Gli ultimi avvenimenti sul piano internazionale ci stanno mostrando come in alcune zone del mondo, ancora, manchino diritti fondamentali quali la democrazia, l’uguaglianza e la libertà. Nell’era del progresso e dell’automatizzazione, sebbene messe in forte discussione da un virus tanto pericoloso quanto sconosciuto, questo status quo non può e non deve essere accettato. È naturale, dunque, una crescita esponenziale del sentimento di ingiustizia che circola, soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione, che si accompagna al desiderio ardente di cambiare, anche radicalmente, le cose.
I giovani non accettano di subire, passivamente, dei soprusi, ma sono, nuovamente, disposti a scendere in piazza per rovesciare dei regimi talvolta dittatoriali, talvolta fintamente democratici. L’obiettivo è quello di raggiungere quelle che per noi occidentali, a volte fin troppo abituati al benessere ed alla pace sociale, sono delle consuetudini. A volte in maniera superficiale, siamo anche disposti a criticare ed a condannare alcuni dei nostri diritti fondamentali, mentre per molte persone rappresentano ancora, purtroppo, dei sogni forse solo un po’ più raggiungibili rispetto a qualche anno fa.
I mass-media negli ultimi giorni stanno trasmettendo, di continuo, notizie su quanto sta accadendo in Bielorussia. La Repubblica di Bielorussia o Russia Bianca è uno Stato formalmente indipendente dalla Russia dal 1994, una repubblica presidenziale guidata da sempre Alexander Lukashenko. A partire dalle prime “libere” elezioni, in Bielorussia ha vinto sempre la stessa persona. Quello ottenuto lo scorso 9 agosto è il suo sesto mandato presidenziale consecutivo. Il tutto è avvenuto grazie ad una serie di riforme costituzionali avviate nel 1996 e terminate nel 2004 che, sebbene avessero avuto più volte il parere contrario dell’OSCE, organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, è riuscita a esautorare gradualmente il ruolo del parlamento nell’ex repubblica sovietica. È stata persino prevista la possibilità di rielezione per un numero illimitato di volte. Il presidente, nel corso degli anni, ha rifiutato qualsiasi direttiva FMI riguardante la concessione di appalti pubblici. Dall’opinione internazionale Lukashenko è ritenuto “l’ultimo dittatore e tiranno d’Europa”, anche a causa dei diversi divieti imposti alla libertà di parola, di espressione e di stampa soprattutto nei confronti dei suoi oppositori politici. Alla Bielorussia è stato proibito di intervenire nel Consiglio d’Europa. Nel corso del suo governo ancora ininterrotto, Lukashenko ha accentrato su di sé ogni potere statale, le elezioni si svolgono con il totale controllo dei mass media e della loro propaganda, con la formula del voto anticipato e nel totale diretto subordine della Commissione elettorale nazionale della Bielorussia. Il tutto avviene in barba a qualsiasi accusa di possibile broglio. Ancora la Bielorussia è l’unica delle vecchie repubbliche sovietiche a mantenere il nome KGB per indicare il nucleo dei servizi segreti. Qualche dubbio sulla libertà e sulla democrazia presenti in questo Paese sembra essere scontato. Da qui una serie di proteste e scontri, non sempre pacifici, che iniziati formalmente a fine maggio, fanno in realtà seguito a quanto già avvenuto nel 2011 e nel 2017. Il motivo che ha acceso la scintilla quest’anno è stato l’arresto da parte delle forze dell’ordine bielorusse di Sjarhej Cichaoauski, fiero oppositore del “presidente” definito da lui “uno scarafaggio”. Da qui la nuova ondata di manifestazioni di piazza, al grido di “Ferma lo scarafaggio”. Un sempre crescente numero di oppositori ha voluto dimostrare la sua contrarietà a Lukashenko, preparando quindi una fiera e coraggiosa alternativa elettorale con a capo Svjatlana Cichaoauskiaja, moglie del blogger arrestato. Il 19 giugno il “presidente” rispose annunciando di aver sventato un colpo di Stato, grazie all’arresto dell’altro leader dell’opposizione Babaryka. Le organizzazioni umanitarie stimano che, per motivi politici, in Bielorussia nel solo mese di giugno sono state arrestate 1300 persone. Le dimostrazioni, però, non si sono placate. Il 9 agosto, giorno della consultazione elettorale, a Minsk si è registrato un morto durante gli scontri, l’esercito ha bloccato ogni accesso alla capitale e Internet è stato bloccato in tutto il paese. Il plebiscito ottenuto da Lukashenko con l’80% dei voti ha destato sospetto anche nei filogovernativi. La Bielorussia è scesa in piazza, nuovamente, la notte del 9 agosto: circa 3000 persone sono state arrestate e circa 300 ferite, ed un manifestante è stato ucciso. Da questo momento in poi è stato un susseguirsi di manifestazioni, scioperi e proteste. Sembra che la Bielorussia abbia nuovamente preso coscienza di sé, imponente è stata la “marcia per la libertà” che ha visto sfilare 200.000 persone in piazza a Minsk con il vessillo biancorosso simbolo della Bielorussia indipendente. Anche il governo bielorusso ha rassegnato le dimissioni contro la politica repressiva e corrotta di Lukashenko e non si escludono nuove elezioni.
Simili alle proteste bielorusse, quantomeno nel contenuto, sono quelle che stanno imperversando in Thailandia. I giovani thailandesi scesi in piazza contro il governo e contro il re chiedono la riforma della monarchia, l’abolizione del delitto di lesa maestà, la libertà di parola e di espressione e la destituzione dell’attuale governo. Il regime thailandese è considerato uno dei più liberticidi al mondo, chi si esprime contro il governo o contro il re Rama X rischia il carcere fino a 15 anni. Parit Chiwarak, leader della rivolta ed arrestato venerdì 14 agosto, ha ben 10 capi d’imputazione pendenti: nonostante ciò, ha guidato i suoi studenti alla rivolta partita dall’università di Bangkok, domenica 16 agosto. L’ingegnosità dei manifestanti ha però superato ogni restrizione imposta dal re: gli studenti hanno impugnato delle bacchette e, travestiti da Harry Potter, hanno invaso la piazza centrale. Come Harry Potter combatté contro “Colui-che-non-deve-essere-nominato”, così i maghetti thailandesi protestano contro un potere tanto oscuro quanto innominabile. Allo stesso modo i seguaci del re vengono paragonati ai Mangiamorte della famosissima saga. Altra icona pop della protesta thailandese è il saluto effettuato con le 3 dita, indice, medio e anulare alzati, tipico gesto di libertà, mutuato dalla saga “The Hunger Games”. Bisogna considerare come siano anche qui i giovani ad aver acceso la miccia della protesta e come sempre da loro partano le istanze che si fanno poi ispiratrici di reale cambiamento.
Bob Dylan dice che “essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo ed il cielo si è stancato di essere azzurro”. Ecco, dunque il sentimento di sconforto che dovrebbe pervaderci di fronte del tipo “la democrazia è sbagliata”, “meglio la dittatura” o affermazioni simili. La negazione del diritto d’espressione di un dissenso è una delle forme peggiori di negazione dei diritti dell’uomo. Ancora oggi, migliaia di giovani sono quasi costrette a manifestare contro determinate situazioni politiche che mettono a repentaglio i loro diritti ed il loro futuro. Sono costrette a protestare non solo dalla durezza delle condizioni in cui vivono ma dalla loro natura, dalla loro stessa concezione della vita; riprendendo Bob Dylan, non si può essere giovane se si accetta di subire tutto senza mai dire no e tentare di rovesciare il tavolo. QQuesto fuoco che brucia dentro queste fasce di persone può perciò essere visto come una bellissima costrizione.