Ultima Generazione ed Extinction Rebellion, quando i più giovani scendono in campo per il clima

Da almeno quindici anni a questa parte sentiamo spesso parlare di cambiamento climatico, dovuto alle variazioni a lungo termine delle temperature e dei modelli meteorologici che sconvolgono il normale equilibrio della natura. Una delle tante preoccupazioni in ottica futura che si sovrappone ai quotidiani e personali problemi di ognuno di noi nel presente. 

In particolar modo, la minaccia principale per gli esseri umani e per tutte le altre forme di vita sulla Terra è il surriscaldamento globale, causato dalla combustione di combustibili fossili (come il carbone e il petrolio) che porta alla produzione di gas che trattengono il calore.

Affinché si attui un cambiamento e si stimoli alla riflessione, decine e decine di attivisti, da anni, si ribellano per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento. L’ultimo caso si è materializzato lo scorso 29 dicembre, dove i militanti del movimento ambientalista Ultima Generazione hanno colpito la Galleria di Milano, imbrattando con la solita vernice arancione (da loro considerata “lavabile”, ma è stato dimostrato, purtroppo, il contrario) l’albero di Natale firmato Gucci, proprio all’ombra dell’Ottagono. Alla domanda da parte di un passante “perché lo fate?”, gli attivisti hanno risposto – tramite rivendicazione social – di chiedere al Governo un fondo preventivo di 20 miliardi per riparare ai danni delle catastrofi climatiche che stanno distruggendo le nostre vite. Perché Gucci? Perché a detta loro “è un’azienda che fattura 10 miliardi l’anno, dà un milione in beneficenza e intanto continua ad alimentare un sistema di lusso e di consumo che sta decretando la nostra condanna a morte”.

Anche in Olanda non sono rimasti a guardare, dove gli attivisti di Extinction Rebellion hanno provocato un vero e proprio blocco stradale ad Amsterdam. I dimostranti si sono incollati all’autostrada nelle vicinanze dell’ex sede della banca Ing, accusata di finanziare l’industria dei combustibili fossili. Tra gli striscioni portati dai manifestanti ne spicca uno con la scritta “Cambia o muori”. Per molti attivisti l’azione è un atto di ribellione in quanto, di fronte alla crisi climatica e all’inerzia dei governi, l’unica cosa che resta da fare è ribellarsi per la vita. E li vediamo lì, seduti sull’asfalto con le gambe incrociate, in attesa di smuovere qualcosa nelle istituzioni, a sacrificarsi per un bene più grande, senza nessuna forma di egoismo personale. Questi movimenti si sono diffusi in più di sessanta paesi, anche in Italia, dove hanno aderito persone di ogni estrazione sociale; dagli studenti ai pensionati, dagli psicologi agli insegnanti, dal Veneto alla Sicilia. Ribelli divisi in gruppi di lavoro, che si coordinano tra di loro, senza gerarchie né una struttura centralizzata. Molti amano paragonarsi a stormi di uccelli o ad alveari ma, al di là delle apparenze, l’obiettivo è uno ed uno soltanto: non arrendersi di fronte allo snobismo più totale da parte di chi sta al potere.

Ma per farne parte bisogna fare una scelta non negoziabile: la non violenza. Gli attivisti si servono della disobbedienza civile non violenta per far sentire la propria voce e avanzare tre richieste: verità, azione e assemblea cittadina. In Italia come in altri paesi, chiedono al Governo di dichiarare l’emergenza climatica ed ecologica, di agire per fermare la distruzione degli ecosistemi e della biodiversità e, allo stesso tempo, per portare le emissioni di gas serra allo zero netto entro il 2025. L’obiettivo ultimo è un’assemblea di cittadine e cittadini creata dal Governo per orientare le decisioni sulla giustizia climatica ed ecologica.

Possono non stare simpatici, creare disagi alle persone, mancare di rispetto ad infrastrutture e opere d’arte, ma sono comunque da apprezzare i loro vani tentativi di allungare l’insediamento umano sulla Terra. Parliamo anche di ragazzi di 19 – 20 anni che potrebbero benissimo starsene davanti ai videogiochi o pensare a fare shopping dalla mattina alla sera, tra una sigaretta e uno shottino, poltrendo sul divano o scatenandosi in discoteca. E invece no: decidono di scendere in campo, rischiando di essere picchiati o persino arrestati. Mettono in conto di essere odiati ma, in parte, è proprio questo il loro obiettivo. La rabbia è un segnale positivo, perché essa genera conflitto e disordine positivo che porta milioni di persone ad avviare discussioni sul clima, anche attraverso il confronto sulla legittimità delle azioni compiute dagli attivisti. Insomma, nel bene o nel male purché se ne parli.

Peccato che molti si concentrino non sul contenuto fattuale o logico di un’azione, ma sul modo in cui questa venga compiuta, ignorandone completamente l’utilità o lo scopo.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni