, parole pronunciate durante la manifestazione dell’8 marzo a Roma, insieme alle donne di Non una di Meno e le tante realtà che hanno deciso di unirsi per marciare insieme. É stata, forse per la prima volta, una lotta davvero transfemminista che ha visto coinvolte anche le donne con disabilità. Il percorso per arrivare a questo risultato è iniziato in realtà all’indomani della manifestazione del 25 novembre dello scorso anno, organizzata dallo stesso collettivo, corteo che si era rivelato inaccessibile alle donne con disabilità, come denunciato dalle due attiviste Marta Migliosi e Ambra Zega, in una lettera aperta pubblicata il giorno seguente, che oltre ad una raccolta di sottoscrizioni, aprì un percorso di confronto e discussione, su come rendere inclusive le manifestazioni di piazza, perché tutte le persone hanno diritto di scendere in piazza per rivendicare i propri diritti o unirsi nel sostegno alle rivendicazioni degli altri gruppi sociali.

Il problema della difficoltà di manifestare è un problema antico, perchè significa il primo passo verso un riconoscimento sociale, verso il riconoscimento di uno spazio come proprio, ed è ancor più importante per le persone con disabilità, che nello spazio, nei luoghi trovano, spesso le barriere più evidenti e concrete.

Così da quel primo incontro si è iniziato a pensare alle strategie concrete da mettere in atto, si è posta quindi attenzione alla costruzione del percorso del corteo, con visite preliminari, per accertarsi che questo non presentasse barriere architettoniche, come scalini, dislivelli eccessivi, o pavimentazione sconnessa. Si è posta poi attenzione al tempo di percorrenza che non fosse eccessivamente lungo, ma l’attenzione non deve essere posta solo alle barriere fisiche ma anche a quelle sensoriali, relazionali e cognitive. Perciò è necessario pensare, per esempio, ai percorsi senso-percettivi per le persone non vedenti che, attraverso il percorso tattilo plantare riescono ad orientarsi nelle nostre città, purtroppo questi spesso mancano sulle nostre strade, ma organizzare una manifestazione inclusiva, vuol dire porre attenzione anche su questi elementi, soprattutto quando questi mancano, come anche ai supporti sonori per le persone sorde. Bisogna conoscere gli ausili e i supporti che le persone utilizzano per muoversi, penso ai bastoni e ai cani guida per chi non vede, alle carrozzine manuali o elettriche per chi ha una disabilità motoria, o anche a deambulatori e bastoni di vario tipo, e tanti altri strumenti.

Ma bisogna aprire le manifestazioni anche a persone con disabilità complesse che necessitano di ausili, ad esempio, per la respirazione e hanno bisogno, di assistenza continua, quindi pensare anche a volontari competenti che possano supportare le persone singole o le famiglie durante il corteo. Pensiamo poi alle persone neurodivergenti che hanno bisogno di zone più tranquille per riposarsi dall’ipersensorialità che si crea in eventi come quelli di cui stiamo parlando.

L’8 marzo 2024 è stato un giorno diverso da quello degli anni passati, dove il tema dei diritti e della violenza sulle donne è stato più pressante che mai. L’omicidio di Giulia ha sicuramente colpito le coscienze di tanti, il fatto di avere di fronte un Governo di destra che non sembra avere in cima alla sua agenda i diritti delle donne. È molto presente infatti, per esempio il tema della chiusura o accorpamento dei consultori che subiscono continui tagli, la difficoltà di veder riconosciuto il diritto all’aborto, oppure alla conciliazione tra la famiglia e il lavoro, ricordiamo che in Italia, il congedo di paternità è di pochi giorni, mentre in Francia è quasi paritario. Se poi prendiamo in considerazione i diritti delle donne con disabilità vediamo che le discriminazioni si moltiplicano, in quanto donne e in quanto donne con disabilità. Pensiamo a quanto può essere difficile accedere alle cure, a causa della mancata accessibilità di studi medici e attrezzature, quanto è difficile per una donna con disabilità, solo pensare di avere un figlio, conciliare le responsabilità della cura della famiglia, con le proprie esigenze personali. Se aggiungiamo poi il tema del lavoro per le donne con disabilità, quando i dati ci dicono che il 20% delle donne con disabilità  ha un lavoro a tempo pieno rispetto al 29% degli uomini con disabilità, e al 48% delle donne senza disabilità e al 64% degli uomini senza disabilità.

Potremmo continuare a lungo a parlare di disparità tra donne con e senza disabilità. Non dobbiamo poi, come ci ricordava Martina Pasquali, che sulle donne ricade tutto il lavoro di cura, che, se non viene fatto da loro, non viene fatto da nessun’ altro, e questo ha ricadute pesanti sulle possibilità di realizzazione personali e professionali delle donne caregiver. Queste ultime colmano un vuoto che dovrebbe essere riempito dai servizi territoriali, nei diversi ambiti: assistenza personale, scolastica ecc…

Per una manifestazione davvero inclusiva bisogna far sì che questi siano luoghi sicuri e accoglienti anche per le persone LGBTQ plus, una comunità, che, come sappiamo, subisce discriminazioni in tanti ambiti sociali.

Dare la possibilità a tutti i gruppi sociali di rivendicare la propria presenza, e ad ogni persona di esprimersi in piena libertà, in relazione a tutte le differenti identità che convivono in ognuno di noi significa lottare per creare davvero, città e luoghi per tutti, grazie ad un movimento dal basso, che con il supporto delle istituzioni può cambiare pian piano il mondo.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni