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Ferrari: analisi di uno stillicidio annunciato (e temuto)

“La Ferrari è una di quelle cose che ti capita quando la vita decide di fartela pagare”. Così Charles Dickens avrebbe commentato il Campionato del mondo di Formula 1 2022.

Amarezza, tristezza e frustrazione i sentimenti che attualmente accomunano i tifosi della Rossa che, inermi, possono solo accettare l’ennesima disfatta, sotto sotto percepita da chiunque. 

La Red Bull porta a casa il campionato con quattro giornate di anticipo, grazie ad un team impeccabile, un pilota fortissimo, una monoposto sempre più affidabile ed imbattibile, un pizzico di fortuna e una strizzatina d’occhio dalla, spesso cieca, Federazione: una serie di (s)fortunati eventi che hanno perciò visto il già campione del mondo Max Verstappen confermare e solidificare il suo trono. 

Appare paradossale guardare le premesse della stagione: una Ferrari veloce, affidabile e, come sempre, bellissima che prometteva la giusta ricompensa per i quindici anni a secco di trofei, un tetto del mondo ambito, desiderato e perso nel peggiore dei modi, con qualche rimpianto e non pochi rimorsi. 

Ad oggi, ciò che resta è la tenue speranza che tempi migliori arriveranno, è ciò che spinge i ferraristi ad andare avanti, una speranza quasi patetica ma solida, che li tiene incollati ogni domenica davanti alla televisione. D’altronde i fedelissimi alla livrea nata dell’estro del modenese Enzo Ferrari sono veramente un fenomeno antropologicamente curioso: sono lì, vivono di miti, di eterna gloria e di un amore folle che non li fa proprio ragionare con quel minimo di obiettività che forse li difenderebbe da delusione certa. Ma si può davvero rimanere coi piedi per terra quando il pilota di punta della propria scuderia del cuore, Charles Leclerc, regala ben nove pole position in diciotto gare e che ha già raggiunto le diciotto pole in carriera eguagliando un certo Kimi Raikkonen (colui che va sempre venerato)?

Un talento naturale, veloce, che crescerà ancora perché ha ancora tutto da dare ma che imparerà ancora tanto, trovando la giusta maschera da scegliere per affrontare un mondo che non concede molto spazio alla sua genuinità e che lo desidera più freddo e calcolatore.

Il dato di fatto che è che gli altri hanno vinto laddove il muretto Ferrari ha sbagliato e verrebbe da aggiungere che errare sia umano, il problema è perseverare, soprattutto quando si persevera da quattro (per non andare ancora più a fondo nei ricordi dolorosi) anni.   

Quest’anno, perciò, il supplizio è duplice: se, da un lato, si è aspettato, silenti, questa stagione imbottiti di aspettative e desideri, dall’altro ogni delusione è stata centellinata di weekend in weekend, consci di navigare tra le certezze del sabato e i dubbi della domenica. 

Non c’è una sola responsabilità, c’è un insieme di corresponsabili che ha giocato veramente male le proprie carte. Il sistema poi non ha mai aiutato: un campionato deciso di gara in gara dove ogni corsa subisce l’applicazione di regole differenti e basate sul singolo che le applica. Una federazione forte coi deboli e debole coi forti, sempre più schiava dello spettacolo-intrattenimento e di guadagno, il tutto a discapito dei dettami più banali di buona condotta propri del mondo sportivo. 

Così quest’anno fa più male, o forse fa male in egual modo ma appare solo più beffardo come si sia verificato.

Ci si aggrappa perciò al ragazzo che ha permesso a molti di ricominciare a sognare, quando dall’altra parte c’è colui che ha imparato a ragionare di più, a rischiare meno e a portare a casa il risultato.

Noi, ferraristi, per natura, tifiamo per chi dimostra di potercela fare anche quando tutto gli è avverso, legati ai personaggi più autentici e passionali, perché, alla fine, sono quelli che concedono dei seppur piccolissimi e sporadici momenti di effimera felicità. 

Come Icaro, sembra che la scuderia di Maranello non sia ancora pronta a puntare e volare così in alto nonostante abbia ciò che serve per poterlo fare ma vittima di scelte sbagliate e atteggiamenti arrendevoli. Le sue ali risultano troppo deboli per reggere il peso delle aspettative, spesso controproducenti, a cui viene costantemente lasciata in balia. Di contrario, lascia sgomenti pensare che la fama e l’eccellenza che girano intorno al Cavallino vengano messe in discussione a causa di questi risultati, spesso troppo severi.

La Formula 1, come altri sport, è fatta di cicli e parrebbe non essere il momento del ciclo Ferrari.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni