Il commento di Mattia Lolli, responsabile volontario di Legambiente
La Cop 26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici appena conclusasi a Glasgow, puntava a raggiungere obiettivi importanti e necessari quali l’accelerazione del processo di fuoriuscita dal carbone, riduzione della deforestazione, la transizione verso i veicoli elettrici, e incoraggiare gli investimenti nelle rinnovabili. A tal fine, i Paesi devono mobilitare di 100 miliardi di dollari l’anno di finanziamenti per il clima.
Vi ritenete soddisfatti di questi accordi?
Sicuramente è importante registrare da parte di tutti i Paesi il riconoscimento dell’urgenza e della necessità di agire. Tuttavia ci aspettavamo di più. Basta guardare al nostro Paese dove nonostante le molte parole spese che denotano la volontà di agire, il nostro piano di energia è ancora fortemente improntato sulle fonti fossili e prevede in particolare la realizzazione di numerose nuove centrali a gas. Se andiamo a vedere le politiche energetiche delle principali compagnie energetiche, ad esempio l’Eni (di cui tra l’altro lo Stato partecipa alla proprietà), sono ancora totalmente incentrate sulle fonti fossili. Le fonti rinnovabili di contro sono bloccate. Sono queste le azioni che noi ci aspettiamo prima di ritenerci soddisfatti.
Il motto di Legambiente è: pensare globalmente, agire localmente. Cosa si dovrebbe fare a livello locale in ottica ecologica e di risparmio di risorse?
Ora è importante accompagnare la transizione ecologica sui territori, quindi a livello locale è necessario che ci sia dibattito, coinvolgimento e partecipazione delle comunità per la realizzazione degli impianti ad energia rinnovabile. Le comunità energetiche, come quella da noi fondata in periferia a Napoli, sono uno strumento molto utile e attraverso questi progetti si può unire il bisogno di giustizia ambientale al bisogno di giustizia sociale. Inoltre è importante che tutti facciano in prima persona pressione sulle istituzioni, come già fanno benissimo i ragazzi di “Fridays for Future”, gli altri movimenti giovanili e i tanti ragazzi che fanno parte di Legambiente. Ma soprattutto è necessario impegnarsi con attività di volontariato; il 20 e il 21 novembre parteciperemo alla campagna denominata “Festa dell’Albero” in cui pianteremo centinaia di migliaia di alberi in tutta Italia. È un piccolo gesto ma se ognuno partecipa sul suo territorio può sicuramente fare la differenza.
A settembre si è tenuto anche il “Youth for climate” un summit che ha visto impegnati ragazzi di 186 paesi per affrontare le principali urgenze e priorità dell’azione climatica. Che contributo hanno dato i giovani e in quali iniziative e progetti si tradurrà?
Dal nostro punto di vista questa iniziativa che ha fatto il governo nella città di Milano ci è sembrata un’iniziativa molto di facciata. Vediamo in giro molto Greenwashing, ovvero spacciare per ecologico ciò che di ecologico non ha nulla. Si ritorna addirittura a parlare di nucleare o soluzioni come quella di mettere la CO2 sotto terra; tutte soluzioni che guardano al passato. Non bisogna strumentalizzare i giovani, e crediamo che siano loro i veri protagonisti scesi in strada per la Pre Cop a Milano e a Glasgow. Bisogna ascoltarli e bisogna che le loro proposte siano accolte e messe in atto. Ci è sembrato invece che lo Youth for climate volesse mettere i giovani in evidenza ed utilizzarli senza dar seguito alle loro proposte con decisioni concrete.
Legambiente è da sempre contro il nucleare ma di questi tempi visto l’inquinamento del carbone e anche la difficoltà nel reperire nuove valide risorse energetiche, potrebbe essere un’alternativa?
Il nucleare non è assolutamente un’alternativa. Non c’è difficoltà nel reperire nuove risorse energetiche; le risorse, come l’energia solare o l’energia eolica, ci sono e sono anche pronte. Il problema è che queste energie sono attualmente bloccate anzi direi quasi boicottate. Nel nostro Paese dove si continua ad autorizzare continue trivellazioni al largo delle nostre coste, non si costruiscono invece le pale eoliche per motivi paesaggistici, come se le piattaforme petrolifere fossero belle e le pale eoliche fossero brutte. In Italia per avere l’autorizzazione a costruire pale eoliche ci vogliono sei anni mentre la media europea è sei mesi. Il nucleare ha dei costi esorbitanti e non è comunque accertata la sua sicurezza. Abbiamo visto quello che è successo a Fukushima pochi anni fa. E soprattutto resta il problema delle scorie che non si sa come smaltirle. Ancora dobbiamo risolvere il problema delle scorie del fallimento del nucleare di più di quarant’anni fa. Lo riteniamo un dibattito pretestuoso e inutile e una perdita di tempo per non investire da subito nelle soluzioni reali che sono le rinnovabili.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni