Quattro personaggi in cerca di Achille Lauro

La storia che il cantante ha portato a Sanremo nelle simbologie dei suoi abiti

Quest’anno c’è un concorrente del Festival di Sanremo che non ha vinto, non era sul podio e neanche tra i primi cinque della classifica finale, eppure è sulla bocca di tutti, e ha confermato lo status di personaggio rivelazione della scorsa edizione, in cui aveva travolto l’indignata redazione di Striscia la notizia con la sua Rolls Royce.

Quel concorrente è Achille Lauro.

Nato Lauro de Marinis e cresciuto nella scena rap underground di Roma, decide presto di distaccarsene, non apprezzando il machismo tossico che lo caratterizza. Ne ha parlato meglio recentemente, asserendo: “Ho avuto a che fare per anni con ’sta gente volgare per via dei miei giri. Sono cresciuto con ‘sto schifo. L’aria densa di finto testosterone, il linguaggio tribale costruito, anaffettivo nei confronti del femminile e in generale l’immagine di donna oggetto con cui sono cresciuto.”

Queste sono le motivazioni dietro la scelta di vestirsi mescolando capi maschili e femminili, di truccarsi e di esibirsi per intrattenere- sempre affiancato dal suo produttore e amico Boss Doms- anche degenerando in un leggero queerbaiting, che non è stato risparmiato neanche da altri concorrenti del Festival (vedi l’esibizione di Elettra Lamborghini con Myss Keta nella serata delle cover di giovedì), ma che assume toni rivoluzionari considerando il contesto conservatore dell’Ariston.

Achille Lauro, però, ha fatto molto di più, perché si distingue non solo per il suo stile eccentrico ma per la scelta di adottare strategie di comunicazione che vanno a delineare una trama e uno stile orizzontale in ogni sua produzione musicale. Per sua ammissione, fatta nella puntata di Domenica In che segue la finale, non ha partecipato al Festival per vincere, ma per trasmettere un messaggio e intrattenere nel senso più puro del termine.

Con l’ultimo album aveva adottato l’estetica anni ‘90, palese nel ritmo del suo singolo chiamato- appunto– 1990, ma con Sanremo ha voluto “scoprire” ogni sera un nuovo personaggio, con un messaggio proprio, che era rivelato dopo aver decodificato l’indizio pubblicato sui suoi social nel pomeriggio precedente alla performance serale. Li ho raccolti per spiegarli in breve.

San Francesco d’Assisi

La canzone Me ne frego, dal testo e messaggio “punk”, cantata col tono strascicato e scazzato tipico delle sue sperimentazioni con i generi musicali, è una canzone forse dimenticabile, ma che nella sua imperfezione- se avesse voluto vincere avrebbe portato C’est la vie, singolo acclamatissimo- ha permesso che l’attenzione fosse interamente concentrata sui suoi look. Vestito Gucci, i messaggi e valori trasmessi ripropongono la filosofia dell’artista e del direttore creativo della casa di moda, Alessandro Michele, nonché fautore della rinascita del brand stesso da quando ne ha assunto il comando nel 2015. Nella sua prima esibizione, Achille Lauro ha vestito i panni glam di San Francesco D’Assisi, con una mantella adornata a replicare lo sfarzo dell’iconografia cattolica, per poi rimuovendola a metà esibizione, rivelando un’attillata tuta glitterata. Il gesto vuole simboleggiare l’episodio in cui il santo abbandona il suo status privilegiato e letteralmente si “spoglia” dei beni materiali.

Ziggy Stardust

Non essendosi esibito nella seconda serata, lo ritroviamo nella serata delle cover di giovedì, il look viene annunciato da un fulmine, che non lascia dubbi: David Bowie, anzi Ziggy Stardust, l’alter ego che permetteva al cantante inglese di giocare con la fluidità di genere e il suo orientamento sessuale- un approccio di grande ispirazione per Achille. La particolarità della sua esibizione non è data, però, tanto dal suo completo, trucco e parrucco, ma dalle sue azioni: durante l’esibizione, vestito più verso il maschile che il femminile, canta Gli uomini non cambiano con Annalisa, a cui lascia il quasi totale controllo della canzone, non solo per capacità superiore (anche se ciò in passato non ha mai fermato altri suoi colleghi maschi dalla ridotta estensione vocale), ma posizionandosi sul palco un “passo indietro” rispetto a lei, quasi a fare da riflesso alle controverse dichiarazioni di Amadeus, il presentatore del Festival, lanciando il messaggio che sui temi femminili la prima voce da ascoltare dev’essere quella delle donne, proprio perché raramente messa in risalto.

