Quattro chiacchiere sulla musica, tra amici
Devo fare una premessa: conosco molto bene Salvatore Maria Ruisi. O, perlomeno, conosco la sua musica.
Durante il periodo universitario, io studiavo spesso assieme ad Alessia, la ragazza che sarebbe diventata sua moglie. Alla fine del ripasso, riuscivamo spesso a sentire Salvatore suonare, anche alcuni pezzi di canzone che poi avrebbe sviluppato negli anni.
Avete presente quei motivi che vi ricordano un periodo della vostra vita?
Ecco, per me uno dei più bei periodi della mia lo ripercorro nella mia mente con le canzoni di Salvatore Maria Ruisi in sottofondo.
Ciao Salvo, dai tempi dell’università alla vita da genitore: come è cambiato il tuo approccio alla musica? Riesci a “fare le prove” ancora a casa?
Carissimo Rocco, ciao e grazie. Quanti bei ricordi all’università, a Pisa ho lasciato un pezzo del mio cuore. Ritorno spesso quando posso e tutto sembra rimasto uguale. Siamo noi a cambiare, ma nemmeno più di tanto. La voglia di scrivere e di raccontare è rimasta immutata e la musica come allora riempie le mie giornate in maniera profonda e a 360 gradi. Cambiano le forme e i contenuti ma l’approccio alla musica è sempre lo stesso, di infinita meraviglia e continua ricerca. Adesso ho una consapevolezza e una maturità diversa rispetto al periodo universitario, anche se, in certe cose, il mio essere infantile è sempre presente. A volte mi sembra di essere un coetaneo di mia figlia quando giochiamo assieme per ore intere e riesco a mettere da parte per un momento certi pensieri, responsabilità e progetti vari. Se da un lato adesso ho meno tempo, certi eventi della mia vita, crescendo, mi hanno comunque arricchito trovando così, tra le cose di ogni giorno, più spunti e più inspirazione rispetto a prima.
“Niente non rimane niente”, probabilmente non l’avrei mai potuta scrivere nel periodo dell’università. In merito alle prove, così come ai tempi dell’università cammino in casa sempre con la chitarra in mano, prima tra i libri e adesso tra i giocattoli. E anche questo non è cambiato. Il mio spazio lo trovo sempre e poi, quando devo suonare seriamente, mi isolo nel mio studio (saletta prove). Lì ho costruito il mio mondo, tra i miei strumenti, infiniti appunti ed è dove trascorro la maggior parte del tempo. In un angolo ho uno scatolone pieno di fogli e di vecchi scritti, alcuni risalenti proprio al periodo universitario.
Tu hai fatto un po’ il percorso “inverso”, concedimi la semplificazione, iniziando a suonare proprio nelle piazze e tra le persone mentre ora, invece, stai registrando. Ti piace più registrare? Vorresti tornare a suonare tra le persone (COVID, permettendo)?
Tra le due cose preferisco assolutamente suonare live rispetto a registrare. Sono due mondi diversi, anche se parliamo sempre di musica. Al momento della scrittura di un brano lo immagino già su un palco per cantarlo tra la gente. Il fine è quello. Passare per lo studio prima dell’esibizione consente al brano di crescere e di trovare una forma più completa ma non è un passaggio obbligatorio. Lavorare in studio, inoltre richiede delle competenze e una formazione non indifferente ed è un lavoro che non riesco a svolgere da solo. Ho atteso il momento giusto, affidandomi a dei professionisti del settore che stimo molto e che hanno saputo dare alle mie canzoni quel quid in più, necessario, affinché possano far parte di un disco. I live sono emozioni che crescono e in continuo mutamento da un esibizione all’altra e poi c’è quella alchimia magica che lega l’artista al pubblico. Un disco è, invece, qualcosa di fisico, che rimane nel tempo sempre uguale e che racchiude quindi quelle emozioni con addosso il miglior vestito del momento.
Nel momento in cui stiamo facendo questa intervista, c’è la settimana di Sanremo. Io so che tu hai partecipato e sei arrivato alla “finalissima”, per la selezione dei “giovani”. Puoi parlarci di piú di questa esperienza? Ti è stata utile, nonostante tutto?
E’ stata un’esperienza incredibile e mi è stata moto utile per confrontarmi con una grande realtà, forse la più grande per il seguito che riesce a creare da sempre. Sono partito in punta di piedi, senza nessuna aspettativa, convinto di fare la mia parte e tornare subito a casa. Ma poi sono andato avanti; ad ogni step notavo come cresceva sempre più la percezione e la consapevolezza di me stesso e della mia musica. Gli apprezzamenti e quel consenso hanno finalmente sbloccato una maturità artistica che mi ha fatto capire che ero quel che facevo e che quel che facevo aveva un senso non più soltanto per me. Mi trovavo sulla giusta via, al posto giusto.
Poi sono andato a casa lo stesso, dopo essere arrivato in fondo alla finalissima ed essermi esibito al casinò di Sanremo, ad un passo dall’Ariston ma questa vicenda è un altro discorso che nulla ha a che fare con la musica. Anche questo fa parte dell’esperienza.
In questi giorni sto guardando Sanremo come sempre. Essere lì è il sogno di molti artisti e pensare di averlo accarezzato così da vicino non ti nego che mi mette addosso un po’ di malinconia. Allo stesso tempo però mi da una grande forza per continuare su quella via, spingermi aldilà di ciò che ho fatto. Sono ancora all’inizio del mio tutto, non ho ancora fatto niente e se esiste sempre un peggio esisterà anche un meglio. Quel meglio non sarà mai abbastanza e non mi potrà mai bastare.
