Renegade: la subcultura di TikTok

La popolarità crescente di TikTok- il nuovo social per giovanissimi- ha attirato l’interesse delle vecchie generazioni sulla piattaforma, tanto da aumentare il numero dell’utenza e portare perfino politici come Salvini a iscriversi, nel goffo tentativo di mettere in pratica una strategia di marketing che potesse renderli simpatici, virali o oggetto di meme, come era successo per la canzone “Io sono Giorgia” nel 2019. Tuttavia, TikTok non è terreno fertile per questo tipo di linguaggio, infatti pur non essendo alla portata di tutti sta influenzando radicalmente anche i social in cui non è prevista la diffusione dei suoi contenuti: i video caricati sulla piattaforma vengono condivisi ovunque, creando fenomeni del web in pochissimo tempo. Non si tratta, però, di fama temporanea, ma dell’ascesa delle nuove star del domani.

Nel 2018 un giovane aspirante musicista, Montero Hill, il cui nome utente era Lil Nas X, ha caricato sul social un video con la sua canzone “Old Town Road”, il resto è storia, collaborazioni di prestigio, primi posti in classifica e due Grammys. Altri artisti emergenti hanno trovato terreno fertile nell’app, che grazie a un sistema di condivisione immediato che permette agli utenti di aiutarsi a vicenda per raggiungere una popolarità enorme e pressoché istantanea. Il suo contenuto varia: molti utenti lo usano per “vloggare”, per mostrare i loro cosplay tramite movimenti buffi, per ricreare i balletti virali o realizzare i cosiddetti POV, point of view, brevi clip in cui una o più persone ricreano una situazione specifica interagendo con l’obiettivo, anche senza parlare e avvalendosi solo di una canzone incalzante per definirne l’atmosfera. Questi sono i contenuti più famosi, che spesso sono oggetto di derisione al di fuori della piattaforma e considerati l’unica proposta disponibile al suo interno.

In realtà, non è così.

Un aspetto molto sottovalutato di TikTok è l’avvalersi di un linguaggio personalissimo, in cui- per esempio- brevi versi delle canzoni vengono usate per ricreare un dialogo e l’utente ha la possibilità di essere creatore, attore e spesso anche cursore nel proprio video, grazie all’inserimento di scritte a comparsa. Questo linguaggio all’apparenza complesso permette di affrontare numerose tematiche, anche le più difficili, in modo semplice ed efficace.

“Ha riempito il vuoto lasciato da Vine e che Snapchat non è mai stato in grado di colmare” dice a Teen Vogue Patrice Callander, digital brand manager e social media strategist, che vede giustamente in TikTok, nonostante le censure e le problematiche sulla privacy legate alla ByteDance- che l’ha acquistato nel 2018- il potenziale di un luogo positivo in cui vi sia espressione culturale variegata e aperta, in cui i temi considerati “difficili da affrontare” che spesso hanno comportato uscite esasperate dai più come “non si può più scherzare su nulla” trovano la loro completa spiegazione. L’algoritmo dell’app è estremamente preciso rispetto ai suoi concorrenti e tiene conto immediatamente delle tue preferenze tramite le interazioni. Questo significa che ci si può ritagliare il proprio spazio, in cui potersi sentire al sicuro da ogni critica, ed è anche il motivo principale per cui i ragazzi appartenenti a minoranze o alla comunità LGBT+ sono tra i maggiori fruitori del social e creatori di contenuti. Tramite l’autoironia e il linguaggio già citato, trasmettono messaggi di inclusione che rappresentano anche il futuro dell’intrattenimento, in cui non costituiscono più elemento derisorio ma sono gli stessi che prendono in mano la loro narrazione per renderla coinvolgente e, soprattutto, divertente.

Non bisogna neanche sottovalutare l’influenza politica della piattaforma che, coerentemente con la sua natura di sbocco vitale per l’espressione di se stessi, permette di lanciare in fretta e a chiunque messaggi importanti. Il caso che più ha attirato l’attenzione dei media nel novembre scorso, quello dell’attivista diciassettenne Feroza Aziz- che tramite l’escamotage di un video tutorial aveva sensibilizzato sul tema dei campi di concentramento cinesi in cui vengono detenuti gli uiguri- ha ispirato moltissimi giovani a fare attivismo sulla piattaforma, approfittando della loro popolarità. Una popolarità che non va soltanto a essere utile all’utenza ma anche ai creatori stessi. In India e Pakistan, luoghi in cui le donne trovano difficoltà a ritagliarsi autonomamente un luogo in cui esprimersi o semplicemente farsi strada per avviare una carriera nell’intrattenimento, sono numerose le utenti che grazie al seguito raggiunto hanno la possibilità di essere scelte per recitare, presentare in tv o addirittura proporre le loro canzoni alle maggiori industrie del settore. A dimostrazione che la sensibilità nelle nuove generazioni sta cambiando in meglio, grazie anche a questo tipo di interazione digitale, è il caso della quattordicenne afroamericana Jalaiah Harmon, ballerina prodigio che ha creato la coreografia del momento Renegade dance, ad oggi la più popolare su TikTok. Come accade dalla nascita della musica contemporanea- e in realtà da sempre- la ragazza ha caricato il video con la sua coreografia su Instagram e l’idea le è stata “soffiata” da una influencer bianca, Charlie D’Amelio, che ad oggi grazie a quel video ha raggiunto 90 milioni di follower mentre scrivo, senza dare alcun credito alla ballerina di Atlanta. La sua storia, però, è stata diffusa e ha avuto un impatto tale da sensibilizzare sull’importanza della paternità delle creazioni artistiche, tanto che la stessa Charlie nei giorni scorsi ha sentito l’esigenza di “ospitarla” sul suo account per ballare insieme e compensare le mancanze passate, lanciando un messaggio di apertura e condivisione muovendosi al ritmo di Renegade.