Il 10 novembre scorso, in occasione del novantaquattresimo compleanno del compositore più amato e prolifico del XX secolo, è tornato nelle sale cinematografiche l’emozionante documentario Ennio, firmato dal collaboratore e amico Giuseppe Tornatore.
Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2021 e uscito al cinema il 17 febbraio scorso, il documentario ripercorre l’intera vita del Maestro attraverso immagini e suoni, dove la musica arriva di gran lunga prima della scena ma scandisce e controlla l’intero girato dando la giusta percezione delle testimonianze di molteplici artisti e registi, ispirati costantemente suo genio.
Le inquadrature sul movimento, quasi trascendentale, delle mani del compositore romano regalano la sensazione che quanto creato da Morricone sia direttamente ispirato dal divino, intermediario incosciente di un messaggio tra il mondo celeste e quello terreno.
Il regista viaggia all’interno di momenti differenti della vita di Ennio, mostrando il suo talento indiscutibile, riconosciuto fin dai primi passi e influenzato anche dalla carriera del padre Mario, trombettista professionista, strumento poi scelto anche dallo stesso compositore per conseguire il diploma all’Accademia Santa Cecilia. Da qui la lotta eterna tra il mondo classico che lo considerava troppo pop e il mondo cinematografico, che lasciava ampio spazio al suo estro fuori da qualsiasi schema.
Il meraviglioso omaggio visivo di Tornatore, di cui non si scopre oggi la dettagliata cura stilistica, percorre accuratamente questa strada, rappresentando anche le preoccupazioni che Morricone aveva nel non sentirsi all’altezza dell’idea che i suoi maestri, primo fra tutti Goffredo Petrassi, avessero della sua carriera. Da qui, l’accusa di essersi allontanato dalla musica alta e pura, la classica, per accettare il ruolo marginale di compositore cinematografico e televisivo, venduto per bisogno ad un sistema troppo lontano dalla musica eterna. Questo rimorso, la ricerca di un modo per espiare una colpa, lo accompagnerà per tutta la vita, accompagnando anche lo spettatore per tutta la durata del film.
Il documentario segue due percorsi: uno stilisticamente doveroso, arricchito da un vasto mosaico di interviste colme di momenti vissuti con il musicista e dagli aneddoti interessanti dei tanti registi, attori, compositori e cantanti che hanno partecipato al progetto (Tarantino, Springsteen, Zimmer, Piovani, Eastwood, Verdone, Argento); un altro, più intimo e intenso, che avvolge chi guarda grazie alla voce calda che dà suono alle emozionanti parole del Maestro, raccontando e raccontandosi, a volte commosso, a volte divertito, ma non nascondendo niente, confessando perfino una delusione, condivisa, del mancato riconoscimento di quella statuetta d’oro oltreoceano, ottenuta troppo tardi e dedicata a colei che ha custodito le sue fragilità per 64 anni, dandogli la forza di esprimerle attraverso le sue composizioni, sua moglie Maria.
Attraverso il film si scoprono tante informazioni note e altre meno conosciute: dal sodalizio perfetto con Sergio Leone, nato già tra i banchi di scuola, non privo di scontri turbolenti ma nati sempre dalla stima e l’eterno affetto che li legava e li vedeva complici, agli arrangiamenti e le musiche dei tormentoni immortali di ieri (Se Telefonando di Mina, Il Mondo di Jimmy Fontana, In ginocchio da te di Gianni Morandi).
Nei 156 minuti di pellicola si assiste al racconto in prima persona di un uomo considerato immenso da tutti ma non da sé stesso, inconsapevole di quanto avesse insegnato senza dare alcuna lezione, inconsapevole della sua grandezza, che è ciò che l’ha reso etereo.
A fine pellicola rimane ancora quella trepidazione di voler sentire ancora parlare di questa storia, di sapere altro, vivere altro: un tripudio di emozioni sviluppatesi sottoforma di un immaginario concerto sinfonico di ricordi, una sfida, quella di Peppuccio Tornatore, con una buona dose di difficoltà, dovendo parlare di una delle persone che più l’ha ispirato per tutta la durata della sua carriera, ma vinta a mani basse, che ha colpito dove doveva colpire avvolgendo sempre gli occhi dello spettatore, aprendo le porte serrate di un artista che ha sempre dato un peso rilevante alla propria intimità, concedendo pochissimo spazio alla fama e molto al lavoro, che poi non è mai stato un’occupazione ma l’espressione di ciò che riusciva a far meglio: descrivere attraverso la musica ogni stato d’animo.
Bertolucci disse: “Ennio è riuscito a fondere insieme la prosa e la poesia”
Molti si sono chiesti se fosse qualcosa che può essere insegnato ma si può davvero insegnare qualcosa che non esisteva prima e non esiste dopo il suo passaggio sulla Terra?
(Photo by Corriere della Sera)
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni
Abruzzese come gli arrosticini, romana d'adozione, residente presso Terra di Mezzo, domiciliata presso Hogwarts, laureata in Giurisprudenza per caso, si ispira a De Andrè e Pink Floyd. Interista, afflitta da cinefilia, adora scrivere ma mai farsi leggere.