Nonostante tu sia un giovane, fai un genere molto diverso da quello della maggior parte dei cantanti giovani “moderni”. Ti hanno mai chiesto di cambiare stile (andando piú sul commerciale) e perché non lo hai mai fatto? O comunque, pensi che in un futuro, cambierai?
Certo che me lo hanno detto, o comunque in maniera indiretta me lo hanno fatto capire. Poi io non mi sento giovane, a dire il vero sotto alcuni aspetti, sento di essere vecchio dentro. Ad esempio, forse sarà un fattore caratteriale, ancora non riesco a sfruttare al massimo la presenza sui social e sul web. Cosa fondamentale per un’artista. Mi piace ad esempio, ancora, scrivere sui fogli con la penna, piuttosto che al pc.
Saper smanettare sugli smartphone per un’artista, forse è importante tanto quanto smanettare su uno strumento musicale. Ma io scrivo canzoni solo perché ho qualcosa da dire e la voglio dire a modo mio e nel modo che più mi appartiene. Non ho smanie di successo o di emergere a tutti i costi e non sono quindi interessato a fare qualcosa che sia lontano da me. Sento la necessità di essere sincero, in primis, con me stesso per emozionarmi e per cercare di dare al meglio qualcosa agli altri. Non escludo, tuttavia, che in futuro possa esplorare nuove vie musicali o altre espressioni artistiche, se succederà non sarà, di certo, per seguire la moda del momento. Essere un cantautore, nel mondo della musica di oggi non è semplice, farsi ascoltare e avere la giusta attenzione è molto complicato non soltanto da chi ascolta musica ma anche da chi la musica la produce.
Ti faccio una domanda un po’ più politica, se vogliamo. Rispondimi ovviamente come puoi: quanto contano le etichette e quanto la capacità artistica per avere successo, al giorno d’oggi?
Politicamente parlando ho una naturale predisposizione a stare in qualsiasi contesto sempre all’opposizione. È più forte di me, quando tutti la pensano allo stesso modo o la via da seguire è sempre e soltanto una, rimanere in riga a fare la fila mi viene difficile. Anche nel sistema musica mi ritrovo a pensarla un po’ così. Rispondendo nel merito della domanda, credo che entrambe giochino un ruolo chiave nella carriera di un’artista. Senza capacità artistica chiaramente non si ha dove andare. Almeno questo è quello che istintivamente crediamo. Ma poi se ci guardiamo attorno e più a fondo vediamo che non è così e qui forse le etichette e ancora di più le major hanno qualche responsabilità. Il sistema musica riesce a creare personaggi/prodotti anche artisticamente non proprio eccelsi per arrivare ad un semplice risultato che è quello di vendere a discapito del talento e dei meriti. I talent ne sono un esempio lampante. L’arte, e di conseguenza gli artisti, diventano numeri da esibire, da raggiungere, da consultare perdendo di conseguenza il senso della bellezza, dello stupore, della meraviglia. Una volta gli artisti avevano la possibilità di crescere all’interno di una casa discografica e raggiungere il successo anche dopo tre quattro album. L’etichetta cullava e aspettava il fiorire di un’artista in erba. Oggi devi essere pronto, avere già il successo in tasca, anche che duri poco l’importante è sfruttarne la scia.
Quanti artisti abbiamo conosciuto negli ultimi anni che sono stati sulla cresta dell’onda, in cima ad ogni classifica, ospitati in ogni dove e poi scomparsi e caduti nel nulla?
I numeri, le visualizzazioni, i follower, hanno preso il sopravvento sulle parole, sui contenuti, sulla musica. Non è tutto cosi fortunatamente. Ancora c’è spazio, poco, ma c’è, per la bellezza e per vera musica, in ogni contesto, anche nei talent, per dire.
Se la capacità artistica è davvero grande non ci sono logiche di mercato o contesti che possano bloccare una carriera. Magari possono solo rallentarla ma se si è davvero bravi e capaci, se si persevera e si studia con costanza e infine non ci si arrende, prima o poi, qualcosa accadrà. Almeno voglio credere e sperare che sia così, non per me in quanto artista ma in quanto fruitore di musica.
Ok, domanda conclusiva: cosa consiglieresti ai giovani che stanno iniziando questo percorso? Se potessi tornare indietro, cosa diresti al Salvatore Maria Ruisi di 10 anni fa?
Direi di non arrendersi mai, di approfondire sempre di più e di non lasciare nulla al caso. Di ascoltare i consigli di chi è più navigato di te nel mondo musicale ma con coscienza critica, di non farsi guidare dai giudizi degli altri e di costruire il proprio mondo musicale passo dopo passo, senza la fretta di arrivare chissà dove. Nella musica non c’è un arrivo o una meta, c’è un percorso da vivere intensamente anche e soprattutto con sacrifici, dove ogni nota, ogni parola è una continua ricerca di se stessi. E noi non finiremo mai di conoscerci, perché la vita ci cambia e perdersi in questo presente che vola via non è un’impresa da tutti.
Avevo promesso l’ultima, questa lo è davvero.
Prima di salutarci: cosa possiamo aspettarci dal futuro? Hai qualche programma che puoi condividere?
Al momento sono in attesa di esordire con il mio primo album che uscirà in primavera. Nel frattempo in questo periodo di stasi, in piena pandemia ho scritto davvero tanto e sono mentalmente proiettato al secondo album. Però, come ho detto prima, passo dopo passo, con calma, adesso ho solo tanta voglia di ritornare a suonare tra la gente. Questo mi manca tantissimo.
Calabrese, classe 88. Amante degli esempi, è un ricercatore di dettagli, ma spesso perde di vista la sostanza. Parla di tecnologia, politica, cucina e tante altre cose su cui non è affatto preparato. Ha un PhD e sviluppa startup per lavoro.