Mi ritrovo a scrivere un pensiero che mai avrei voluto scrivere, o che avrei voluto scrivere per i suoi ottanta anni oggi, e non per una sorta di in memoriam.
Tutti muoiono, ma alcuni muoiono un po’ di più. È stato il mio primo pensiero questa mattina, quando il tenue sole di novembre ha puntato un unico raggio sul mio letto e mi ha svegliato, come ad augurarmi una buona giornata. È bastato prendere in mano il telefono per leggere che oggi sarebbe stato tutto un po’ più vuoto, per tanti, in maniera diversa.
In casa mia, quattro generazioni diverse hanno commentato il tutto con un sorriso spento, malato, di chi si sforza di accettare ancora l’ennesima dipartita all’interno del continuo bombardamento giornaliero di morte e dolore. Non esistono morti di serie A e morti di serie B, ma esistono persone che lasciano un segno più profondo di altre ed il bello del tutto è anche questo, che alcuni riescono a condizionare così tante persone differenti da farci sentire tutti meno diversi.
Il segno lasciato da Gigi Proietti è tangibile in un mondo sfuggente e ha un peso specifico per tutti coloro che credono ancora nell’arte, pura e semplice agli occhi di molti ma tanto complessa se la si analizza in maniera critica.
La notizia ci lascia attoniti e ci fa sentire sempre più orfani della purezza del teatro, che nonostante gli anni, non si era mai abituato all’assenza di mostri quali Eduardo De Filippo e Carmelo Bene, e in questa solitudine cerca di rialzarsi nonostante debba costantemente lottare contro il travolgente vortice culturale invaso dalla digitalizzazione. Lui era questo, una specie di scultura romantica ancora aggrappata ai vecchi miti nostalgici, che resisteva al trascorrere del tempo e continuava ad esserne messaggero.
Personalmente, ho ascoltato il suono di Roma attraverso le sue parole, sempre pesate e mai banali, nell’incanto di un teatro, nel multiverso cinematografico, nello schermo televisivo. Ho sempre avuto una immagine di lui che trascorreva il tempo che non mostrava, a vivere una sorta di vita “popolare”, quella quotidianità che è difficile cercare e trovare in persone dello spettacolo, ma che con lui sempre quasi scontata, naturale, perché parte di un mondo in estinzione.
Così era un po’ l’amico che tutti avrebbero voluto nel proprio gruppo, il nonno dalle feste comandate che puntualmente diceva la parola fuori che avrebbe provocato ilarità e rabbia, il padre comprensivo e severo sempre presente ma mai invadente. Il bisogno di seguirlo in tutti questi anni nasceva proprio da questo, dalla naturalezza con cui piacevolmente intratteneva il suo pubblico e quella voce, così calda ed immersiva, mi ha colpito fin dal primo ascolto, fin da quando cantavo ero così piccola da non ricordare molto se non le canzoni del Genio in Aladdin, e lì mi sentivo trasportata e mi facevo trasportare in un universo di sensazioni felici.
Oggi quella voce accompagnava programmi televisivi come Ulisse, donando un un viaggio storico magico, ha sostituito maestosamente la voce di Gianni Musy/Gandalf in “Lo Hobbit” ed ha continuato ad interpretare i suoi mille cavalli di battaglia, che ognuno di noi ha trasposto nella quotidianità: forse per questo spesso si parla di lui come se lo si conoscesse nella sua intimità (e fortunatamente non è davvero così), perché amava così tanto il suo pubblico da donare parti di sé stesso ad altri ed essere parte delle vite degli altri. Sempre pronto ad essere critico ma avvolto dall’amore più grande per Roma, mai rinuncia al grande amore per il teatro, anzi regala sogni di una notte di mezza estate attraverso l’apertura del Globe Theatre, in una Villa Borghese calda e poetica, per fa dimenticare, seppur momentaneamente, il degrado che la città subisce quotidianamente, spogliata della sua maestosa sacralità.
Ho sempre pensato che la sua morte avrebbe causato una forte mancanza e la percezione che si vada verso un mondo dove si subirà l’assenza di uomini di spettacolo come lui, da sempre rappresentazione di una semplicità cristallina e un sorriso sincero, e ne sono ancora più convinta oggi, quando ci ritroviamo a unire nuovamente i puntini all’interno di un disegno confuso in cui l’esistenza di alcuni regala una sorte di pace e realizzazione che ci sono cose al mondo sinceramente travolgenti ed è meraviglioso farsi travolgere.
Grazie per il testamento universale che hai lasciato, grazie di averci regalato questo.
Ciao Gigi.
Crediti: www.ansa.it
Abruzzese come gli arrosticini, romana d'adozione, residente presso Terra di Mezzo, domiciliata presso Hogwarts, laureata in Giurisprudenza per caso, si ispira a De Andrè e Pink Floyd. Interista, afflitta da cinefilia, adora scrivere ma mai farsi leggere.