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“Henna”, una canzone contro la guerra

Ieri e oggi, sotto i cieli di lucide stelle

La guerra, un concetto tanto antico quanto contemporaneo. L’uomo in preda alle sue battaglie, alle sue conquiste, uomo di ieri e uomo di oggi. 
Il mondo che assiste al pianto degli innocenti, eco lontana che non conosce religione: il dolore non ha etichette. 
Non c’è tregua per la pace, non c’è tempo per la tolleranza: l’uomo ha un desiderio imperituro di conquista, di sicurezza. 

Forse è vero che l’uomo è un lupo per l’altro uomo e che il progresso tecnologico non è stato accompagnato da un progresso morale. 
Gli eventi degli ultimi giorni dimostrano quanto le lancette della guerra siano più veloci di quelle della pace. Da una parte la Russia, la sete di potere, di controllo, e dall’altra parte un territorio destabilizzato, in preda al panico, l’Ucraina. L’economia che tesse i fili dei rapporti tra gli Stati, e la paura di perdere il primato che ne accelera i ricami. 

Sgomentati davanti agli schermi dei nostri televisori seguiamo le notizie delle ultime ore, increduli di un conflitto che scoppia a due passi dalle nostre case. E’ in queste giornate infernali che risuonano assordanti le parole di una canzone, oserei dire eterna, di Lucio Dalla: “Henna”.
Una canzone contro la guerra, una canzone che parla di uomini, di amore e di dolore. 

Lucio Dalla in un’intervista affermava che le canzoni dovrebbero essere anche attualità, ed Henna ne è la testimonianza.

Sono passati quasi trent’anni dalla sua stesura e ancora c’è bisogno di queste parole: così semplici e pungenti, intime e vere, reali e precise. 

Adesso basta sangue, ma non vedi…non stiamo nemmeno più in piedi, un po’ di pietà” è la prima frase che apre il testo del singolo: riassume un grido di aiuto, di disperazione. 

E la pietà, cos’è la pietà? Forse è proprio quel valore che l’uomo perde e ritrova ogniqualvolta alla guerra fa seguito la pace. 
La pietà come impeto di speranza per un’umanità che altrimenti si abbandona alle braccia gelide della morte e della sofferenza. 
Pietà è amore. L’amore come chiave per superare il male. “L’amore che si muove dal cuore, e che ti esce dalle mani.” L’amore racchiuso negli scatti che ritraggono giovani mamme e padri stringere forte ai loro petti i corpicini dei figli, vittime di spettacoli tragici osservati “dall’alto” dei loro occhi magici. La magia negata ai piccoli, la fantasia che deve lasciare lo spazio alla realtà scomoda, ingombrante, cruda. L’infanzia negata. 

E allora sarebbe auspicabile se l’uomo imparasse l’amore dai “cani e dagli altri fratelli animali, dalle piante che sembra che ti sorridono anche quando ti chini per portarle via.” Gli altri esseri viventi, con le loro regole di natura, ci confermano di volta in volta, quanto siano più bravi di noi a stare al mondo. 

La ragione di cui gode l’essere umano, se piegata alle leggi del suo ego, diventa una crudele arma per cagionare dolore. E il dolore di un uomo in qualsiasi parte della Terra, dovrebbe essere avvertito dappertutto. Non veniamo al mondo per il conflitto, non esistiamo per spirito di vendetta. Veniamo al mondo e abbiamo la responsabilità di essere umani. 

Non è bastato il dolore a cambiarci, come sperava Lucio Dalla, ripetendolo nella sua Henna. 
Non è sufficiente avere dei libri di storia colmi di racconti di guerra, di stragi, di dolore appunto. 

Dove vogliamo arrivare? 
Che strada stiamo percorrendo?
E’ forse giunta l’ora che la nostra specie si annulli, che scompaia? 

Perché a questo la guerra, ogni guerra può portare: alla disintegrazione dell’uomo. 

Sotto i cieli di lucide stelle, e nei silenzi dell’immensità. 

Ritorniamo a guardare le stelle e non priviamo chi verrà dopo di noi del diritto di guardarle. 
Riscopriamo la bellezza della pietà, dell’amore, della tenerezza. Perché è forse questo che ci salverà. 


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni