Sono solito dedicare questo spazio a portare alla sbarra tutte le differenze, grandi e piccole che caratterizzano le due culture che vivo in parallelo ormai da qualche anno, ovvero quella italiana e quella statunitense. Con il dovuto garbo che impone la delicatezza del tema trattato, merita attenzione un fenomeno che sta imperversando incontrastato in entrambe le nazioni – ma un po’, a dire il vero, in molte altre zone del mondo occidentale – ovvero quello di tramutare tutto in mero tifo da stadio.
Il tema centrale è quello della guerra scoppiata a Gaza, che occupa ormai stabilmente le prime pagine dei giornali, e difficilmente da lì sloggerà per un bel po’. Inizialmente – non lo nego – quando ho pensato di scrivere sull’argomento, la mia prima reazione fu quella di scappare a gambe levate, data l’estrema complessità del tema, ma questo, a dirla tutta, ha finito per fornirmi il vero spunto per l’articolo stesso.
Già, perché mentre dall’altra parte del pianeta matura una guerra le cui radici si poggiano in decenni di conflitto di difficile decifrazione anche per i politologi più esperti di geopolitica, ovunque, altrove, si spendono cortei e manifestazioni in favore cieco dell’una o dell’altra parte in causa. Esempi, tutti, di un totale disinteresse, quasi un’avversione, nei confronti della complessità delle cose. La convinzione, invece, che tutto possa essere iper-semplificato fino a trovare una soluzione banale quanto puntare il dito contro qualcuno, e risolvere così un enigma la cui soluzione richiederebbe per lo meno lo sforzo di averne letto la descrizione.
E invece no. Sia in Italia che negli Stati Uniti vedo fronteggiarsi sostenitori dei due schieramenti, dal basso delle manifestazioni, all’alto delle istituzioni politiche, con toni spesso tragicamente non distinguibili tra loro.
Una spaccatura che merita un approfondimento è quella che qui negli Stati Uniti ha visto protagonisti da un lato le grandi università d’élite americane, dunque le varie Harvard, Princeton, Yale, e tanti altri nomi che sentiamo nei film, che hanno ospitato al proprio interno manifestazioni e volantini in favore della causa palestinese. Dall’altro, invece, le élite intellettuali ebree, grandi donatori di queste università, e ben rappresentate da personaggi televisivi e attori molto influenti. Insomma, uno roster di nomi indistinguibile dai titoli di coda di un film di Hollywood.
È ormai cult lo sfogo del celebre conduttore televisivo Bill Maher, che commenta le immagini degli studenti inneggianti alla liberazione della Palestina invitando apertamente tutti a boicottare le università e a non iscriversi dato che, nonostante gli oltre $300,000 di retta, non sembra che gli studenti ricevano un’istruzione all’altezza.
Perché tutto questo merita un approfondimento? Non (soltanto) per la spettacolarizzazione di un conflitto in una nazione che non riesce ad uscire dall’obiettivo di una cinepresa hollywoodiana, quanto piuttosto dal fatto che tra un anno si terranno le elezioni presidenziali, e sono in pochi a cogliere la portata che questo conflitto avrà sulla corsa alla Casa Bianca.
La sensazione, è che questa guerra – e la reazione del Presidente Biden – possano rappresentare la pietra tombale sulle sue chance di rielezione. Non è un segreto che la presidenza Biden non sia una delle più felici e apprezzate di sempre. Nessuno si aspettava fosse facile affrontare una pandemia e due guerre di respiro globale, ma gli indici di gradimento tra i più bassi di sempre tradiscono indubbiamente qualche responsabilità.
Sulla guerra a Gaza, Biden non ha esitato ad offrire il proprio supporto incondizionato a Israele e Netanyahu, con il solo flebile invito a non invadere del tutto l’area. Una raccomandazione che non sembra aver trovato terreno fertile nelle orecchie dell’alleato.
Con questa mossa, Biden entra non solo nel conflitto di tipo armato, ma anche in quello culturale di cui sopra, che vede coinvolte tutte componenti della costellazione di elettori democratici. Se sicuramente andrà a consolidare il voto delle élite culturali ebree, su cui comunque, in buona parte, poteva già contare, rischia molto seriamente di alienarsi altre componenti, quali quella legata alle élite culturali universitarie e quella del Black Lives Matter, che si è apertamente schierato in favore della Palestina.
In un’elezione già in bilico, persino il Presidente cade nella trappola del tifo da stadio, e questa mossa potrebbe pagarla a caro prezzo.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni
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