Libertà (di espressione) è partecipazione

Prima Pio e Amedeo, poi Fedez al Primo Maggio, poi ancora la Giornata internazionale della libertà di stampa. Ciascuno di questi episodi o ricorrenza basterebbe a tenere impegnata l’opinione pubblica, ma se tutto accade nel giro di pochi giorni diventa ancora più difficile decifrare gli eventi – e le reazioni.

Partiamo con ordine.
La libertà di conoscenza e di manifestazione del pensiero affonda le radici nello stoicismo greco e romano, strettamente legata all’idea stoica di un potere di scelta morale. A essa sono dedicati l’art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, l’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e l’art. 21 della Costituzione italiana. Le libertà di cui godiamo oggi sono arrivate dopo secoli di battaglie, scontri politici e sociali, dittature: un bene preziosissimo, da non sprecare e preservare ogni giorno.

Cos’è accaduto, invece, nei giorni scorsi?

Il 30 aprile è andata in onda su Canale5 una puntata del programma televisivo Felicissima sera, durante la quale i due comici Pio e Amedeo hanno messo in guardia gli spettatori dalla dittatura del politicamente corretto, mettendo in scena un monologo durato circa venti minuti. “Ci vogliono far credere che la civiltà sta nelle parole, ma è tutto qua nella testa”, ha premesso Amedeo, “fino quando non ci cureremo dall’ignoranza di quelli che dicono con fare dispregiativo, che è quello il problema, ci resta un’unica soluzione: l’autoironia”. Da qui, hanno puntato il dito contro gli stereotipi del politicamente corretto, dalle donne agli ebrei, dai neri agli omosessuali: secondo il duo, il problema non sarebbero le parole, bensì le intenzioni. Come risolvere il problema? Ridendoci su, anzi ridendo in faccia a chi utilizza un linguaggio dispregiativo e discriminatorio.
Il linguaggio, tuttavia, è forma e sostanza. Per scomodare ancora una volta il buon Nanni Moretti e Palombella rossa, “Le parole sono importanti”. Il contesto, gli interlocutori e le intenzioni comunicative hanno certamente il loro peso, ma le parole utilizzate dal duo sono la sintesi delle espressioni razziste, omofobiche e offensive travestite da buone intenzioni che dovremmo tutte e tutti rigettare con forza. Non dimentichiamo, inoltre, che la retorica del “sono solo parole” viene utilizzata da quelle fazioni politiche che cercano di raccattare consensi alimentando la cultura dell’intolleranza, della discriminazione e del consenso ipocrita di quella parte di società che non sa – e non vuole – fare i conti con il razzismo e l’omotransfobia di cui è permeata. Come se questo non fosse abbastanza, ironizzare sugli episodi di discriminazione invitando a farsi una risata alimenta lo svilimento di parole – e gesti – che feriscono e spesso uccidono.
Questa non è satira, non è ironia: è solo e purtroppo l’ennesimo episodio di abuso di privilegio da parte di due uomini bianchi ed etero che, estranei a tutte le discriminazioni di cui sopra, proclamano a gran voce principi inaccettabili.
Il giorno dopo, mentre la polemica divampava, sono arrivate le parole di Fedez sul palco del Primo Maggio. Il rapper ha portato all’attenzione innanzitutto sulle condizioni dei lavoratori dello spettacolo fermi da più di un anno, con un invito al Premier Mario Draghi affinché la categoria non venga dimenticata e un affondo sulle disparità di trattamento del settore rispetto allo sport, anzi al calcio. Il suo intervento è proseguito spostandosi su temi sociali e civili quali l’approvazione del DDL Zan e l’ostracismo del senatore Ostellari, riportando poi frasi omofobe pronunciate da esponenti leghisti quali “Il matrimonio gay porta all’estinzione della razza” o “Se avessi un figlio gay lo brucerei nel forno”, facendo nomi e cognomi. A margine del discorso, Fedez ha dichiarato di aver ricevuto pressioni dai vertici Rai e dagli organizzatori prima di salire sul palco. La Rai ha prontamente smentito, ma il rapper ha diffuso a mezzo social prima e stampa poi la telefonata intercorsa alcune ore prima. Quegli stessi vertici Rai, ricordiamolo, che sono stati nominati nel 2018 dal governo Conte I, all’interno del quale il partito della Lega aveva un ruolo rilevante. Quello stesso partito che, insieme a Fratelli d’Italia, ha difeso a spada tratta i due comici pugliesi.
Quindi per un partito al governo e per un partito all’opposizione è necessario difendere la libertà di parola quando due conduttori parlano di froci e negri, ma al tempo stesso urge impedire a un artista di tenere un discorso che riporta virgolettati di esponenti di uno di questi stessi partiti. Anche in questo caso le reazioni sono state tra le più disparate: alcuni hanno accusato Fedez di aver utilizzato uno spazio pubblico per promuovere una linea di smalti e un noto marchio di abbigliamento sportivo; altri hanno attaccato la carriera del rapper, definendolo anche “un signore con la terza media e vestito in modo discutibile”; talaltri, addirittura esponenti politici quali Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti, hanno da subito appoggiato il suo intervento, scontrandosi con i loro trascorsi recenti e la loro stessa incapacità di cambiare un sistema in atto da decenni. Quel sistema cui si accennava nella telefonata, quel sistema che non si batte contro le fake news né tutela la libertà degli artisti e dei giornalisti, quel sistema schiavo di se stesso e dei capricci della politica. Sullo sfondo, suona ancora più triste e profetico il commento del sindacato Usigrai che afferma: “Noi un ‘sistema’ in Rai lo denunciamo da anni: ed è esattamente quello della partitocrazia, che – a partiti alterni – occupa il Servizio Pubblico. Come del resto accadrà ancora una volta nelle prossime settimane con il rinnovo del CdA”.
Le polemiche continueranno a infuriare, soffiando come venti in tempesta e riempiendo di fumo gli occhi dei meno attenti.

Il problema di fondo, allora, qual è? Un duo comico discriminatorio, il discorso di un rapper, Mediaset o la Rai stessa?
Il problema è il sistema culturale italiano, l’assuefazione allo status quo, l’ascesa degli estremismi, il simbolismo borghese di una sinistra che ha perso la sua identità.
Libertà di espressione è libertà di pensiero, è – ancora e sempre – partecipazione, soprattutto quando ci vorrebbero stretti nei ranghi e asserviti ai rapporti di potere.