Kamala Harris e il soffitto di cristallo

È vestita di bianco Kamala Harris quando, nella serata del 7 novembre 2020, sale sul palco del Chase Center di Wilmington, in Delaware, per il suo primo discorso da Vicepresidente eletta degli Stati Uniti. Una scelta non casuale, che non sarà sfuggita ai più attenti: il bianco è, infatti, un omaggio alle suffragette e alle loro battaglie per il diritto di voto alle donne. Prima di lei, anche Hillary Clinton e Geraldine Ferraro scelsero il bianco, la prima quando accettò la nomina alla Convention democratica del 2016 e la seconda quando accettò la candidatura alla vicepresidenza della convention democratica del 1984. E c’è di più: il completo è firmato Carolina Herrera, stilista venezuelana naturalizzata statunitense e la colonna sonora è Work that di Mary J. Blige.
Ce ne sarebbe abbastanza per mandare in visibilio qualunque folla.

Siamo di fronte alla prima Vicepresidente donna della storia degli Stati Uniti, già senatrice dello Stato della California e procuratrice capo della città di San Francisco prima e della California dopo, figlia di una biologa indiana e di un economista giamaicano.
Harris, come già Obama dodici anni fa, sembra rispecchiare i cambiamenti della multietnica società americana: progressista, americana (soprattutto in risposta a chi la definisce afroamericana), agguerrita al punto da aver guadagnato negli anni da procuratrice l’appellativo di top cop.
Una campagna elettorale altalenante, la sua, nonostante uno staff composto da advisor già al servizio di Hillary Clinton nel 2016. Molte le perplessità che ruotano intorno alla figura di Harris, dal rifiuto di perseguire Steve Mnuchin per frodi bancarie a un’attività giudiziaria che la pose, secondo molti, «dalla parte sbagliata della storia», passando per la difesa del mantenimento della pena di morte in California. Si batté per la depenalizzazione della marijuana, una riforma sanitaria (meno radicale di quella proposta da Bernie Sanders), l’introduzione di un sistema fiscale progressivo, l’adozione delle bodycams per gli agenti, ma al tempo stesso è stata accusata di non aver perseguito i poliziotti accusati di violenza.
Una figura carismatica, che porta con sé luci e ombre.  
Eppure, Kamala Harris era già stata una delle prime bimbe nere di Berkeley a frequentare la scuola elementare del ricco – e bianco – quartiere di Thousand Oaks. Laureata in Scienze politiche ed economiche e in Legge, è autrice di due libri accademici e uno per bambini.  Harris è sposata con un avvocato ebreo, Douglas Emhoff, da cui non ha preso il cognome.
Harris è stata la prima procuratrice nera di San Francisco, eletta a soli 40 anni, e la prima donna nera e prima asiatico-americana a diventare Procuratrice generale della California, la prima senatrice californiana asiatica e la seconda nera, sostenuta da Nancy Pelosi.
E ora, prima Vicepresidente donna di colore della storia degli Stati Uniti.

«Anche se sono la prima a ricoprire questa carica, non sarò l’ultima – ha dichiarato durante il suo primo discorso – Ogni bambina, ragazza che stasera ci guarda vede che questo è un paese pieno di possibilità. Il nostro paese vi manda un messaggio: sognate con grande ambizione, guidate con cognizione, guardatevi in un modo in cui gli altri potrebbero non vedervi. Noi saremo lì con voi».

Parole che risuonano, potentissime, e vengono pronunciate con voce ferma, sicura, mentre la sapiente regia inquadra donne giovani, anzi giovanissime, che esplodono in lacrime di gioia.
Harris porta con sé tantissime contraddizioni, ma ha dimostrato a tutte le donne che quel soffitto di cristallo che troneggia sulle nostre teste sin dalla nascita a bloccare le ambizioni e le aspettative può essere abbattuto. Le crepe inflitte nei decenni, anzi nei secoli di lotta, hanno finalmente portato a un traguardo che sembrava ancora lontanissimo: una donna di colore è entrata nell’ufficio di presidenza degli Stati Uniti e ha la possibilità di segnare a lungo il corso della storia.
Chiunque non veda la portata storica di questa elezione, è probabilmente parte di un problema chiamato sessismo e razzismo strutturale. Le idee, le azioni, le competenze e i programmi hanno un peso, ma ce lo ha anche la rappresentanza. Il sistema politico Usa è noto per la scarsa partecipazione garantita alle donne, risultando al 97° posto per la partecipazione femminile alle assemblee legislative. Sono solo 10 le donne che ricoprono la carica di Governatore di uno Stato e nelle elezioni di mid-term del 2018, le donne candidate alla Camera erano 185 su 435 distretti.

Con Harris, donna di colore figlia di emigrati, l’equa rappresentanza tra donne e uomini nella vita politica sembra – e forse è davvero – più vicina e il sogno americano può essere riscritto.

Crediti immagine: Skytg24