In una quotidianità sempre più immersa nella più ampia tra le dimensioni tecnologiche, composta da qualsivoglia dispositivo elettronico in grado di navigare nella più vasta rete incontrollata del mondo, si fa fatica a tracciare un confine tra la necessità di essere connessi, come ad esempio per motivi di lavoro, e il bisogno di farlo anche senza una ragione apparente.
In questo contesto, si sviluppa la dipendenza digitale, che deve essere considerata alla stregua di tante altre dipendenze, a volte considerate più gravi solo a causa di una sintomatologia più evidente ma non effettivamente più preoccupante.
Gli smartphone di ultima generazione permettono di controllare la media quantificata in ore di tempo che gli utenti trascorrono col proprio dispositivo, facendo emergere allarmanti dati: sembrerebbe che, in media, l’utente trascorra al massimo due ore senza usare il dispositivo, sbloccandolo per almeno cinquanta volte in un giorno, la maggior parte delle quali senza una reale utilità ma più per un’abitudine radicata.
L’impatto che questa tipologia di strumenti ha sulla salute fisica e mentale dell’uomo viene spesso sottovalutato rispetto ad altre problematiche; difatti, questo atteggiamento nei confronti del problema è quanto di più dannoso possa esserci, in quanto recenti studi hanno dimostrato che la dipendenza da apparecchi digitali può essere causa di problematiche legate ad ansia e depressione, in aggiunta ai più noti temi legati all’uso del telefono quando si è alla guida, ad esempio.
Un interessante focus su questa specifica tematica è stato organizzato dall’Università degli Studi Magna Grecia di Catanzaro e la SIDT- Società Italiana di Tossicodipendenze: il Comitato scientifico, durante il corso, ha sottolineato come l’attenzione al problema della dipendenza digitale non deve essere trascurata ma, al contrario, deve essere implementata la formazione professionale di coloro i quali sono chiamati a prevenire e curare il problema.
È innegabile che i più colpiti siano gli adolescenti, vivendo la paura di restare fuori dal giro di amici e di non essere più connessi ad un mondo sempre meno reale e sempre più virtuale. Senza dubbio, questo tipo di dipendenza è fortemente influenzata dall’esistenza dei social network: recentemente, si è verificato il più grande down dei social più importanti (Facebook, Intagram e Whatsapp), durato più di sette ore, che ha creato panico tra gli utenti ed ha portato all’utilizzo di piattaforme alternative, quali Twitter e Telegram. Sebbene molti abbiano espresso apprezzamento nei confronti di queste ore senza social, vivendolo come un’esperienza liberatoria, tantissimi altri hanno, incessantemente, ricaricato le pagine social in attesa che queste ripartissero, sintomo di un bisogno meccanico ed irrazionale di accedere alla moltitudine di informazioni, spesso irrilevanti, contenute nei social.
La fenomenologia della dipendenza digitale è, attualmente, oggetto di studio accurato e si cercano delle soluzioni immediate per affrontare al meglio la situazione: da un lato, sembrerebbe più semplice vietare totalmente, sin dalla giovane età, l’utilizzo di strumenti di cui non si conoscono gli effetti, a causa del mancato sviluppo di una maturità e critica necessari per comprendere a pieno l’arma che si possiede; dall’altro, però, la totale assenza di servizi digitali sarebbe un’utopia, in un mondo che fa sempre più a meno dell’analogico e mira ad una digitalizzazione totale.
Cercare un punto di equilibro nell’utilizzo dei dispositivi prima che diventino il centro del quotidiano è un buon punto di partenza.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni
Abruzzese come gli arrosticini, romana d'adozione, residente presso Terra di Mezzo, domiciliata presso Hogwarts, laureata in Giurisprudenza per caso, si ispira a De Andrè e Pink Floyd. Interista, afflitta da cinefilia, adora scrivere ma mai farsi leggere.