L’attualità di Màrquez “ai tempi del Coronavirus”

I sintomi dell’amore sono gli stessi del colera”: era il 1985 quando il premio Nobel Gabriel Garcia Màrquez pubblicava il suo famosissimo romanzo, originariamente in spagnolo e poi tradotto in tutto il mondo, “El amor en los tiempos del cólera”. 

Definito come “un romanzo iconico, una lettura ristoratrice, che ci ricorda che se nella vita non si lotta per qualcosa o qualcuno, allora tutto diventa scialbo e senza senso”, lo stesso rientra nella mia lista di libri preferiti e proprio in questi giorni di “quarantena forzata”, ho deciso di rispolverarlo un po’. 

Devo ammetterlo, Màrquez non è di certo noto per la sua “leggerezza” narrativa (mai letto Cent’anni di solitudine?) ma ciò che più lo caratterizza è l’incredibile attualità delle sue storie, sebbene le stesse siano sempre ambientate in tempi apparentemente così distanti da noi: realismo magico, così è stato definito dai critici il suo filone letterario di appartenenza.

Ebbene, proprio a testimonianza della sua immortale attualità, voglio raccontarvi un episodio accaduto in Italia proprio di recente. 

Qualche giorno fa è circolata online la notizia di quel ragazzo che, sprovvisto di autocertificazione per la circolazione da un comune ad un altro, si recava senza alcuna remora dalla sua fidanzata, motivo per cui lo stesso è stato poi fermato e multato dagli organi di polizia preposti al controllo della zona.

10 marzo 2020, il coronavirus, che ha ormai vinto il primato de “il male del secolo” rubando il posto al suo amico cancro, ha scelto di dimorare anche in Italia, in casa nostra, dove indisturbati e negletti continuavamo a condurre la nostra quotidianità con una percentuale di paura ancor bassissima. 

Non eravamo pronti, forse attendavamo il suo arrivo, ma non così presto. 
Il governo, preoccupato dalla velocità di diffusione che ha dimostrato il virus nel nostro territorio, ci ha imposto di stare a casa, di non uscire se non per casi di necessità ed urgenza: dobbiamo fermare il contagio.
Il premier Conte, giovedì scorso, proclamando le nuove misure urgenti di cui al D.P.C.M. 11 marzo 2020, ha concluso il suo discorso dicendo “Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci con più calore, per correre più veloci domani. Tutti insieme ce la faremo.”

Ma il ragazzo di Nichelino (TO) non era pronto a lasciare andare la sua amata, non era pronto a non vederla fino a data destinarsi, voleva abbracciarla, riconquistarla.

Stiamo cercando di attuare misure contenitive del virus, ma come si fa, mi chiedo, a contenere i sentimenti?      
Ed ecco qui che rientra in gioco Màrquez.

Márquez, portandoci indietro nei Caraibi del XIX secolo, ci racconta un amore ambientato ai tempi del colera, lì dove la malattia era già endemica da decenni: ciò che affascina qualsiasi lettore è l’accostamento metaforico fra l’amore e l’idea per cui lo stesso è paragonato ad una vera e propria “patologia”, appunto il colera.
Ed è, infatti, proprio lo stesso Fiorentino Ariza, il protagonista del romanzo, a dire che “l’amore ha gli stessi sintomi del colera”, proprio perché esso si diffonde come una malattia contagiosa, portando chi ne è colpito a percepire sintomi febbrili e a compiere azioni folli. 
Come il colera, come tutti i virus contagiosi, come il coronavirus oggi, l’amore sconvolge a tal punto la vita da modificarne il corso, gli obiettivi, i pensieri. 
Fiorentino Ariza ha contenuto e perseverato nel suo amore per Fermina Daza per cinquantun anni, nove mesi e quattro giorni, senza mai vacillare davanti a nulla, non si è arreso di fronte a nessun ostacolo.