Marchesa Luisa Casati

La quarta sera, con un look che istintivamente faceva pensare a Renato Zero o all’outfit di Cher agli Oscar del 1986, ha voluto richiamare la figura di Luisa Casati, nobildonna e collezionista d’arte italiana, nota per essere la musa di diversi artisti tra cui Gabriele D’Annunzio. Opera d’arte vivente e donna dalla forte eccentricità, la sua figura viene sfruttata da Achille per ribadire il rifiuto del binarismo uomo/donna, esibendosi con movimenti espliciti intorno a Boss Doms, cui applica anche il rossetto a fine pezzo, il “filo di trucco” che separa i due generi.

Elisabetta I

Nella finale conclude la sua performance in grande stile. Vestito con un abito che va a modernizzare l’ampolloso stile della Regina Elisabetta I d’Inghilterra, Achille sfoggia perle vistose in viso e una parrucca rossa che va a imitare l’acconciatura della monarca, figura iconica apprezzata dall’artista e da Alessandro Michele in quanto donna che è riuscita a governare e a farsi valere a dispetto della cultura maschilista in cui è cresciuta e il cui amore per l’arte ha permesso ai più famosi artisti britannici di avere successo durante il suo regno- uno su tutti William Shakespeare. Una donna forte che non si è piegata ai ruoli imposti e ha fatto del suo ruolo una missione di vita, dedicandovisi fino alla morte, rinunciando anche al matrimonio, proprio perché “sposata” con la patria.

Quattro look, quattro messaggi, quattro interpretazioni e numerose influenze, sono il risultato di questo viaggio sanremese di Achille Lauro, che ha voluto concludere la sua esperienza spiegando il filo conduttore che legava i suoi personaggi, i suoi messaggi. La sua strategia rappresenta una svolta nel panorama pop italiano e si adegua allo stile delle grandi star internazionali, che del cambio di narrazione ed estetica hanno fatto una filosofia, abbracciata qui per la prima volta da un romano che rifiuta binarismi di genere e il maschilismo proprio della realtà in cui è cresciuto, un ragazzo che vuole essere specchio dell’Italia che vuole intrattenere, osando e mettendo in scena uno spettacolo che rimanga al pubblico nelle settimane, mesi e magari anni a venire:

Un anno fa ho iniziato ad immaginare la mia musica in modo diverso:
volevo creare una performance artistica che suscitasse emozioni forti, intense e contrastanti, qualcosa che in pochi minuti fosse in una continua evoluzione visiva ed emotiva. Un piece teatrale lunga 4 minuti. “Me ne frego” è un inno alla libertà sul palco piu istituzionale d’Italia. La mia speranza è che potesse scuotere gli animi degli insicuri e le certezze di chi è fermo sulle sue certezze, perchè è sempre fuori dalla “zona comfort” il posto in cui accadono i miracoli. Me ne frego é un inno alla liberta di essere cio che ci si sente di essere. Me ne frego, vado avanti, vivo, faccio: questo è il messaggio che ho voluto dare con la canzone, è questo e il senso vero della scelta dei personaggi che io, il mio coodirettore creativo Nicoló Cerioni e il mio manager e responsabile progetto Angelo Calculli abbiamo pensato di portare sul palco dell’Ariston. Menefreghisti positivi, uomini e donne liberi da qualsiasi logica di potere personale. Un Santo che se ne è fregato della ricchezza e ha scelto la “libera” povertà, un cantante che se n’è fregato dei generi e delle classificazioni sessiste, una Marchesa che a dispetto del suo benessere ha scelto di vivere lei stessa come un’opera d’arte, diventando una mecenate fino a morire in povertà e una regina che ha scelto la morte, evitando di curarsi abdicando, pur di restare li a proteggere e vivere per il suo popolo.

La condizione essenziale per essere umani è essere liberi.

Achille Lauro