Spreco alimentare, prevenire e curare da Nord a Sud con il Progetto Arca

Nonostante se ne continui a parlare poco, lo spreco alimentare è ad oggi una delle sfide più importanti che la nostra società si trovi ad affrontare. Gli alimenti ancora commestibili che vengono gettati via rappresentano infatti la terza fonte di emissioni a effetto serra.

Per cercare di contrastare questo fenomeno si è deciso di istituire una giornata nazionale di prevenzione che, da ormai undici anni, si tiene il 5 febbraio. Una ricorrenza che ha il chiaro scopo di provare a dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030, tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile annunciati dall’ONU.

Basti pensare che nel 2022, anno di ripresa post pandemia, sono stati gettati 27 chili di cibo l’anno a persona. Un dato che si accentua al sud (+ 8% di spreco rispetto alla media nazionale) e per le famiglie senza figli (+ 38% rispetto alla media italiana). Vale 6,5 miliardi di euro lo spreco di cibo nelle case e oltre 9 miliardi di euro lo spreco di filiera, fra perdite in campo e sprechi nella catena dell’industria e della distribuzione del cibo.

Dati controversi se si considera che in Italia oltre 2,6 milioni di persone faticano a nutrirsi regolarmente a causa dell’aumento dei prezzi e dei rincari delle bollette, e che il 9,4% della popolazione versa in condizione di povertà. Lo sanno bene i volontari di Progetto Arca che, da 30 anni, lavorano per la tutela dei più bisognosi, fornendo sia servizi di accoglienza che sostegno alimentare. Ne ha parlato con noi Alberto Sinigallia, presidente di Fondazione Progetto Arca.

Quando e come nasce Fondazione Progetto Arca?

Fondazione Progetto Arca nasce nel 1994 per iniziativa di un gruppo di amici mossi dal desiderio di aiutare le persone in stato di indigenza. Viene così aperto a Milano il primo Centro di Accoglienza Residenziale per persone senza dimora con problematiche di dipendenza. Nel corso degli anni i progetti, il numero dei volontari e le aree di intervento aumentano in maniera esponenziale fino ad arrivare alla struttura odierna che vede impiegati 200 dipendenti e oltre 500 volontari. Il nostro obiettivo è aiutare le persone che si trovano in stato di grave povertà ed emarginazione sociale: persone senza dimora, famiglie indigenti, persone con dipendenze, rifugiati e richiedenti asilo.

Quale motivo si nasconde dietro alla scelta del nome?

Il nome riprende l’idea dell’Arca di Noè, che raccoglie ogni tipologia di animali/persone con la finalità di intraprendere una traversata, in acque anche impervie, destinata alla rinascita. Con l’obiettivo di ricordare che questo viaggio ha nel cambiamento la meta intenzionale, abbiamo introdotto la parola “progetto”.

In quali città prestate i vostri servizi e quali sono le mansioni principali che svolgete?

Progetto Arca si trova a Milano, Varese, Torino, Padova, Roma, Napoli e Bari. L’aiuto viene fornito dalle Unità di strada, che distribuiscono beni semplici e primari come un pasto caldo e vestiti puliti. Sul fronte del sostegno alimentare, dal 2020 la fondazione ha dotato le 7 città in cui opera di Cucine Mobili e foodtruck allestititi con forni e bollitori a bordo, fermandosi nei punti strategici delle città. L’obiettivo delle azioni messe in campo è di andare oltre l’assistenza e aiutare le persone a riprendere una strada di ripresa e integrazione sociale. Le strutture di accoglienza prevedono infatti la presenza di equipe educative multidisciplinari che si occupano di aiutare le persone a ricominciare una vita all’interno della società, attraverso la ricerca di un lavoro e di una casa da cui ripartire. Inoltre aiutiamo le numerose famiglie che non riescono a sostenere il rincaro del costo della vita sia attraverso i Market solidali – dove le persone possono fare la spesa gratuitamente – sia distribuendo pacchi viveri direttamente alle famiglie più bisognose.

Oggi, 5 febbraio, si tiene la giornata nazionale di prevenzione contro lo spreco alimentare. Che messaggio vi sentite di dare a coloro i quali, distrattamente, sprecano prodotti di ogni genere alimentare?

Il cibo è un bisogno primario e prezioso per ognuno di noi. E lo testimoniamo con la realizzazione dei market solidali, che nascono dall’idea di superare la standardizzazione del pacco alimentare che da anni consegniamo alle famiglie fragili. Evitare lo spreco di cibo non è solo un’azione a monte dei market solidali, ma riguarda anche le famiglie che utilizzano le tessere, che sono invitate a non sprecare. In questo i volontari hanno un ruolo prezioso: creare una relazione con la famiglia, guidandola negli acquisti più oculati.

In media, quante persone aiutate nell’arco di un anno?

Nell’ultimo anno abbiamo dato aiuto a oltre 53 mila persone, in Italia e all’estero. E distribuito in strada, con le Cucine mobili, 235.686 pasti, di cui 100.459 a Milano.

Chi sono i più vulnerabili, le persone che vi chiedono maggiormente aiuto?

Le famiglie numerose con bambini sono quelle maggiormente in difficoltà. La condizione di estrema fragilità, che deriva dal dover accudire minori quando si vive uno stato di indigenza economica, aumenta le richieste di aiuto.

Avete riscontrato, nel corso degli anni, un incremento o un calo dei bisognosi?

Negli ultimi anni, complici la pandemia, la guerra in Ucraina e la crisi energetica che ne è derivata, il numero delle persone bisognose è aumentato notevolmente. Dal nostro ‘osservatorio’, stimiamo un 20% in più di richieste di aiuto.

Quanto è confortante per una persona che vi chiede aiuto sapere di poter contare su un gruppo di volontari che mettono al primo posto il suo benessere?

Durante tutto l’anno i volontari delle Unità di strada girano per le città distribuendo beni di conforto alle persone senza dimora, ma anche e soprattutto per rilevare i bisogni psicologici e materiali, e offrire orientamento sui servizi di assistenza del territorio. La distribuzione è parte essenziale di un aiuto che non è mai solo materiale. Per chi vive in strada, ma anche per le famiglie che accedono ai market solidali, è facile cadere nella rassegnazione. Riuscire a sentire l’attenzione e la cura da parte dei volontari e degli operatori che si occupano di loro può davvero fare la differenza. Ascolto e cura restituiscono dignità e forza a chi si trova ad affrontare un periodo di difficoltà.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni