Cosa fa davvero curriculum?
In base ai principi della scienza economica, il mercato evolve costantemente assecondando i fisiologici assestamenti delle curve di domanda e offerta. Di rimando, le fluttuazioni del mercato incidono anche sul mondo del lavoro, che si trasforma pure influenzato dall’evoluzione tecnologica e dalle dinamiche sociali. Nel corso del tempo, ad esempio, per un verso alcuni mestieri vanno scomparendo per obsolescenza, per l’altro nascono e si sviluppano nuovi settori operativi in cui sono necessarie professionalità del tutto inedite. Basti pensare a come si è espanso pervasivamente negli ultimi anni il settore del digitale, in cui sono proliferate nuove professioni, producendo una esplosiva domanda di lavoratori specializzati.
In questa complessa alchimia, un ruolo centrale è certamente giocato dal tema della istruzione e della formazione dei futuri lavoratori. Nell’insieme, non è possibile riassumere in un’unica traiettoria come sia cambiato e stia cambiando il ruolo della formazione preparatoria al mondo del lavoro, ma certo è che negli ultimi anni sul tema si è concentrato un dibattito multi-livello. Le relative riflessioni investono prevalentemente la formazione universitaria e post universitaria.
In epoca recente, il mercato ha valorizzato in modo particolare i percorsi di formazione post lauream di stampo professionalizzante. Sono nati e si sono sviluppati, nel solco di questa tendenza, master e corsi in collaborazione tra mondo accademico e operatori mercato. Proprio questi corsi, in cui le professionalità del mondo del lavoro e dell’impresa si incontrano con la realtà istituzionale dell’università, costituivano e costituiscono una comoda cerniera tra istruzione e lavoro.
Ma anche altri fenomeni, più complessi e per certi versi ancora indefiniti, sono andati sviluppandosi all’orizzonte. Ad esempio, molti operatori economici hanno attivato iniziative interne di formazione per il personale da reclutare (o appena reclutato). Alcune grandi realtà societarie, dotate di strutture organizzative complesse, hanno in sostanza ingegnerizzato corsi formativi propri, finalizzati al reclutamento del personale (ad esempio accademie, training). Questo tipo di iniziativa consente di offrire al lavoratore una formazione specifica per il ruolo da ricoprire, seppur con una utilità asimmetrica. Asimmetrica perché le competenze fornite sono di norma customizzate per la specifica realtà e non sempre possono essere in un futuro spese altrove, il che ridonda anche in una maggiore fidelizzazione verso l’azienda.
Ancora, nella formazione specifica ai fini dell’inserimento nel mondo del lavoro giocano di recente un ruolo importante gli enti privati di formazione, che si stanno affermando nel mercato anche puntando su partnership con gli operatori economici destinatari finali delle assunzioni.
Alla luce di questi nuovi canali, si profila sempre più il rischio di una perdita di centralità del rapporto tradizionale tra istruzione istituzionale e lavoro.
In questo articolato panorama, un tema ricorrente è poi quello di un possibile superamento del valore dei titoli di studi. Per “valore legale” di un titolo di studio si intendono essenzialmente, nella ricostruzione più essenziale, gli effetti giuridici che conseguono al possesso del titolo medesimo. Quando si parla di superamento del valore legale dei titoli, si intende poi di rimettere la valutazione sull’effettivo valore di un titolo al soggetto che intende assumere. Nel privato, è già essenzialmente chi assume a stabilire se e quanto considerare un certo titolo nella valutazione di un curriculum. Attualmente, gli effetti giuridici dei titoli si esplicano principalmente nel settore pubblico. Per partecipare ai concorsi ai fini del reclutamento nelle amministrazioni pubbliche, è normalmente richiesto un titolo di accesso (la laurea, il diploma di istruzione secondaria superiore) e gli ulteriori titoli costituiscono usualmente fonte di punteggio supplementare. Abbattendo il valore legale dei titoli, non sarebbe più ammissibile ogni automatismo di valore.
A frenare queste prospettazioni, resta il fatto che il conseguimento di un titolo comprova la proficua frequenza di un complesso e articolato percorso, la cui importanza e il cui peso non possono (e non devono) essere vanificati. Semmai, si può immaginare di ampliare i contenuti dei corsi di studio per inserirvi momenti esperienziali e lavorativi che arricchiscano il bagaglio finale degli studenti. Ad esempio in alcuni percorsi potrebbero essere implementate – ma sempre con razionali calibrature alchemiche – attività professionalizzanti ed esperienze di formazione sul campo, così da ampliare le competenze pratiche (come già succede, con discreti risultati, in molti ambiti).
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni
Ph.D. Researcher in Scienze Giuridiche e Politiche a Roma. Avvocato con esperienze da giudice arbitro e redattore in varie riviste giuridiche. È autore di oltre cinquanta articoli in materia giuridica, nonché di un editoriale in lingua inglese per la NEU.