IVG e Covid-19, un diritto violato

La storia ci insegna che i diritti delle donne sono “fragili”; vengono ciclicamente messi a repentaglio dalla società profondamente ineguale e ingiusta in cui viviamo.

A questo proposito la scrittrice femminista Simone De Beauvoir scriveva: “Sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione” e così è stato come con i totalitarismi e le guerre civili.

La crisi sanitaria che stiamo vivendo non è da meno con l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) che viene sistematicamente ostacolata in nome della ragionevolezza, della necessità e della morale già da prima dell’emergenza covid-19. La pandemia ha aggravato, di fatto, una situazione di per sé già precaria, fornendo spazio di manovra a quelli che, a 42 anni di distanza della legge 194, ritengono ancora l’IVG una pratica secondaria. Molti ospedali a seguito del DPCM del 9 Marzo hanno riorganizzato i reparti riducendo ai minimi termini o sopprimendo del tutto ginecologia, aggravando così l’iter di una pratica che per legge ha carattere di urgenza.
Sono venuti meno a causa del covid anche i consultori familiari spesso chiusi, autorizzati a rilasciare il documento con cui presentarsi in ospedale per sottoporsi all’IVG.

Già un mese fa l’American College of Obstetricians and Gynecologists, insieme ad altre organizzazioni, ha dichiarato che “l’aborto è una componente essenziale dell’assistenza sanitaria globale. E’ anche un servizio sensibile alle tempistiche in cui un ritardo di settimane, o giorni in alcuni casi, può incrementarne i rischi o renderlo completamente inaccessibile”.
Agire nei tempi utili è essenziale non solo per preservare la salute di chi decide di sottoporsi a questa procedura, ma anche nel rispetto dei limiti legali oltre i quali non è più possibile effettuarla.
La legge stabilisce che l’IVG chirurgico può essere praticato nei primi novanta giorni di gravidanza, mentre quello farmacologico, raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come più sicuro (e meno traumatico) può essere effettuato solo nelle prime 7 settimane, ovvero i primi 49 giorni di amenorrea.
In Italia l’aborto farmacologico è praticato in bassissima percentuale perché le tempistiche legali per usufruirne sono molto più stringenti che negli altri Paesi europei. Infatti i tempi per poter assumere il mifepristone in combinazione con il misoprostolo sono nettamente inferiori rispetto a quelli raccomandati dai farmaci stessi e dell’OMS, che ne permettono l’uso fino a nove settimane, ovvero 63 giorni di amenorrea.

A questo proposito venti associazioni Pro-choice hanno indirizzato una lettera al Presidente del Consiglio Conte e al Ministro Speranza chiedendo di modificare le linee guida dell’IVG farmacologico per uniformarle a quelle già in vigore in altri paesi europei.
Un Paese che si dice civile non può scoraggiare la fruizione di un diritto essenziale, prospettare come modalità per accedervi quella più invasiva e rischiosa, per poi esporre così più facilmente le donne, già vulnerabili e scosse, al biasimo di parte della comunità.
Pro-vita e famiglia, un’associazione antiabortista, ha avviato una petizione online indirizzata al Ministero della Salute e ai presidenti di Regione, per sospendere l’IVG. La motivazione è, ancora una volta, l’idea della non essenzialità del servizio e il presunto spreco di mascherine, guanti, anestesisti e posti letto, preziosi in questo periodo.
Una donna che decide di abortire può quindi ritrovarsi preda di gruppi ultracattolici, ma anche della rabbiosa indignazione di chi non comprende quali sconvolgimenti comporti una scelta simile.

Credo sia importante però ricordare che, al di là della propria idea di giusto e sbagliato, un paese è tanto più civile, quanti più sono i diritti che riesce a garantire alla propria popolazione. Sacrificare dei diritti acquisiti, anche quelli che non ci piacciono, in nome della sicurezza, anche quella sanitaria, è sempre stato preludio di tempi molto bui. Non dimentichiamolo.

Articolo già pubblicato sul Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni lunedì 27/04/2020

Rosamaria Trunzo
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Assistente sociale, sognatrice incallita, idealista per nascita ed irriverente per vocazione. Ama leggere, guardare le maratone di Mentana su la7, i telefilm, il cinema, le arance amare e la politica. Dai posteri verrà ricordata per l'autoironia e la propensione alle battute a doppio senso.