Il medico che ha deciso di rimanere al Sud, l’esperienza di Alessia Ceraso tra specializzazione e volontariato

Alessia Ceraso è medico chirurgo, specializzanda in Otorinolaringoiatria e Chirurgia Testa-Collo al Policlinico Paolo Giaccone di Palermo. Laureata con il massimo dei voti, ha presentato una Tesi sperimentale in Chirurgia Pediatrica “Il varicocele in età pediatrica e adolescenziale: approccio emodinamico” e già rappresentante del Consiglio di Scuola in Medicina e Chirurgia, ha coordinato varie attività di volontariato ed è un bellissimo esempio di giovane professionista che ha scelto di restare al Sud.

Alessia, parlaci un po’ di te

Sono originaria di un piccolo paese della provincia di Messina, Acquedolci. Ho vissuto lì fino all’età di 19 anni, quando, dopo il diploma al liceo classico, decido di lasciare il mio paese per recarmi a Palermo e cercare di realizzare quello che da sempre è stato il mio sogno: diventare medico. Era forte in me il desiderio di aiutare il prossimo, sentivo che questa sarebbe stata la mia strada e che gli ostacoli che avrei potuto incontrare non mi avrebbero mai fermata. E così è stato: a Palermo ho frequentato la facoltà di Medicina e vissuto l’università a pieno: i colleghi sono diventati amici e mi sono appassionata alla vita universitaria candidandomi fin da subito al consiglio di facoltà. Ho iniziato ad amare Palermo, che mi ha dato gli anni più belli della mia vita, tanto da decidere di continuare a lavorare qui. Dopo la laurea e il tirocinio post-laurea, mi sono iscritta all’ordine dei Medici di Messina e ho atteso con ansia la convocazione per il mio primo lavoro: la guardia medica. Sono stata convocata dall’ASP di Messina, emozionata mi recai lì accompagnata dal mio papà. Nonostante avessi a disposizione tante sedi, ho fatto una scelta che per me si è rivelata fondamentale: Stromboli, un’isoletta sprovvista di un ospedale, in cui il medico di guardia era il punto di riferimento per la comunità. Sono partita da sola, con una borsa carica di farmaci che avevo pensato potessero servire per il mio primo ricettario. Per gli isolani all’inizio ero soltanto una giovane e inesperta dottoressa, quella da cui fuggire in attesa del loro medicodi fiducia. Ma la vita dell’isoletta mi ha messo subito davanti tante avventure che hanno messo alla prova il mio carattere e la mia voglia di essere davvero un medico. Così la passione unita ad un pizzico di incoscienza e a tanto studio hanno dato i suoi frutti e hanno reso quell’esperienza unica e formativa.

Hai preso parte a numerosi progetti: ti va di raccontarci di “Ubuntu”- asilo multietnico?

L’attività di volontariato presso il centro Ubuntu rientra all’interno di un progetto che consiglio a tutti gli aspiranti e giovani medici: il Coro di Natale organizzato dai colleghi del SISM. Nel periodo natalizio, dal primo dicembre, un gruppo di coristi non professionisti, ma animati da tanta passione, si recano presso i vari reparti del policlinico e anche in centri come Ubuntu – asilo multietnico, per cantare e allietare con le melodie natalizie gli animi di chi è meno fortunato di noi. I bambini del centro Ubuntu aspettavano con tanta gioia il nostro arrivo e ci accoglievano con canti balli e torte preparate da loro ed era bellissimo questo scambio di culture e di emozioni.

Hai anche coordinato “Sorriso (Smile X): clown in corsia”. Cosa ti ha trasmesso questa esperienza?

L’esperienza della clown therapy per me ha rappresentato il primo contatto con il reparto ospedaliero e con i pazienti; dal primo anno di medicina ho visto cambiare il mio modo di approcciarmi ai piccoli pazienti man mano che prendevo sempre più consapevolezza di ciò che avrebbe significato il mio futuro lavoro. Durante quelle ore sia noi che i pazienti riuscivamo a dimenticare tutto ciò che era spiacevole, si giocava e si regalavano piccoli momenti di serenità e nello stesso tempo anche noi studenti crescevamo e imparavamo che la vita non è mai banale, che la salute, la serenità, non è mai qualcosa di scontato. E tra di noi crescevano i sentimenti di amicizia, di condivisione, in cui il contributo di ognuno di noi era speciale e fondamentale.

Quant’è importante l’empatia nel tuo lavoro?

Nel mio piccolo – sono appena sei anni che svolgo con amore il mestiere del medico – ogni giorno trovo degli spunti di riflessione dall’incontro con i pazienti. I bambini, con il loro affetto incondizionato, se decidono di fidarsi di te, sono quelli che mi emozionano di più. Ho svolto la mia tesi a Chirurgia pediatrica e ho passato anni tra gioie e dolori dei piccoli pazienti e delle loro famiglie. L’empatia è importante ma bisogna stare attenti a non diventare inopportuni. Il paziente è un essere umano che merita di essere trattato con rispetto ed io comprendo subito se chi ho davanti ha fiducia in me, lo capisco dallo sguardo. Sto attenta a non entrare troppo in confidenza, a offrire gentilezza e cortesia, ma senza risultare distaccata.

Si è appena svolto il test d’ingresso a Medicina, che offre più posti. Al tempo stesso, si richiedono più posti nelle specializzazioni.

Con l’aumento dei posti in Medicina ci dovrebbe essere in parallelo anche l’aumento dei posti in specializzazione, o in Medicina Generale; è importante la garanzia di posti di lavoro e la possibilità di formazione per tutti i giovani medici. C’è possibilità di lavoro anche senza specializzazione, quindi comprendo il pensiero di chi vuol fare il medico e pensa che aumentare i posti in ingresso a Medicina sia già una buona cosa, però la formazione garantisce una sanità sicura. 

Molti medici decidono di partire, mentre tu sei rimasta in Sicilia.

Ho scelto di rimanere in Sicilia perché ho accettato le contraddizioni che questa terra porta con sé. Non sempre è stato facile, ma non ho mai pensato alle opportunità perse, qualora fossi andata altrove. Penso che il lavoro non sia tutto nella vita anche se è fondamentale per vivere una vita serena. E la mia vita serena è nel posto in cui voglio vivere, cioè in Sicilia. Mi reputo fortunata perché il mio lavoro posso svolgerlo qui, al contrario di altri professionisti che sono costretti ad andare via. Qualcuno dovrà pur credere al nostro territorio e se tanti giovani ci crederanno allora il futuro potrà essere migliore.

Già pubblicato sul Quotidiano del Sud – L’AltraVoce dei Ventenni il 14/09/2020