It’s time for a new American dream

Dovessimo scegliere un mito che meglio rappresenti la realtà, ma anche i sogni e le ambizioni di un expat italiano, sarebbe senza dubbio quello dell’American Dream.

L’ho sperimentato sulla mia pelle circa tre mesi fa, quando dopo 32 anni di onorato servizio in terra italica, ho deciso di compiere il secondo grande trasferimento della mia vita (il primo mi portò da Cosenza a Roma) e quindi di trasferirmi negli Stati Uniti, per la precisione a New York. Un cambio di vita radicale, che coinvolge tanto la sfera personale quanto quella professionale. Una sfida che a tutti i livelli porta a misurarti con la realtà più competitiva del pianeta, ma che al tempo stesso ti proietta in un universo stranamente familiare, come il set di un film che hai visto migliaia di volte.
Avrei già tante cosa da raccontare su ciò che ho visto nei miei primi tre mesi americani, ma vi sarà il modo di approfondirli in futuro.

Ciò su cui vorrei soffermarmi oggi, e che più mi ha colpito alla viglia di un trasferimento che il periodo pandemico ha tramutato in un’epopea, è stata la reazione eterogenea delle persone a cui rivelavo il mio imminente cambio di vita. Se infatti fino a un po’ di tempo fa il solo pensiero di New York, con i suoi grattacieli infiniti e le luci a palla che la rendono The City That Never Sleeps, avrebbe fatto illuminare di pari intensità le pupille di qualsiasi interlocutore, non sono stati pochi coloro i quali hanno invece strabuzzato gli occhi, chiedendomi il perché di una tale pulsione. Una reazione che, oltre a stupirmi, getta pesanti ombre su quello che è il percepito globale degli Stati Uniti e del ruolo incontrastato di leader della civiltà occidentale che hanno rivestito negli ultimi decenni.

La verità dei fatti è che l’American Dream, quello che abbiamo imparato a conoscere e amare nei film di Hollywood, e che ha ispirato milioni di italiani nelle loro avventure oltreoceano, semplicemente non esiste più.
Ha lasciato il posto negli ultimi anni a una società lacerata, che sembra dividersi su tutto alzando la tensione oltre i livelli di guardia. Solo di recente, sono stati tantissimi i movimenti tellurici che hanno scosso la società americana. Il movimento MeToo, la Presidenza Trump e gli strappi istituzionali delle elezioni 2020, ma anche la stessa pandemia Covid e il caso George Floyd: tutti fattori che hanno contribuito a generare un’intensificazione esasperata delle richieste in termini di justice and equality da parte della popolazione. Ed è proprio qui che a mio giudizio si può cominciare ad intravedere il nuovo American Dream. Non più nelle mere opportunità di successo economico ed imprenditoriale – che pur dopo qualche botta, sono rimaste estremamente elevate – quanto piuttosto nello slancio verso il voler creare una società migliore. All’American Dream che valorizzava l’individuo spingendo agli estremi le opportunità del singolo legate alla costruzione di ricchezza e benessere, si se ne sostituisce uno più “adulto”, che mira ad affiancarvi la volontà di abbattere ogni barriera precluda le medesime opportunità a tutti e in modo equo.

La strada è in salita, e non mancano esempi di estremismi ed isterie anche da quel lato della staccionata, ma è quanto mai certo che gli Stati Uniti stiano andando verso la direzione di un’autentica rivoluzione culturale improntata alla giustizia sociale.

Solo un nuovo American Dream di questo tipo sarebbe in grado di restituire agli Stati Uniti quel magnetismo tale da attrarre nuovamente a sé l’intero Mondo Occidentale e restituire loro quel ruolo di guida quanto mai necessario in questi tempi incerti.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni