Morti senza dignità: il virus che nega il diritto di dire addio

È risaputo oramai: il Coronavirus ha sfiorato e “infettato” ogni brandello della dignità umana, non per ultimo ha pregiudicato quello che idealmente potremmo definire “il diritto di morire” o, a dirla meglio, il diritto di ricevere “degna sepoltura”.
Le vittime di questi ultimi mesi, infatti, non appena esalato l’ultimo respiro, sono state avvolte in lenzuola intrise di soluzione disinfettante e riposte nelle bare immediatamente sigillate e trasferite in crematorio. 
Non si era certi del fatto che il corpo dei defunti infetti potesse essere o meno a sua volta vettore per il virus e determinare, quindi, un aumento dei contagi. 
Nessuna sepoltura, allora, per i morti di Coronavirus, nessun ultimo saluto da parte dei loro cari: queste persone sono morte e la loro morte è passata inosservata (o quasi).

Al contrario, nonostante pandemia e funerali vietati,non inosservata è apparsa la morte del Sindaco di Saviano (NA), Carmine Sommese, morto a 66 anni proprio di Coronavirus; né tantomeno quella di Rosario Sparacio, fratello del noto boss Luigi, numero uno della mafia messinese degli ultimi anni ’90 e poi collaboratore di giustizia.
I De Luca di turno – il governatore della Campania nel primo caso e il Sindaco di Messina nel secondo– hanno dovuto, in piena emergenza Covid-19, anche fronteggiare gli illeciti cortei funebri posti in essere a commemorazione dei due defunti. 
Se, però, la reazione del primo è stata più risoluta e dura – Vincenzo De Luca ha infatti bloccato fin da subito gli ingressi e le uscite dalla cittadina per una settimana con l’obiettivo di identificare e controllare lo stato di salute di tutti coloro che erano scesi in strada – il caro Cateno, Sindaco del messinese, è stato tacciato di pressapochismo, connivenza; i giornali locali si chiedevano, infatti: “Il sindaco non si è accorto di nulla?”

Ebbene, malgrado tutte le norme anti-Covid, le raccomandazioni professate negli ultimi mesi e il numero di morti che abbiamo visto incredibilmente aumentare – noi sugli screen dei nostri televisori durante la rassegna stampa della Protezione Civile e i nostri medici sotto i loro occhi – c’è chi non ha saputo rinunciare agli ultimi saluti e all’estrema unzione. 

Una clamorosa trasgressione collettiva ai divieti e un’insopportabile ingiustizia verso coloro i quali sono morti soli, senza aver potuto godere del compianto dei propri affetti. 
Andando oltre l’illiceità e all’inopportunità della cosa, che senso ha, mi sono chiesta, violare le disposizioni del governo per contenere il contagio solo per dare un ultimo saluto?

La risposta l’ho trovata nei miei appunti di letteratura italiana, nello specifico laddove trascrivevo le parole d’amore che le mie prof riservavano ad un uomo vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, un pensatore, l’ultimo illuminato e precursore dei romantici, un riformista legato al mondo classico, una personalità contraddittoria divisa tra razionalità e irrazionalità: Ugo Foscolo. 

Per Foscolo la valorizzazione della poesia si inserisce all’interno di una concezione pessimistica della storia e della società: egli attribuisce alla stessa la gestione eroica dei grandi valori della civiltà, la cui incarnazione storica non cancella l’iniquità dei rapporti sociali ma al massimo le si sovrappone e la giustifica.

Nel 1806 il napoleonico editto di Saint-Cloud fu esteso anche all’Italia: esso sanciva l’obbligo di seppellire i morti in specifici cimiteri extraurbani escludendone, come al contrario era accaduto fino a poco tempo prima, la sepoltura in chiese o altri luoghi cittadini ispirandosi a criteri prima di tutto igienici ma anche di egualitarismo sociale. 
Foscolo pensò alle valenze civili e simboliche dei cimiteri: scrisse, pertanto, un carme – i famosi 295 endecasillabi sciolti che tutti ricordiamo –dedicato all’amico Ippolito Pindemonte, “Dei Sepolcri”. 

https://cultura.biografieonline.it/dei-sepolcri/

La tomba ha nella letteratura foscoliana il valore di collante in tutto ciò che concerne la civiltà umana: il sepolcro, per Foscolo, è il luogo in cui si manifesta la continuità fra la vita e la morte e, quindi, la continuità di trasmissione dei valori da una generazione ad un’altra. 
In effetti, mediante il ricordo e la commemorazione dei cari defunti, tutti gli uomini mantengono un legame con i morti: è ciò è vero sia su un piano individuale quanto su un piano storico poiché il ricordo delle “grandi imprese” e dei “grandi eroi” garantisce l’identità di una nazione.

L’unica vita, pertanto, dopo la morte è quella che si consuma nell’animo di chi rimane e di chi, quindi, commemora e ricorda. 

Il carme, diviso essenzialmente in quattro parti, affronta il tema dell’utilità delle tombe e dei riti funerari, indaga sulle diverse tradizioni funerarie che si erano fino ad allora susseguite, sul rapporto tra significato personale e sociale della morte ed, infine, ribadisce il valore morale della morte, livellatrice delle ingiustizie della vita e quello parallelo e fondamentale della poesia, il cui compito è quello di celebrare le virtù e di conservare nel tempo il ricordo di chi non c’è più al di là di ogni limite temporale.

Ecco perché la rilevanza, nella nostra cultura religiosa e non, dei riti funebri. 
Da un punto di vista laico e puramente materialistico le tombe sono inutili, esse acquistano significato allorché legate alla dimensione sociale dell’uomo, alla sopravvivenza dell’estinto nella memoria dei vivi.

Foscolo indaga sul senso della morte e sul rapporto fra scomparsi e superstiti: in un’epoca in cui le certezze religiose vengono meno, il poeta ha saputo ridimensionare la grandezza della vita umana e dei limiti che la caratterizzano ridefinendo in via inedita il valore della morte, che riconcilia e concilia tutti. 

La sepoltura non riscatta per chi muore la perdita della vita, irrimediabile destino; il sepolcro può, però, divenire simbolo di coraggio e di speranza per chi resta e per chi, di fronte la morte, si sente perduto. 
Piangendo e ricordando la dipartita di un caro, infatti, riusciamo a sentire il defunto incredibilmente di nuovo vicino.

Il sepolcro, dunque, fa un dono di cui la vita ci priva: l’immortalità nella memoria di chi ci ama. 

Affinché venga garantita la durata della memoria nel tempo, però, occorre che qualcuno si dedichi a onorare il ricordo di chi non c’è più: Foscolo delega questo compito alla poesia; io oggi lo delego ad ognuno di noi. 

E allora, affinché nessuno dimentichi ogni singola vittima deceduta a causa del Coronovirus, è obbligo nostro adesso commemorare e far sì che queste morti non risultino vane. 
Pertanto, sebbene manchi un luogo fisico ove recarci e pregare, è nostro compito dare idealmente una “degna sepoltura” a costoro mediante la forza evocativa del pensiero e del ricordo che assume una funzione non solo individuale ma sociale: onorare tutte le vittime per far sì che nessuno di loro sia dimenticato.

La perdita di un caro, soprattutto senza potergli dire addio, è una ferita incurabile, ma se noi oggi non ci atteniamo alle regole, usando i presidi e rispettando la distanza di sicurezza per scongiurare nuovi contagi e nuove morti, renderemo tale sacrificio vano.

Durante la fase due ci viene chiesto di mostrare una forma più acuta di rispetto verso chi non c’è più, verso noi stessi e il prossimo: a nulla varrà pregare per ciò che è accaduto se diveniamo, di nuovo, i carnefici di noi stessi.

Già pubblicato, in versione ridotta, su Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei Ventenni 11/5/2020