Le Defixiones : voci di odio e mistero dall’Antica Roma

Di Maria Letizia Stancati



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L’odio è un sentimento umano che si manifesta in molteplici modi, sensazioni.
Ognuno di noi è certo di aver odiato, almeno una volta nella vita, qualcuno o qualcosa, senza in realtà pensarlo per davvero.
Perché l’odio è qualcosa che va oltre, è qualcosa di estremo, irrazionale.
Odiare i broccoli, il colore arancione, il professore di chimica del liceo, la signora davanti a te in fila al supermercato, l’assistente che ti ha bocciato all’esame, sono soltanto piccole, anzi minuscole manifestazioni di odio.
Di certo, esso non è uno dei sentimenti più nobilitanti per l’essere umano, in quanto potrebbe condurre a compiere anzioni non del tutto lecite (mariti che odiano le mogli – e poi le uccidono, o viceversa ) e ci inducono a credere che tutto ciò che proviamo e sentiamo sia frutto dell’odio.
Nonostante ciò, l’odio è un sentimento provato da tutti, in un modo o nell’altro, e le forme di renderlo pubblico sono state molte fin dagli albori della nostra civiltà.
In generale, hanno parlato di odio scrittori, poeti, cantanti, e lo hanno fatto sempre in una maniera quasi edulcorata, nel senso che hanno cercato di plasmare il loro odio a seconda delle esigenze.
Invece, tornando indietro di un bel po’ di anni, riscopriamo una forma di odio che risale all’Antica Roma, proprio quella dei nostri antichi padri, di coloro i quali hanno plasmato la nostra cultura in modo irreversibile.

defixio
Parlo delle defixiones, testi incisi su tavolette di piombo, strettamente legate a rituali che potremmo definire quasi di “magia nera”.
Il termine defixio deriva da defigere , che significa “piantare energicamente, inchiodare ma anche “fornire a qualcuno demoni cattivi”.
Il corrispondente termine greco è κατάδεσμος dal verbo κατάδειν “vincolare, legare verso il basso” che attesta la volontà di voler privare del movimento il destinatario del maleficio.
Le tavolette contenevano principalmente maledizioni verso un determinato individuo, che più comumente era un nemico, qualcuno che aveva fatto un torto.
Si potrebbero paragonare a delle bamboline voodoo, in quanto rituali volti alla sofferenza per chi sta dall’altra parte.
Il “defigens”(colui che compie l’anatema) tramite questo rito segreto e intimo, manifestava i suoi sentimenti di rancore e odio verso un secondo (o anche gruppi di persone), con lo scopo di immobilizzarlo, di renderlo morto quando ancora in vita.
Erano incise sul piombo, pricipalmente perchè materiale molto duttile e a basso prezzo, secondariamente perché veniva associato al mondo degli Inferi, che è di per sé gelido e oscuro.
Lo stesso Aristotele associava il grigio alla morte, che era in sostanza quello che si augurava al proprio nemico tramite le defixiones.
In più, il luogo in cui si conservano le defixiones è fondamentale: venivano poste in santuari di divinità, sorgenti dei fiumi, paludi, pozzi, sepolcri.
Questi ultimi venivano scelti se si desiderava augurare una morte violenta e molto precoce.
Non è completo, comunque, parlare di defixiones solo per quanto riguarda l’aspetto misterico, esse sono importanti documenti per ricostruire la storia economica e sociale del mondo antico.
Infine, un altro aspetto di queste tavolette, che si ricollega a quello delle maledizioni, riguarda la “magia agraria”, ovvero quelle pratiche magiche finalizzate a proteggere il raccolto e salvaguardare l’agricoltura, fondamentale forma di sussitenza.
Ad ogni modo, per far intendere come si sviluppava il testo di una maledizione, eccone un esempio:

Maledico Theagenes, la lingua, l’anima, il discorso che recita;
maledico anche le mani del cuoco Purrias e i piedi, la lingua, l’anima
e il discorso che recita; maledico la moglie di Purrias, la lingua e l’anima.
[…..] Tutti questi io maledico, anniento, seppellisco, inchiodo.
Se questi in tribunale, o al cospetto del giudice contendano, falli apparire di nessun conto nella parola e nell’azione.

 

E’ una defixio a carattere giuridico del IV secolo a.C., in cui il linguaggio violento dichiara la volontà di fare del male fisico ai destinatari, dunque si ritrovano i caratteri di odio tipici di queste tavolette.
Alcune defixiones erano anche destinate all’intenzione di provocare discordia tra una coppia, legittima o non, per iniziativa dell’amante o del marito; o anche il desiderio di voler fare ammalare un avversario in amore in modo da non essere più una minaccia.
Per dimostrare quanto la magia sia un elemento essenziale per la cultura greca e latina, quanto determinati aspetti della società antica fossero strettamente legati a culti misteriosi e oscuri, mi vengono in mente due esempi.
Il primo è l’idillio di Tecorito (poeta greco del IV – III sec. a.C) “Le Incantatrici”, in cui l’odio è diretta conseguenza dell’amore non corrisposto, in cui la magia viene utilizzata da Simeta, la protagonista, per far ritornare a sé l’amante che l’ha abbandonata.
Nell’idillio, la donna è divisa tra l’odio pulsante e l’amore per l’uomo, da cui alla fine si lascia vincere.
Il secondo è l’ottava Bucolica di Virgilio, in cui una donna compie un rito magico per far tornare l’amato Dafni dalla città, meccanismo che ricorda quello di Tecorito.
Tornando alle defessioni, troviamo che esse manifestano un odio minaccioso e carico di aggressione, lo stadio di una civiltà che si basa ancora su credenze esoteriche, che si affida a personalità oscure come stregoni per compiere incantesimi.
Rimangono affascinanti testimonianze di ciò che eravamo, che molto spesso scordiamo.
Fanno parte di una cultura che merita di essere ricordata e valorizzata. Sempre.
E poi sfido chiunque a non voler tentare una cosa del genere nei confronti di qualcuno che non abbiamo tanto a cuore!
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