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Allevamenti intensivi, il labirinto della sofferenza e dell’ingiustizia ambientale

Una realtà in cui miliardi di creature viventi sono costrette in spazi angusti, danzando sul filo dell’agonia: gli allevamenti intensive, queste “fabbriche di carne”, non solo soddisfano il nostro desiderio insaziabile di proteine animali, ma sono anche i complici di una devastazione ambientale senza precedenti. La produzione intensiva di carne non è solo una questione di gusto, ma una pratica che distrugge il tessuto stesso del nostro pianeta. Il nostro consumismo carnivoro grava sul clima. Dati sconcertanti ci rivelano che il settore dell’allevamento è responsabile del 14% delle emissioni globali di gas serra, superando persino il trasporto. L’inquinamento causato da questi giganti dell’alimentazione è una minaccia diretta al nostro clima, una colpa che spesso ignoriamo per comodità. È il momento di dare voce a quei numeri e di comprendere che ogni boccone di carne è un passo verso il baratro climatico. In questo scenario, sorgono come fiamme di speranza le scelte alimentari etiche. La decisione di abbracciare uno stile di vita vegetariano o vegano non è solo una questione di preferenza personale; è un manifesto di resistenza contro l’ingiustizia inflitta agli animali e una dichiarazione contro la rovina ambientale. Le statistiche ci indicano che una dieta priva di carne può ridurre le emissioni di gas serra del 50%, un passo avanti significativo nella lotta contro i cambiamenti climatici.

La carne ci sta ammalando. Il dibattito sul legame tra il consumo di carne e il rischio di sviluppare il cancro è stato oggetto di numerose ricerche scientifiche nel corso degli anni. Mentre non esiste una risposta definitiva che possa coprire tutte le forme di carne e tutti i tipi di cancro, è importante esplorare le correlazioni e le evidenze scientifiche finora raccolte.

Processi di cottura e Formazione di composti Cancerogeni. La cottura di carne a temperature elevate, come la grigliatura o la frittura, può portare alla formazione di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e ammine eterocicliche (HCA), sostanze associate a un potenziale aumento del rischio di cancro. Mangiare carne è stato paragonato a inalare amianto.

Carne Rossa e Processata. Diverse ricerche hanno evidenziato un collegamento tra il consumo eccessivo di carne rossa e processata e l’aumento del rischio di alcuni tipi di cancro, in particolare quello del colon-retto. La carne rossa contiene eme, un componente del ferro, che favorisce la formazione di composti nocivi nel tratto gastrointestinale. La carne processata, come la salsiccia, è stata classificata come cancerogena per l’uomo dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC).

Infiammazione Cronica e Processi Oncogeni. Alcuni studi suggeriscono che una dieta ricca di carne potrebbe contribuire all’infiammazione cronica, e quindi generare un ambiente che favorisce lo sviluppo di cellule tumorali. Infatti, processi infiammatori persistenti possono aumentare il rischio di vari tipi di cancro.  

Antiossidanti e fibre. Le diete ricche di frutta, verdura e cereali integrali, spesso associate a minor consumo di carne, forniscono antiossidanti e fibre che possono svolgere un ruolo protettivo contro il cancro. Gli antiossidanti aiutano a neutralizzare i radicali liberi, mentre le fibre favoriscono la regolarità intestinale e possono contribuire a ridurre il rischio di cancro del colon.

Moderazione e scelte consapevoli. Ridurre il consumo di carne rossa e processata a favore di fonti proteiche più salutari, come il pesce, i legumi e le proteine vegetali, potrebbe essere un approccio equilibrato. Inoltre, la varietà nella dieta, combinata con uno stile di vita sano, può contribuire a ridurre il rischio di cancro.

Parlando ancora di numeri e dati: qual è la cruda verità dietro una comune bistecca?

I numeri sono più di semplici cifre: sono i testimoni del nostro impatto sul mondo. Oltre il 90% della deforestazione amazzonica è attribuibile all’allevamento del bestiame: si tagliano alberi su alberi, si brucia tutto in attesa che poi ricresca l’erba per sfamare il bestiame. Dopo qualche anno, quell’appezzamento perde di valore e ci si sposta, e così ricomincia un nuovo giro di boa. Un altro problema è l’uso smodato di antibiotici negli allevamenti intensivi. Questo alimenta una tempesta di resistenza antimicrobica. Immaginiamo migliaia di galline ammassate, costrette a vivere le une sulle altre, letteralmente. Si pizzicano, si feriscono, si ammalano. E, come il 2020 ci ha insegnato, i virus e le infezioni, soprattutto in spazi chiusi e affollati, viaggiano alla velocità della luce. Così questi animali vengono imbottiti di antibiotici a prescindere e il loro organismo impara a resistere. E se per qualcuno è difficile empatizzare con un “pollo”, possiamo pensare al fatto che la resistenza agli antibiotici e lo spreco che si fa di questi preziosi medicinali, ricadrà anche su noi, che avremo sempre meno accesso, dopo un’infezione, un intervento chirurgico qualsiasi, a questi farmaci.

E, parlando di empatia e futuro, dietro ogni porzione di carne si cela una storia di vita, di sofferenza e di morte. Gli animali negli allevamenti vengono privati della loro dignità e delle relazioni sociali. Leggere sulle confezioni delle uova la dicitura “allevate a terra”, non vuol dire che questi animali siano cresciuti in una ridente fattoria, significa che hanno a loro disposizione circa 60 cm, uno spazio ridicolo. “Allevate a terra” equivale a “non cresciute in gabbia”.

In questa esplorazione, emergiamo con una domanda pressante: quale eredità vogliamo lasciare alle generazioni future? La scelta di adottare una dieta vegetariana o vegana è un atto rivoluzionario che sfida l’ordine stabilito e abbraccia un futuro più sostenibile e compassionevole. Guardiamoci allo specchio e chiediamoci se siamo pronti a essere parte della soluzione.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni