Discriminazioni di genere, impariamo ad andare oltre l’8 marzo

Mentre si spegne l’eco delle manifestazioni legate all’8 marzo – badate bene, “Giornata internazionale dei diritti della donna” e non “Festa della Donna” o “Woman’s Day” – si corre ancora una volta il rischio che si spengano i riflettori sulle numerose discriminazioni e sui gap ancora da colmare.


Woman’s Day, anni di storia.

Da tradizione, il Woman’s Day fu festeggiato per la prima volta negli Stati Uniti nel febbraio 1909 su iniziativa del Partito socialista americano con l’invito a manifestare in favore del diritto di voto femminile.

L’iniziativa si ripeté l’anno seguente e fu portata anche all’attenzione del Congresso dell’Internazionale socialista e, sebbene non fu subito raggiunto un accordo formale sull’istituzione di una giornata della donna, negli anni a venire pian piano le celebrazioni andarono diffondendosi.

L’ufficialità

Il 1914 fu il primo anno in cui la Festa della Donna fu celebrata l’8 marzo, probabilmente perché quell’anno era una domenica.

Tre anni dopo, nello stesso giorno, le donne di San Pietroburgo protestarono chiedendo la fine della Prima guerra mondiale e, dopo l’abdicazione dello zar, il governo provvisorio concesse alle donne il diritto di voto.

Possiamo perciò ritenere che fu quella una delle prime – e più importanti – manifestazioni della Rivoluzione di febbraio, tenendo conto che secondo il calendario giuliano avvenne il 23 febbraio.

Nel 1922, Vladimir Lenin proclamò l’8 marzo quale festività ufficiale.

Le celebrazioni in Italia

In Italia, la Giornata internazionale della Donna iniziò a essere celebrata dopo la Seconda guerra mondiale su iniziativa dell’UDI e del Partito Comunista Italiano ed è legata al fiore di mimosa su proposta di Teresa Mattei, Rita Montagna e Teresa Noce perché si trattava del fiore che i partigiani regalavano alle staffette e poteva essere raccolto con facilità.

L’Italia di ieri e le lotte per i propri diritti

Le donne lottano, da secoli, per richiedere a gran voce diritti negati, ignorati, calpestati; contro retaggi culturali retrogradi, stereotipi, discriminazioni e violenze che attraversano ogni ambito della quotidianità.

Siamo ormai lontane dall’essere dolcemente complicate e dal matriarcato perché non siamo superiori in quanto donne: semplicemente, noi donne siamo e rivendichiamo un’uguaglianza che non sia più solo oggetto di proclami.

L’Italia di oggi.

C’è oggi ben poco da festeggiare e molto per cui lottare e non a caso l’otto marzo ben si accorda al verbo “lotto”: tantissime sono state le manifestazioni che hanno popolato piazze e luoghi d’incontro, tra cui lo sciopero globale cui il nostro Paese aderisce tramite il movimento Non una di meno per protestare contro la violenza di genere, il gender gap, l’assenza di politiche sociali, la rappresentazione sessista del corpo femminile, la misoginia, l’omotransfobia, il razzismo.

Donne e numeri dis(pari)

Secondo una ricerca della Fondazione Di Vittorio, il tasso di occupazione femminile in Italia è cresciuto del 2,6% tra il 2008 e il 2021 e il tasso di inattività femminile si attesta al 44,2%.

Questione di salario

Il salario medio lordo annuo delle donne, inoltre, si attesta a 16.300 euro contro i 24.000 degli uomini, con un differenziale di genere del -31,7%. A essere penalizzate sono soprattutto le donne giovani e con figli piccoli e, in generale, le donne lavorano in condizioni peggiori rispetto agli uomini.

Secondo l’Istat, nei primi nove mesi del 2021 le richieste d’aiuto delle vittime al 1522 sono state 12.305, in netto aumento sia sui dati del 2020 che del 2019.

Inclusione nel PNRR

La certificazione di parità, inserita nella missione 5 “Inclusione e coesione” del PNRR e le norme del codice rosso non sono sufficienti: servono riforme strutturali e interventi volti a sradicare la cultura patriarcale a partire dall’età scolare, un nuovo welfare e impegni concreti che vadano finalmente oltre la retorica oltre l’8 marzo.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni