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#stregati da Il colibrì

A pochi giorni dall’assegnazione del Premio Strega 2020, universalmente noto e riconosciuto come il più importante premio letterario d’Italia, sale la curiosità per gli autori della sestina e le loro opere.

Il risultato sembra scontato: già da tempo il favorito è Il colibrì di Sandro Veronesi (già vincitore nel 2006 con Caos calmo), edito da La nave di Teseo. Come spiegare l’hype intorno a questo libro?

Sin dalle prime pagine non si può non fare caso al topos ricorrente negli inizi di tutti i suoi romanzi: un uomo, solitamente borghese, benestante, soddisfatto, si ritrova a fare i conti con una verità dirompente che lo colpisce con ferocia, manda tutto in frantumi e lo porta a riconsiderare il giudizio che sino a quel momento aveva voluto dare a sé e a chi gli sta intorno.
Come se questo non fosse sufficiente a fidelizzare il lettore, il rigo sette della prima pagina recita: «Del resto, la migliore descrizione che si può dare di qualunque posto è raccontare cosa vi succede, e qui sta per succedere qualcosa di importante». Ed è qui che capiamo che Marco Carrera, protagonista del romanzo, ci prenderà per mano e ci porterà alla scoperta del suo stesso vaso di Pandora.
A differenza di inizi roboanti che spesso non mantengono le promesse, Il colibrì, pagina dopo pagina, cattura il lettore in un crescendo impellente. È, senza ombra di dubbio, un romanzo ispirato, scritto da un autore geniale che mette insieme citazioni (talvolta malcelate, talaltra manifeste), liste della spesa, dialoghi simili a voli funambolici e, soprattutto, il disprezzo per il lato oscuro dell’uomo fatto di risentimenti, invidie, avidità.
La vita di Marco Carrera è costellata di perdite e di dolore, il passato sembra trascinarlo a fondo lasciandolo senza scampo. Eppure, egli non precipita, anzi si muove freneticamente per rimanere saldo e, lentamente, risalire in straordinarie acrobazie esistenziali. Proprio come fa il colibrì, tra gli uccelli più piccoli al mondo, capace però di rimanere immobile a mezz’aria grazie al battito d’ali che lo contraddistingue e che va, frenetico, dai 12 agli 80 battiti al secondo.

Sandro Veronesi costruisce intorno a Marco Carrera e alla sua resilienza il ritratto di personaggi indimenticabili e un’architettura romanzesca che si muove tra gli anni ’70 e il futuro prossimo, inchiodandoci alla sedia in attesa dell’Uomo Nuovo. Ogni pagina ha un che di nostalgico per una vita che va via troppo in fretta, per le cose che vanno in maniera imprevedibile – e mai come vorremmo. E in un susseguirsi di ellissi, trucchetti e scorciatoie, Veronesi riempie il romanzo di colpi di scena strazianti e coincidenze impossibili.
Il Colibrì è un romanzo che sembra scritto da sé, come del resto succede a tutti i grandi romanzi: scomposto e maturo, sicuramente ambizioso, a tratti commovente, certamente suggestivo. Ed è anche un romanzo epistolare: le lettere fra Marco e Luisa (donna con cui intrattiene un amore platonico pluridecennale), fra Marco e il fratello Giacomo sulla gestione dell’eredità dei genitori, da Marco alla nipotina sono uno scaltro espediente descrittivo. A questo, dobbiamo affiancare la capacità di tracciare una narrazione non lineare che amplia l’asse temporale e la mescolanza accorta, come solo Veronesi sa fare, di passato, presente e – perché no? – futuro.

Sebbene nella seconda parte la lettura possa farsi leggermente più complessa, il finale val bene lo sforzo perché quello de Il Colibrì è un viaggio nell’animo umano, nelle dinamiche concrete della coscienza e nella necessità del mutamento.