22 mesi senza Patrick Zaki

Oggi, 7 dicembre, si svolgerà una nuova udienza del processo a Patrick Zaki in corso presso il tribunale di Mansura, in Egitto.

Zaki, studente egiziano presso un master internazionale in Studi di genere dell’università di Bologna e attivista dell’Eipr, è detenuto dal febbraio del 2020 per motivazioni politiche, con accuse che vanno dalla “diffusione di notizie false dentro e fuori il paese” alla propaganda sovversiva a causa di alcuni post sui social network pubblicati da un account che il giovane dice non essere suo. L’arresto è avvenuto il 7 febbraio 2020 quando Zaki, di ritorno in Egitto per trascorrere alcuni giorni di vacanza con la sua famiglia, è stato fermato dall’Agenzia della sicurezza nazionale, una delle forze di polizia egiziana cui, secondo le autorità italiane, apparterrebbero anche gli agenti responsabili dell’omicidio di Giulio Regeni. Portato in carcere, di Zaki si persero le tracce per le 48 ore successive in seguito alle quali solo grazie all’impegno del suo avvocato cominciarono a circolare informazioni sul suo caso e sulle torture cui era stato sottoposto. Subito dopo l’arresto, fu bendato, condotto a Mansura, picchiato, sottoposto a scosse elettriche sull’addome e sulla schiena, minacciato di stupro e abusato verbalmente. Nei mesi successivi, dopo il trasferimento dal carcere di Mansura a quello di Tora (al Cairo), è stato detenuto in condizioni degradanti, gli è stata negata la possibilità di ricevere visite o comunicare con l’esterno, ufficialmente a causa dell’emergenza sanitaria da coronavirus, e gli sono state finanche negate le cure mediche necessarie in quanto affetto da asma.

A ventidue mesi dall’arresto, Zaki si trova ancora in custodia cautelare, ma le accuse non sono state formalizzate e il processo a suo carico non è iniziato formalmente. Lo stato di detenzione viene convalidato, di volta in volta, tramite udienza grazie a una legge che consente di prolungare la detenzione fino a ventiquattro mesi con proroghe consecutive dapprima di 15 e poi di 45 giorni. Durante l’ultima udienza, svoltasi lo scorso 28 settembre e durata appena pochi minuti, il legale di Zaki Hoda Nasrallah aveva richiesto un rinvio per aver modo di studiare gli atti. Come testimoniato da un altro legale presente in aula, che ha preferito rimanere anonimo, Nasrallah avrebbe anche richiesto una copia autenticata del fascicolo del suo assistito dal momento che, sinora, vi aveva avuto accesso solo per consultazione presso uffici giudiziari. Il rinvio è stato accordato, ma la prossima udienza si svolgerà solo domani e, come sottolineato da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italy, questo è “un rinvio abnormemente lungo che sa di punizione”. Oltre alle accuse già citate, secondo alcune ONG che seguono attentamente il caso Zaki, nel corso dell’ultima udienza sarebbero state confermate anche quelle di “istigazione a commettere atti di violenza e terrorismo” e “appello al rovesciamento di stato”, che sembravano invece decadute nel corso della prima udienza.

Inizialmente la politica, i media e l’opinione pubblica italiana si mossero rapidamente in favore di Zaki che, sebbene non sia cittadino italiano, è comunque uno studente di un ateneo italiano e ha legami forti con il nostro Paese. Si susseguirono appelli e campagne di sostegno, venne persino creata una task force nell’università di Bologna e molte amministrazioni cittadine, nel corso dei mesi, hanno conferito a Zaki la cittadinanza onoraria – che, ricordiamo, è un atto simbolico privo di valore dal punto di vista del diritto internazionale. Il Governo, tramite il Ministro degli Esteri Di Maio, condannò l’arresto illegale del giovane e disse che l’Italia si sarebbe impegnata per la sua liberazione. Nei mesi successivi, i segnali furono contrastanti: se a marzo il ministro dichiarò che il nostro Paese avrebbe fatto di tutto per riportare Zaki a casa, pochi mesi dopo ha poi sostenuto che la portata mediatica del caso sarebbe stata controproducente. Ottenere la scarcerazione di Zaki, per il nostro governo, è complicato, ma gli strumenti a disposizione ci sono. Tra questi figurano la concessione della cittadinanza italiana, su cui il nostro Parlamento ha già dato parere favorevole, la Convenzione ONU del 1984 sulla tortura e i rapporti commerciali, economici e militari con l’Egitto, ma sarebbe necessaria, ora più che mai, la volontà politica.

Oggi, in 50 piazze, attenderemo tutti insieme l’esito dell’udienza decisiva, auspicando che il 668° giorno di prigionia di Patrick Zaki sia anche l’ultimo. 

Già pubblicato su L’Altravoce dei Ventenni-Quotidiano del Sud 06/12/2021
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