Màrquez ci descrive un eterno ed incrollabile sentimento che continua ad essere nutrito e a crescere contro ogni possibilità fino all’inatteso, quasi incredibile, lieto fine. 
Una storia d’amore e di speranza, un’epopea di passione e di ottimismo. 
Fiorentino è uno di quei personaggi che una volta incontrati è difficile dimenticare, perché la sua figura è emblema della dedizione nel perseguire qualcosa in cui si crede, e tutto ciò dona a chiunque forza e dignità, dimostrandoci che non perdere la speranza è la chiave per sconfiggere qualsiasi mostro.

I sentimenti sono sentimenti, sempre, in ogni dove e in ogni tempo. 

Fiorentino Ariza è riuscito a contenerli nel 1879 e per cinquantun anni, nove mesi e quattro giorni, e anche se ha avuto paura, non ha mai perso di vista il suo obiettivo. 
Fiorentino, poi, non aveva mica a disposizione internet, videochiamate, stories e via dicendo; ha sopportato la sua quarantena in silenzio e rispettando, involontariamente, una vera distanza per anni. 
Allora noi, oggi, abbiamo l’obbligo morale, per noi stessi e per i nostri cari, di imparare a contenerci e ad amarci, a volerci bene, ad abbracciarci a debita distanza. 

Stiamo lontani ma proviamo ad annullare le distanze, quelle che ci fanno dubitare ogni giorno dei nostri affetti, che ci invitano a sottovalutare l’entità delle nostre emozioni. 

Stiamo lontani ma diamo costante voce al nostro cuore, alimentiamolo, perché tornerà il giorno in cui potremo star vicini, senza frapporre fra noi e i nostri cari alcuna distanza di sicurezza. 

Come nel romanzo di Màrquez, anche oggi il protagonista indiscusso deve essere il sentimento, quello vero, contrastato, capace di mettere in dubbio ogni certezza. 
Ed è così che Florentino e Fermina, diventano di grande insegnamento proprio oggi per noi tutti: il loro sentimento che ha preso la forma di una danza – rincorrersi, sentirsi, amarsi, perdersi, ritrovarsi – con la paura di essere “contagiati” da una malattia che non conosce cura, nessuna via di scampo: l’amore. 

Quel tipo di amore che non ha limiti, né protocolli da seguire, un amore che sfida il tempo. 

Perché contro i virus esistono i vaccini, anche se oggi il rimedio sembra lontano e il male incurabile. 

L’amore è l’unica malattia che rimane, l’unico contagio di cui abbiamo bisogno.

L’amore ai tempi del colera diventa allora un inno all’amore senza tempo, al coraggio di credere che in fondo basterebbe imparare a lottare con sacrificio per ottenere ciò che ardentemente desideriamo.

E allora, cari amici, lottiamo insieme, per poter tornare ad amarci ed abbracciarci più forte, al più presto e senza paura. 

Articolo già pubblicato sul Quotidiano del Sud – l’Altravoce dell’Italia di lunedì 16/03/2020

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Martina, sempre la più piccola dell’annata ‘94, laureata LUISS in Giurisprudenza, si definiva ad otto anni “simpatica, anche se i miei fratelli dicono che parlo troppo. Sono una persona responsabile, riflessiva, apprensiva, equilibrata, e molto sensibile, ma soprattutto un po’ pettegola. Sono allegra, divertente e socievole, mi piace stare in compagnia per scherzare, giocare e raccontare barzellette.” Da allora le cose non sono cambiate: parla sempre tanto, pensa sempre troppo e rimane la solita rompi scatole.Va sempre di corsa, non sa stare ferma e forse mostra troppi denti quando sorride.Ama emozionarsi con le piccole cose e cerca in ogni momento un motivo per sorprendersi.E’ un’inguaribile romantica e a volte, a furia di stare con la testa fra le nuvole, rischia di cadere in qualche burrone, dal quale però, trova sempre la forza di rialzarsi!