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Intelligenza artificiale, tecnologie che non sostituiscono il mondo reale

Quali sono i rischi e le opportunità per le persone con disabilità

L’intelligenza artificiale è ormai entrata far parte delle nostre vite in tanti campi, potremmo dire forse tutti. È parte integrante dei nostri cellulari e smartphone con possibilità di geo-localizzare luoghi e persone, riconoscere volti e corpi, ma vi sono applicazione in ambito industriale, medico e tanti altri: pensiamo, per esempio, agli esoscheletri che si possono comandare a distanza o altre applicazioni legate alla comunicazione a distanza. Vi è poi sicuramente la domotica, che permette di controllare quello che accade nelle nostre case o l’attivazione degli elettrodomestici con un semplice comando vocale.

Negli ultimi tempi si è parlato tanto degli effetti dell’intelligenza artificiale sull’apprendimento con strumenti come ChatGPT, che è capace di produrre testi elaborando una mole enorme di dati.
Tutto ciò influisce anche sul mondo della comunicazione dove è possibile creare testi e immagini e quindi fake news. Sicuramente l’intelligenza artificiale è una grande opportunità, per esempio, per le persone con disabilità che possono aumentare di molto il loro livello di autonomia grazie proprio alle tecnologie assistive e alla domotica.

Recenti studi e dibattiti dimostrano l’importanza proprio di strumenti come le tecnologie assistive, in cui l’intelligenza artificiale ha un ruolo fondamentale, al punto che oggi sono tanti i centri studi che si occupano di questi temi, a partire dall’OMS. Quello a cui bisogna fare attenzione, però, è che l’intelligenza artificiale sia elemento di inclusione, quindi tutti i progressi che vengono portati avanti puntino alla socialità, alla relazione con gli altri e al creare comunità. Per il mondo del lavoro, per esempio, l’intelligenza artificiale deve essere strumento per avere nuove opportunità, contatti, legami e nuove reti, deve combattere quindi l’isolamento. Nel periodo della pandemia abbiamo visto i danni causati dall’isolamento, dalla mancanza di legami, relazioni vere e reali: dobbiamo lavorare quindi affinché le tecnologie e l’intelligenza artificiale siano più inclusive possibili, siano occasione di uscita dal guscio, dalle proprie sicurezze. La tecnologia, insomma, ci deve dare l’occasione di scoprire il mondo.

In ambito lavorativo e in qualsiasi altro, l’elemento imprescindibile deve essere l’aprirsi a nuove possibilità. Dobbiamo riappropriarci dei luoghi, delle strade, che devono tornare a essere quelli nei quali ci esprimiamo, costruiamo il nostro presente e il nostro futuro.
Oggi si parla tanto di società liquida, disgregata, con un gran bisogno di identificarsi in qualcosa: dobbiamo tornare a farlo nei luoghi, stando insieme agli altri, mettendoci alla prova, scendendo in campo come dei giocatori, prendendo i rischi e la bellezza del campo aperto.

La pandemia ci ha insegnato quanto ci sia mancato tutto questo, che ha avuto gravi conseguenze psicologiche e sociali soprattutto per le persone con disabilità.
Dopo il terribile periodo del lockdown non dobbiamo abituarci, arrenderci a un mondo che si esprime attraverso schermi, tablet o connessioni soltanto digitali. Dobbiamo accettare lo sforzo di uscire di casa e affrontare il mondo esterno, quello reale, fatto di sguardi veri, sorrisi, fatti della chimica vera che si crea nel contatto ravvicinato gli uni con gli altri.

In questi giorni proprio sui social stanno circolando i messaggi degli studenti che salutano i loro professori alla fine del ciclo di studi: il successo di questi video forse è dato dal riconoscere in quel momento della vita, quel momento di condivisione di un luogo, di uno spazio, che nei momenti belli e anche in quelli brutti, dice “questo è il tuo posto adesso” e il motivo per cui vale la pena alzarsi ogni mattina e affrontare il giudizio degli altri – che può essere anche essere estremamente negativo – ma sarà un’occasione di confronto e crescita, purché avvenga nel rispetto reciproco. Tra quei 20-25 compagni di classe e quella decina di professori troveremo sicuramente quello sguardo, quella parola, quella distrazione che ci sarà servita per andare avanti, per non ripiegarci su noi stessi e andare oltre.
Ebbene, questo vale a tutte le età: vale per i giovani di cui tanto ci lamentiamo perché su questi social “perdono” il loro tempo, provocando a volte grandi tragedie come accaduto poco tempo fa vicino Roma con l’incidente stradale costato la vita ad un bambino, causato da una sfida social.
Se vogliamo che simili tragedie non si ripetano, dobbiamo dare opportunità vere e reali ai giovani, non dicendo loro che sono il nostro futuro, ma dimostrando concretamente che loro sono il nostro presente.
Facciamo fare loro la gavetta, certo, ma che questa sia reale, non fatta di lavori intermittenti o non retribuiti.

Oggi si fa un gran parlare di un lavoro come un qualcosa di cui in fin dei conti possiamo fare a meno, che anzi ci dà solo costrizioni e obblighi, qualcosa che toglie a noi spazio vitale, energia, tanto che tante persone negli ultimi tempi hanno lasciato il loro impiego visto come una prigione.
Dovremmo vedere il lavoro come opportunità, energia che si può sprigionare e crescere. Quello per cui dobbiamo batterci e per avere più diritti, che vuol dire anche più relazioni, fatti di sentimenti gioie e paure.

I giovani, anche quelli con disabilità, hanno bisogno di costruire un proprio percorso di vita, che è fatto anche di lavoro, un lavoro che non sia sfruttamento ma dove ognuno possa esprimere il proprio essere, la propria creatività, ma per farlo davvero c’è bisogno di continuità e possibilità di avere certezze. Perciò teniamo insieme tecnologia e realtà perché solo così avremmo una società sana, capace di amare e esprimere tutta la gamma dei sentimenti, che non avrà paura del confronto e del giudizio, ma sarà capace di affrontarlo e cambiare, semmai, opinione su di sé e gli altri.
Non accomodiamoci di fronte a uno schermo, non perdiamo la voglia di scoprire.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni