Più che il merito conta la maturità
Negli ultimi tempi, sempre maggiore attenzione va focalizzandosi sul tema del “merito”, in particolare con riguardo all’universo dell’istruzione e della formazione.
Occorre a tal proposito premettere che il concetto di “merito” ha una notevole complessità polisemica intrinseca e può assumere diverse morfologie e connotazioni, modellandosi spesso anche sulla base del contesto di riferimento.
La logica del “merito” appartiene geneticamente al mondo dei concorsi, delle selezioni, delle gare, ove ha un significato ben preciso. Lo scopo ultimo del concorso è infatti individuare tra tanti candidati quelli idonei a ricoprire un numero ristretto di posti. L’intera macchina concorsuale nasce ed esiste esclusivamente per il suo momento conclusivo, ossia definire la graduatoria, un elenco di persone in ordine decrescente – appunto – “di merito”. I risultati individuali hanno rilevanza esclusivamente al fine di essere “pesati” e tradotti in un punteggio. “Merito”, nel concorso, è – in definitiva – distinguere tra vincitori e perdenti.
Un tale concetto di merito, con tutta evidenza, non può essere armonicamente applicato in questi stessi termini alla formazione e tanto meno all’istruzione. La formazione ha infatti una funzione ben diversa dal concorso: mira a stimolare e valorizzare la crescita dell’individuo, dare nuovi strumenti di vita e di relazione, alimentare la consapevolezza e la maturazione complessiva. Nella formazione, importanza centrale è rivestita dal percorso, dalla crescita e dall’apprendimento: dunque dalla “strada”, piuttosto che dalla “meta” in sé.
Nella formazione, anche l’errore ha una importanza decisiva, perché consente di acquisire consapevolezza di sé e di migliorare. Mentre nel concorso l’errore si esaurisce in sé stesso, nelle attività formative l’errore deve essere trasformato in lezione (secondo l’adagio “forget the mistake, remember the lesson”) e comunque deve nutrire la consapevolezza di sé.
In generale, al termine di un percorso di formazione, più che i voti e i giudizi, rilevano le competenze e soprattutto la maturità complessiva raggiunta, che sotto molti aspetti non è misurabile matematicamente e comunque discende dall’esperienza acquisita anche attraverso gli errori. Il concetto di merito non deve quindi tradursi nell’ambito della formazione e dell’istruzione in una pretesa di eccellenza, perché non è affatto questo l’obiettivo ultimo.
Non si mette ovviamente in discussione l’importanza dell’impegno, del dedicarsi con coscienza e dedizione ai propri obiettivi, pur sempre secondo le proprie scelte, aspirazioni e desideri e nel rispetto di un sano equilibrio di vita. Si deve però comunque sottolineare la complessità della persona umana che va al di là di voti, giudizi, punteggi e numeri e che, nella fase della formazione e dell’istruzione, è e deve restare sempre al centro.
Per queste ragioni, anche il momento della valutazione assume nella formazione una funzione essenzialmente diversa da quella che ha nel concorso: esclusivamente di favorire la consapevolezza e la maturazione. Manca, in sostanza, in questo contesto qualsiasi necessità di competizione, di confronto e di concorrenza: la “corsa” è, essenzialmente, contro sé stessi o – meglio ancora – con sé stessi, per scoprirsi e migliorarsi. In questo senso, le verifiche e le prove nella fase dell’istruzione dovrebbero essere utilizzate essenzialmente come strumento per individuare lacune e punti di forza, in modo da perfezionare le strategie didattiche e modulare al meglio l’impegno individuale e le scelte future.
In sostanza e in conclusione, occorre tener fermo che la formazione non ha lo scopo ultimo di produrre una classifica finale, di individuare vincitori e sconfitti. Ha invece il più profondo fine di coltivare, sviluppare e valorizzare la crescita individuale di ciascuno lungo la propria personale strada di vita, di alimentarne la curiosità, le aspirazioni e soprattutto di formare persone consapevoli e mature. Al centro sta (e resta) il discente e la sua maturazione come individuo, nel rispetto di un sano equilibrio di vita.
E la maturità dell’individuo passa anche attraverso errori, ripensamenti, ricalibrature alchemiche delle proprie scelte. La vita evolve infatti in modi imprevedibili e sulle azioni incidono una molteplicità indistricabile di variabili indomabili. Le persone cambiano, cambiano le loro aspirazioni, i loro sogni e persino le loro capacità. Quindi, persino quelle che sembrano certezze possono evolvere nel tempo, per molte – e a volte imperscrutabili – ragioni. Proprio per questo, “consapevolezza” vuol dire anche saper ripensare le proprie priorità, riformulare le proprie scelte e persino cambiare la propria strada.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni
Ph.D. Researcher in Scienze Giuridiche e Politiche a Roma. Avvocato con esperienze da giudice arbitro e redattore in varie riviste giuridiche. È autore di oltre cinquanta articoli in materia giuridica, nonché di un editoriale in lingua inglese per la NEU.