La disattenzione collettiva nella ‘società travolta’ dall’individualismo e dal raggiungimento di un obiettivo

La mancanza di attenzione e la carenza delle cure nelle relazioni è diventata la problematica del nostro tempo. La frenesia quotidiana dissipa la concentrazione e travolge le vite con un’ondata di malessere collettivo. L’impossibilità a prestare attenzione, in questa società travolta, è il reale specchio del nostro agire tumultuoso tra messaggi da rispondere, faccende da risolvere, burocrazia da sbrigare e grandi incomprensioni da sedare.

Le lamentele giungono a gran voce da ogni distretto della società. Nelle scuole, ad esempio, si scontrano le fazioni delle istituzioni pubbliche, professori, maestri, amministrativi che sono fagocitati delle incombenze burocratiche, regolamenti e richieste a qualsiasi ora del giorno e della notte; e dall’altra parte, i genitori e gli alunni che reclamano, con le buone e molto più spesso con le cattive, attenzioni ‘ad personam’ quasi cel tutto imperseguibili in contesti collettivi quali quello scolastico. Situazione identica nelle aziende ospedaliere e nei presidi di primo soccorso pubblici e dei privati. L’emergenza covid ha inasprito i rapporti con le utenze, rendendo ogni relazione, in contesti sanitari nei quali l’empatia influisce nell’aumentare la sopravvivenza del paziente, esacerbata e disinteressata. Il tempo speso a visitare i propri malati, ascoltare le loro richieste è sordo e scarso nella quotidianità degli operatori sanitari, dei medici e degli stessi familiari che sono automatizzati dai ritmi convulsi a cui sono sottoposti. Dati alla mano, il report Indeed del 2021 che ha intervistato 1500 lavoratori ha messo alla luce che nel periodo pre-covid il 43% dei lavoratori ha sofferto di burnout contro il 52% del 2021. A farne maggiormente le spese, i giovani distinti per un 59% tra i millennials e il 58% della Generazione Z. tra gli operatori sociosanitari, il 60% circa ha sofferto di problemi di stress e richiesto il supporto psicologico.


Le ventiquattro ore sono sempre poche e l’attitudine alla non concentrazione, in questi contesti in costante mutamento, è il più semplice meccanismo di difesa in contrasto alla molteplicità dei segnali da cui si è bombardati. Il vero danno, in questo processo di evoluzione socioculturale, è l’insorgenza di nuove forme di disuguaglianza (di etnia, di età, di genere, di reddito) dettate dalle scelte guidate da questo fenomeno della velocità quotidiana. Prendersi cura dell’altro, prestare ascolto alle esigenze non è più una prerogativa. Per produrre e per andare avanti si innesca il pilota automatico che, capace di autocontrollo, finalizza ogni decisione sulla base dell’ottenimento di un solo e unico risultato, alienandosi da ogni interferenza eccedente ed eccessiva. La carenza di attenzione, di fatto, si manifesta come una condizione collettiva e politica. Al centro delle istituzioni scolastiche e sanitarie, oggi, troviamo non i bisogni delle persone ma il controllo burocratico e l’ottenimento del profitto. Nelle scuole, il binomio avere a cuore gli studenti e rendere produttivo l’istituto, è esacerbato dalla costante scelta degli insegnanti che sono stressati e lacerano gli alunni. Quotidianamente la loro volontà sarebbe quella di portare avanti un percorso di apprendimento dei ragazzi che riguardi ogni sfera del sapere e che sia maestro di vita. Eppure, l’istituzione di regolamenti sempre più incalzanti e programmi didattici decisi a priori, non lasciano al docente la flessibilità attraverso cui sia possibile far appassionare i giovani alla conoscenza ed al sapere.

Un problema, questo della disattenzione, di cui anche le istituzioni governative si sono interrogate, in taluni casi proponendo come risoluzione palliativa, l’aumento dello stipendio del personale in relazione all’età di servizio come accade in Irlanda, Cipro, Paesi Bassi e Polonia dove lo stipendio può aumentare oltre il 60%, stesso in Francia dove addirittura la retribuzione aumenta del 72% in 35 anni di servizio. Soluzioni oggettive ma che, come nel caso del problema generale, non si preoccupano dello stato di concentrazione e cura del singolo perché offrono solo un supporto materiale e temporaneo a un handicap sostanziale e collettivo.

Si è persa la capacità di aspettare, soppiantata dall’accelerazione dei risultati e delle risposte immediate. “Rispondimi appena puoi” e “Controlla la mail che ti ho appena inviato” sono i messaggi, il baluardo di una borghesia in corsa ma che presto potrà inciampare senza sforzo alcuno nella sconfitta, nella rassegnazione e nel vittimismo. Ammettere di non farcela non è concesso, allora è nell’altro che si ripongono le speranze, le frustrazioni e le colpe per quello che sta accadendo. Senza rendersene conto si perde così l’identità collettiva e si lotta individualmente per la sconfitta.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni