Guardare la TV può insegnarci davvero qualcosa?

L’esempio virtuoso di una delle sitcom più amate dai Millennials: Willy, il principe di Bel-air

Le sitcom degli anni 90 hanno avuto un grande ruolo nella formazione di chi all’epoca era bambino o adolescente, perché sono fiorite sul sentiero che avevano percorso serie come I Robinson oppure Happy days però scollandosi dalla cultura del dopoguerra. Le persone erano pronte a guardare qualcosa in TV che fosse sì comico, ma nettamente più vicino alla franchezza del 2000.

Come si potevano spiegare, ma soprattutto mostrare, proprio con quella autenticità, tematiche come razzismo, povertà, passando per lavoro, famiglia e sesso? Con Willy, il principe di Bel-air!

È facile dire che questa sitcom (in lingua originale Fresh Prince of Bel-air) andata in onda dal 1990 al 1996 ha determinato l’inizio di un’epoca più nuda da preconcetti, quello che si dovrebbe però fare è divulgarla ai giovani ma anche agli adulti che l’hanno dimenticata, per tanti motivi.

Innanzitutto, l’inclusione: la storia parla di Willy, un ragazzo afroamericano interpretato da Will Smith che, da Filadelfia, a causa dell’ambiente malfamato, sua madre manda a casa degli zii, a Bel-air. Si tratta di un quartiere abbiente di Los Angeles, in cui zio Phil, zia Vivian, i cugini Carlton, Hilary, Ashley e il maggiordomo Geoffrey, tutti afroamericani come lui, oramai si sono adattati a una vita comoda raggiugendo l’estremo wellness che alle persone di colore per tanti anni era stato negato. Willy viene dal ghetto, dunque, e questa sarà non solo la prima cosa evidenziata con una gag tra lui e Geoffrey, il maggiordomo inglese e posato, ma una costante in tutte e sei le stagioni: sarà il motivo per cui ogni cosa si svilupperà in determinati modi. Già dai primi episodi Willy non dimostrerà di sentirsi un pesce fuor d’acqua, ma anzi riporterà alla memoria degli zii le loro origini; al tempo stesso, loro che oramai vivono da “bianchi”, lo introdurranno nella società cercando di far emergere tutto il suo potenziale, senza mai denigrarlo. Questo scambio è una lezione importantissima per non etichettare le persone appartenenti ad un quartiere, una città o un paese non benestante, tutte allo stesso modo. Infatti Willy rappa, è di bell’aspetto ed è scaltro in qualsiasi situazione, un antieroe dall’animo puro che non rappresenta “la cattiva strada” o la ribellione: semplicemente, dimostra che le persone possono arricchire emotivamente gli altri e cambiano di contesto in contesto, può migliorare sempre.

Passiamo poi almodello educativo di zio Phil: parliamoci chiaro, i valori elargiti nelle commedie statunitensi sono stati e sono schemi fissi che portano avanti l’idea di papà America o comunque famiglia perfetta con il pick up, due sedute di psicoterapia a settimana e le crisi di mezza età. La famiglia di Willy non è da meno: i Hilary, ad esempio, la primogenita tra i cugini, è superficiale e non spicca di particolare intelletto. Ciò non cambierà mai, dimostrando che questa sitcom è tra le migliori di sempre proprio per la sua coerenza e ironia senza limiti; anche gli altri sono assuefatti dall’agio, però lo zio Phil sa sempre cosa dire, come risolvere una situazione, anche quando in realtà non lo sa, ed è proprio questa la magnificenza di un modello educativo a cui bisognerebbe aspirare. Nessuna mentale, nessun stereotipo, ma provare a farcela, cercando le parole giuste. Come succede in un episodio in cui Willy lavora di nascosto come cameriere travestito da pirata per provvedere a se stesso: zio Phil, che è un acclamato avvocato e poi giudice, non si congratula con lui perché vuole fare tutto da solo, ma lo accoglie, gli dice che “Qualcuno ha aperto delle porte per me quando ero giovane, e io voglio aprirle per te”. È in questo preciso momento che, per quanto Fresh prince straripi di battute anche sugli uomini e sulle donne, si capisce che c’è stato un distacco totale rispetto al machismo in cui l’uomo non deve piangere mai, non chiedere mai aiuto, a cui purtroppo si era abituati. Diventa perciò chiaro quanto questa sitcom abbia rappresentato una rivoluzione: grazie, zio Phil!

L’emancipazione lontana dai tempi del Black lives matter: inutile sottolineare quanto sul razzismo il mondo abbia ancora da imparare, ricucire, diffondere ma soprattutto estinguere. Negli States, la storia ci insegna che il razzismo è sempre stato, e ancora è, uno dei maggiori fallimenti a livello sociale e, prima di tutto, umano. Questo argomento viene messo in pubblica piazza da Willy e gli altri attraverso situazioni di vita reale. Durante un episodio della serie Willy e Carlton sono in viaggio in macchina, vengono fermati dalla polizia che, senza motivo alcuno, li maltratta e li trattiene in prigione per una notte intera. La genialità del susseguirsi dei fatti, spiegata in modo divertente, è che, mentre i due cugini sono in cella, c’è un carcerato che canta incessantemente: si ride tanto, ma con un retrogusto amaro; i poliziotti sono infatti convinti che abbiano rubato l’automobile per nessun apparente motivo se non per il fatto che sono di colore. Alla fine zia Vivian e zio Phil arrivano a salvare la situazione, facendo fare ai poliziotti la figura che meritano, cioè quella dei razzisti. Questo episodio racchiude un ennesimo spunto di riflessione: loro si sono salvati perché benestanti e con le spalle coperte da una famiglia solida, ma per altre persone di colore non è quasi mai così. Questa situazione non è normale e non è da normalizzare!

Diversi ma amici: una delle cose più famose di Fresh Prince è la Cartlon dance, ma ancora più importante è il rapporto che si crea tra i due cugini. Cartlon è basso, brillante negli studi, non ha successo con le ragazze, fondamentalmente è un ingenuo; Willy è esattamente il contrario, ma il punto di forza della loro relazione è proprio questo scambio di approcci alla vita. Il rapporto tra Willy e Cartlon è fatto di prese in giro anche pesanti sull’aspetto fisico (in barba al politically correct), ma alla fine è commovente e non così surreale, perché si accettano e crescono insieme.

Guardare la TV può insegnarci davvero qualcosa? Certo che sì.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni