Nei diversi scenari di scontri e proteste che il mondo sta vivendo, ve n’è uno che si sta protraendo ormai da più di un anno. Nell’ex colonia britannica di Hong Kong le dimostrazioni, che proseguono dal 15 marzo 2019, stanno assumendo i contorni talvolta della protesta pacifica, talvolta violenta. Hong Kong è stata colonia inglese fino al 1997, anno in cui di fatto passò sotto la supervisione del governo cinese, divenendo, tecnicamente, regione amministrativa speciale. Da sempre considerata un ponte tra l’estremo Oriente ed il mondo occidentale, quest’isola ha mantenuto nel tempo l’influenza culturale esercitata dall’ex madrepatria. Il passaggio del 1997 avvenne sotto la condizione “una Cina, due sistemi”, poiché l’isola volle mantenere un sistema giuridico ed amministrativo, sostanzialmente indipendente rispetto al nuovo governo. La protesta, iniziata lo scorso anno, covava dalle ceneri di un’analoga azione risalente al 2014, passata alla storia come la Protesta degli Ombrelli, gli stessi che i manifestanti furono costretti a utilizzare per ripararsi dai gas lacrimogeni e urticanti che il governo di Pechino utilizzò per sedare gli animi. Il motivo degli scontri, sostanzialmente, è sempre uguale: la crescente ingerenza del governo cinese, nelle dinamiche, anche elettorali, dell’ex protettorato britannico. Nel settembre 2014 un gruppo di attivisti, riunitisi sotto il nome di “Occupy central with love and peace”, fondato dai professori universitari Benny Tai e Chan Ki-Man e dal reverendo cristiano Chu Yiu-Ming, scese in piazza per chiedere il suffragio universale e, soprattutto, elezioni libere. Il sistema elettorale di Hong Kong, ritenuto alquanto singolare, prevede la nomina di una sorta di oligarchia, scelta tra i notabili dell’isola fedeli al governo centrale, incaricata a sua volta di approvare la nomina di ulteriori 3 candidati da sottoporre all’elezione alla carica di governatore. Qualche dubbio circa possibili nomine, quantomeno accondiscendenti rispetto alle decisioni di Pechino, appare, più che lecito, palese. Ai manifestanti di “Occupy central with love and peace” si unirono ben presto le federazioni studentesche ed universitarie dell’isola, e, nel momento in cui la polizia fece ricorso anche a proiettili di gomma e cannoni ad acqua per disperdere la folla, vennero aperti gli ombrelli gialli protettivi. La folla per 79 giorni occupò il centro dell’isola. La sommossa si risolse, però, con lo sgombero da parte della polizia, l’arresto dei 3 leader ed un processo conclusosi nel 2019 con la condanna degli stessi a ben 7 anni di carcere. Questa sentenza, unita alla legge sull’estradizione dei latitanti, anche verso Paesi con i quali la città non aveva accordi in proposito, ha fatto riesplodere la protesta accendendo, nuovamente, gli spiriti dell’indipendenza e della libertà. Studi statistici hanno evidenziato come, nel 2019, 9 giovani di Hong Kong su 10 dichiaravano di non considerarsi cittadini cinesi. Oggi i rivoltosi chiedono le dimissioni del capo dell’esecutivo Carrie Lam e la cessazione di ogni ingerenza da parte della Cina nel governo dell’isola. Si chiede il rispetto degli accordi con l’Inghilterra del 1997 e l’inizio effettivo del graduale processo di libertà definitiva che avverrà, sempre in virtù di tali disposizioni, nel 2047. Da parte del governo, però, non vi sono state concessioni; addirittura è stata avanzata, lo scorso 22 maggio, la nuova proposta di legge sulla sicurezza nazionale. Questa, con l’intento di prevedere la possibilità di sanzionare comportamenti secessionistici ed eversivi, applica delle misure altamente restrittive rispetto alla privacy ed alle comunicazioni dei singoli cittadini di Hong Kong. Le odierne manifestazioni dell’isola hanno richiamato, agli occhi dell’opinione pubblica, le proteste di piazza TienanMen, iniziate il 15 aprile e conclusesi, purtroppo nel sangue, il 4 giugno del 1989. Anche con riferimento allo spazio temporale, le somiglianze rispetto a quanto accaduto 31 anni fa, sono molte. Chi di noi non ha visto, almeno una volta nella vita, la fotografia o il filmato dell’omino con le buste della spese in mano, passato alla storia come il Rivoltoso sconosciuto, che attraversa la strada e sbarra la strada ai carri armati in piazza TienanMen? Chi di noi non ha provato ammirazione e gratitudine verso quell’omino? La rilevanza della sua dimostrazione di resistenza passiva fu tale che il Times inserì questo ragazzo tra le personalità più influenti del ‘900. Il suo gesto ha dentro di sé i caratteri dell’eroismo e della lotta per la giustizia sociale che sono valori di carattere superiore. Ancora oggi in Cina, solo pronunciare la parola Tienanmen è, quasi, motivo di disapprovazione sociale. I cittadini che, ogni anno, decidono di ricordare e commemorare quei fatti, sono soliti farlo usando “il 35 maggio”, poiché in barba a qualsiasi libertà di stampa e di espressione, la parola “4 giugno” è oggetto di censura. La protesta dell’89 scoppiò in seguito alla morte di Hu Yaobang, segretario del partito comunista cinese e molto amato da chi chiedeva riforme ed innovazione nella Cina di allora. La libertà di parola e di stampa erano le maggiori richieste dei manifestanti, all’inizio solo studenti, cui si aggregarono intellettuali ed operai. L’occupazione di piazza Tienanmen si concluse drammaticamente con la repressione. La storia sembra insegnare che denominatore comune di tutte le proteste che hanno avuto l’effetto di modificare il suo corso, è la matrice giovanile delle stesse. Non sappiamo, ancora, come si concluderanno i fatti di Hong Kong, ma possiamo concludere, ancora una volta, che sono gli studenti a farsi portatori delle diverse istanze di cambiamento. Probabilmente questo dato può essere una conseguenza del fatto che il cambiamento presuppone l’innovazione, e la parola innovazione contiene dentro di sé l’etimologia della novità ed il nuovo racchiude in sé la freschezza giovanile. Pertanto, solo nel momento in cui le nuove generazioni riescono a prendere coscienza di sé stesse e delle loro potenzialità, la tendenza a reclamare la libertà e la pari dignità sociale esplode con tutta la sua carica liberatoria, come insegnano il ’68 europeo, i fatti di piazza Tienanmen, la primavera araba e i recenti accadimenti di Hong Kong.
Già pubblicato, in versione ridotta, su L’Altravoce dei Ventenni – Quotidiano del Sud 8/6/2020
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