20 Febbraio, Giornata Internazionale della Giustizia sociale

Intervista a Rosamaria Caleca, ex funzionario giuridico pedagogico penitenziario

Il 20 febbraio ricorre la Giornata Internazionale della Giustizia Sociale che mira all’abbattimento delle disuguaglianze mettendo in luce quanto lo sviluppo e la giustizia sociale siano necessari per la costruzione della pace tra gli Stati.

Con Giustizia Sociale si deve pensare alle moltissime tematiche celebrate in questa giornata: dall’abbattimento delle disuguaglianze alla possibilità di garantire eque opportunità a tutti i cittadini del mondo. La costruzione dell’eguaglianza civile, sociale, legale, economica rientra in un lavoro più ampio che si intreccia allo sviluppo ecosostenibile e alla costruzione di regimi politici trasparenti. Questo calderone in continua evoluzione rientra nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile fondato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: un piano d’azione che consta di obbiettivi da portare a termine per garantire uno sviluppo equo e sostenibile. Fondamentale è l’adozione unanime della Dichiarazione dell’ILO sulla Giustizia Sociale per una Globalizzazione Equa (19 giugno del 2008).

Ma la Giustizia Sociale non è solo un concetto astratto, ne parliamo con chi ci ha lavorato per oltre 40 anni. Facciamo una chiacchierata con Rosamaria Caleca, Funzionaria Giuridico Pedagogica penitenziaria, ormai in pensione.

Secondo lei da cosa nasce l’esigenza di istituire questa giornata?

“Sono tre i motivi fondamentali che la costituiscono: l’uomo, soggetto in continuo mutamento, va alla ricerca di una equiparazione tra il male compiuto ed il dovere di riparare; nell’immaginario collettivo giustizia e sicurezza vanno di pari passo ed è fondamentale che sia la giustizia a garantire la messa in atto anche della sicurezza; infine c’è da dire che l’uomo, oggi, avverte le istituzioni della giustizia troppo distanti e troppo divisive motivo per cui questa giornata serve a far sentire la voce dei cittadini, unici veri protagonisti della macchina statale”.

Nel suo lavoro nelle carceri quale risultato si è raggiunto circa l’equità dei diritti tra detenuti e quanto ancora c’è da lavorare?

“Ho sempre lavorato rispettando le regole che sono alla base del mio lavoro cercando sempre di ricordare che il mio obbiettivo era rieducare alla società, non punire il cittadino: la giustizia pura non punisce ma ripara, il messaggio che ho cercato di attuare nel mio lavoro è sempre stato questo. Ciò detto è da chiarire che non tutti i detenuti hanno accettato e condiviso questo tipo di concetto riparativo, chi finisce in carcere è perché commette un reato che deriva da un’espressione di disagio sociale, economico, lavorativo e questa è la dimostrazione che c’è ancora tanto da lavorare per arrivare ad una condizione di vita e ad una giustizia equa”.

In che modo secondo lei la Giustizia si può avvicinare ai cittadini?

“Basterebbe che la Giustizia sia “giusta” così che nel proprio agire e nel proprio perseguire la legge possa assicurare incorruttibilità, competenza nella prestazione dei servizi ed efficienza nel servire la legge”.

Chiudiamo con un esempio di giustizia sociale equa nel carcere?

“L’esempio più lampante e concreto di giustizia sociale in carcere è quello di muoversi all’unisono: ogni educatore, ogni impiegato amministrativo, ogni agente penitenziario, ogni figura dirigenziale dovrebbe svolgere il proprio lavoro affinchè si garantisca la realizzazione massima del progetto “uomo”, a prescindere dal cognome che porta, dalle radici da cui proviene, dal contesto sociale in cui è cresciuto e dal lavoro che svolgeva all’esterno”.

Il progetto “Uomo” come lo ha definito la dottoressa Caleca è anche al centro dell’Agenda 2030 in cui ogni singola azione è rivolta ad esso. Il 20 Febbraio è la giornata utile per rimarcare il concetto fondamentale di essere cittadini e di pretendere che le istituzioni siano fatte a misura d’uomo, ricordando che le ingiustizie sociali possono colpire un singolo cittadino ma in un secondo momento ricadono sulla collettività, sempre e comunque. <II primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire “questo è mio” e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i piuoli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: “Guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti!”.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni