South Working – Lavorare dal Sud, il progetto che promuove il lavoro agile

Elena Militello, dottoressa di ricerca in Diritto e Scienze umane, è ideatrice e presidente di South Working – Lavorare dal sud, un’iniziativa di Global Shapers Palermo Hub, che ha l’obiettivo, attraverso il lavoro agile, di permettere ai lavoratori di scegliere da dove lavorare migliorandone la qualità della vita. Come leggiamo nella Carta dei diritti del South Worker, il Sud è un concetto relativo, perché “siamo tutti il Sud di qualcun altro”. Recentemente Elena è diventata ricercatrice (RTDA) presso l’Università di Messina.

Raccontaci di te e di South Working
A 17 anni sono andata via da Palermo e mi sono trasferita a Milano, dove ho studiato Giurisprudenza alla Bocconi. Dopo la pratica di avvocato a Milano e il dottorato a Como ho vissuto ben tre anni all’estero, tra Stati Uniti, Germania e Lussemburgo, dove ho scritto la tesi del dottorato; lì mi è stato offerto un post doc: ero partita a Gennaio e sarei dovuta rimanere fino a luglio quando è scoppiata la pandemia. Dato che l’Università era chiusa sono rientrata in Sicilia. Ero così felice di essere tornata a Palermo e durante la quarantena ho avuto l’idea e ho buttato giù una proposta di progetto: tutti i giornali parlano di recessione, non c’è un interesse specifico per il sud, le differenze e le disuguaglianze di sistema rischiano di aggravarsi ulteriormente, e visto che tanti di noi erano già tornati, ed i miei coetanei con esperienza si sono trovati a lavorare bene a distanza – tra l’altro in modalità di lavoro emergenziale e non ancora agile –  ho pensato che si potesse replicare quello che si faceva in ufficio però a casa. Sono una sostenitrice del lavoro agile, perché consente di definire gli obiettivi prima, lasciando il lavoratore libero di organizzarsi meglio e di non essere contattato in ogni momento; mentre nel caso del telelavoro devi essere disponibile da un orario all’altro e tendenzialmente anche indicare i luoghi da cui lavori, invece con il lavoro agile, secondo la definizione già esistente nella normativa italiana: la legge 81 del 2017, all’art. 18 si specifica che si tratta di un lavoro per obiettivi, cicli e fasi, senza particolari limitazioni di tempo e di spazio. Quindi se già così con queste modalità emergenziali, si è riscontrato un così notevole consenso, in termini di miglioramento di qualità della vita e di soddisfazione personale, organizzando il tutto in maniera seria – dato che all’inizio sembrava un’utopia – potrebbe davvero funzionare; l’aver toccato una corda nell’animo di molti fuori sede l’ha resa una possibilità. Noi puntiamo alla qualità e vogliamo dimostrare che sia possibile permettere di spostare chi lo desidera, mantenendo il rapporto con i colleghi, chi può una volta a settimana, sei mesi in un luogo e altri sei in un altro, l’idea è proprio questa: flessibilità e volontarietà, valorizzare alcuni lavori che possono essere svolti con queste modalità, e permettere di organizzarsi, questo vale soprattutto per coloro che hanno una certa fiducia da parte del datore di lavoro, perché lavorare per obiettivi presuppone responsabilizzazione. Richiede un cambiamento totale sia di leadership che di processi produttivi, perché c’è una cultura aziendale di controllo molto forte, soprattutto in Italia, dove c’è stato un salto in avanti dovuto al Covid. Richiede una definizione chiara di obiettivi e indicatori di performance chiave a cui non tutti sono abituati, e quindi lì si potrebbe intervenire: tanti studi dell’Osservatorio di smart working di Milano fanno emergere un miglioramento di produttività in lavoro agile (quantificato tra il 15 e il 20%) quindi è una convenienza in più anche per le aziende e per il sistema Paese che è uno di quelli con il più basso tasso di produttività in Europa per il numero di ore lavorate. Ritengo che sia una possibile soluzione win win in cui entrambi i portatori di interesse lavoratori e aziende possano trarne un beneficio.

Quali sono secondo voi gli strumenti da adottare?
A livello pubblico sarebbe necessaria una precisazione dei diritti di chi lavora a distanza perché la legge esiste già ma i diritti sono ancora poco tutelati. L’idea del South Working è anche quella di recuperare un equilibrio tra vita personale e professionale che nei contesti più competitivi veniva spesso messo da parte. Siamo partiti con un sondaggio esplorativo rivolto ai lavoratori, presentato nel rapporto Svimez in cui alla domanda sul grado di soddisfazione in merito ad alcuni indicatori di benessere come qualità della vita, rapporti personali e familiari, potere d’acquisto, relazioni sociali, emergono gradi di soddisfazione bassissimi: coloro che hanno risposto (circa 1800) sono altamente formati, giovani sotto i 40 anni, con ottimi lavori, molti a tempo indeterminato. Percepiamo entusiasmo nel voler fare qualcosa per i territori di provenienza, perché molti sono di ritorno, ma ci sono anche persone che vogliono vivere al sud, o che vengono dall’estero e che vogliono passare dei periodi dell’anno in luoghi in cui la qualità della vita sia migliore. Uno dei dati più rilevanti è che abbiamo chiesto all’inizio la soddisfazione attuale e se le persone oggi vivessero nel luogo in cui desidererebbe vivere, e abbiamo domandato adesso, tra cinque anni e tra dieci anni, e noi ci immaginavamo che i ragazzi che stavano facendo carriera volessero vivere nel luogo dove vivono adesso ma che non si vedessero in quel luogo fra 5, 10 anni, ed invece è emerso che anche adesso la maggioranza non vive neanche adesso nel luogo in cui vorrebbe vivere. Come soluzione puntiamo a migliorare la situazione delle regioni meno sviluppate e la coesione; il primo strumento sono i contratti di lavoro a distanza ma questo è solo il primo passo, il secondo è che i lavoratori che tornano si mettano insieme per generare idee per i territori in cui scelgono di vivere, sia a livello di intesa, di start up, di innovazione.

Quali obiettivi state perseguendo come gruppo?
Stiamo lavorando su tre fronti: uno di advocacy, stimola il movimento di opinione, con l’obiettivo della coesione economica, sociale e territoriale – è una delle priorità europee e si inserisce bene in questo difficile processo di recupero post-crisi che affronteremo nei prossimi anni.
Il secondo è l’obiettivo dello studio del fenomeno (Osservatorio del South Working) quindi tramite l’osservatorio raccogliere quanti più dati, articoli ed esperienze possibili.
Terzo, il supporto ai portatori di interesse in primis i lavoratori, quindi nella fase di negoziazione stiamo cercando di creare una rete di studi giuslavoristici per aiutare a negoziare queste modalità di lavoro, sia in fase di arrivo nei territori di destinazione, tramite l’inserimento nel database pubblico trasparente della mappatura di tutti gli spazi di coworking, che è già sul sito. Proprio perché in questi mesi abbiamo visto che il problema del telelavoro emergenziale è stato l’isolamento, e dato che vogliamo stimolare i territori di destinazione, dobbiamo prevedere una diffusione capillare di luoghi che ti mettano comunque in condizione di lavorare con strumenti adeguati, stampanti, scanner, sedie ergonomiche, momenti di networking: quest’ultima parte è stata percepita come molto importante da chi ritorna perché come diciamo anche nei nostri casi personali nei luoghi in cui si sceglie di vivere non si hanno molte reti sociali, sia perché si proviene da un altro luogo, sia perché fra di noi quasi tutti sono emigrati, è dunque importante creare un ambiente stimolante. Speriamo di avviare dei progetti sperimentali sia con le aziende che con le pubbliche amministrazioni locali: con le aziende e gruppi di lavoratori possibilmente randomizzati vedendo i differenti impatti sulla produttività e sul benessere del lavoratore, sia con le pubbliche amministrazioni proponendo policy per incentivare e attrarre lavoratori a distanza dalle città meno sviluppate e proporre cosa migliorare a livello di servizi e infrastrutture immediatamente, nel medio termine e a lungo termine. Nel breve termine sono necessarie almeno tre infrastrutture fondamentali: una buona connessione internet a banda larga, un aeroporto vicino per rientrare in sede quando necessario e terza uno spazio condiviso pubblico o privato.


Già pubblicato, in versione ridotta, su L’Altravoce dei Ventenni-Quotidiano del Sud 28/12/2020