Prende il via oggi la settimana che porterà alla conclusione della 22esima edizione dei Mondiali di calcio. Domenica 18 alle ore 16, infatti, si giocherà l’atto conclusivo di una coppa del mondo strana, insolita, forse affascinante, sicuramente destinata a far discutere. Qatar 2022 è la prima edizione svoltasi in un paese medio-orientale e nel periodo novembre-dicembre, per esigenze legate al clima desertico che nel tradizionale periodo giugno-luglio non consentirebbe lo svolgimento di una competizione sportiva ad alta intensità. Tale scelta innovativa è vissuta con estrema freddezza da noi italiani, poiché per la seconda edizione consecutiva la nostra nazionale non partecipa alla competizione iridata. Conseguentemente, ci è negata la possibilità di unirci tutti insieme verso un unico obiettivo, sentendoci nuovamente popolo, collettivo e comunità. È vero che si tratta solo di un gioco, ma il calcio in Italia, così come in gran parte del mondo, non può essere relegato solo a questo. Quando gioca la nazionale ci si fonde sotto un unico inno, un’unica bandiera e si ha possibilità di abbandonare le rispettive appartenenze di club, per fare spazio alla maglia azzurra. La sbornia post Euro 2020, probabilmente, ci ha illuso, e lo schiaffo subito dalla Macedonia, con la conseguente estromissione dalle qualificazioni, ci ha fatto ripiombare nel baratro. La possibilità di vivere l’innovazione da protagonisti sembrava allettante, invece, ci siamo ritrovati privi dello sport che più appassiona da metà novembre fino al 4 gennaio, e senza poter sostenere l’Italia nei campionati del mondo. La RAI, per poter trasmettere le partite, ha speso una cifra compresa tra i 150 e i 160 milioni di euro: si stima che complessivamente l’evento costerà più di 200 milioni. Mediaset, nel 2018, investì 78 milioni per la prima edizione senza la nostra rappresentativa. Il successo ai campionati europei spiega l’avventato investimento di viale Mazzini, che ora punta sullo spettacolo offerto che dovrebbe indurre la maggior parte degli appassionati di calcio italiani a restare incollati alla TV. Le semifinali e la finale coinvolgono i giocatori più grandi al mondo e questi incontri sono attesi da chiunque ami la palla che gira. Tra tifo e sportività la differenza è sostanziale: è giusto essere sportivi e rendere omaggio alle vittorie degli avversari, cosa totalmente diversa è vincere e festeggiare. A malincuore, dunque, bisogna ammettere che avremmo preferito continuare a guardare la serie A, le coppe europee e non assistere alla vittoria altrui.
L’edizione di Qatar 2022 è destinata a restare nella storia per diversi motivi, legati al campo ma non solo. Si è parlato, e si parlerà ancora a lungo dell’assegnazione dell’organizzazione al Qatar, avvenuta nel 2010, sotto la presidenza Blatter, in un clima di fervide polemiche riguardanti una presunta compravendita di voti con la sospensione di due delegati FIFA che non poterono prendere parte alla votazione. La trasparenza e la regolarità procedurale, come segnalato più volte dal The Sunday Times, sono state palesemente violate. Sebbene le prove a carico di Mohamed bin Hamman sembrassero schiaccianti, la FIFA decise non riscontrò irregolarità di alcun tipo.
Le problematiche legate, inoltre, sia alle morti insabbiate nella costruzioni degli impianti di gara, sia alla violazione dei diritti umani nell’emirato arabo, si sono susseguite con la possibilità negata ai calciatori di diverse nazionali di indossare la fascia arcobaleno durante lo svolgimento delle prime gare. Da qui la foto dei calciatori tedeschi con la mano davanti alla bocca prima della partita, poi persa, col Giappone. Dal Giappone è arrivata, invece, una nota lieta, che ha suscitato quasi meraviglia, nell’opinione pubblica sportiva europea. La cultura giapponese impone, infatti, a giocatori e tifosi del Sol Levante di lasciare puliti gli spogliatoi e gli spalti utilizzati, alla fine delle partite. Si è passati, quindi, dall’assistere a fenomeni di teppismo tra i tifosi al concetto del rispetto degli spazi pubblici e altrui. Sempre dal Giappone arriva l’immagine dell’allenatore Moriyasu che, al termine del match perso ai rigori con la Croazia, si è profondamente inchinato davanti ai tifosi, in segno di ringraziamento verso chi ha attraversato l’intero globo per sostenere la nazionale.
Altra cartolina di Qatar 2022 sarà la scelta dei calciatori iraniani di non cantare l’inno nazionale durante la prima partita in segno di solidarietà con le proteste che da più di due mesi si protraggono nel loro paese. Si è parlato anche delle possibili conseguenze per loro al momento del loro in patria, ma il loro coraggio si è spinto oltre la paura dimostrando che a volte anche il silenzio può fare grande rumore. Passando al campo questi mondiali potrebbero essere l’atto decisivo della sfida tra Messi e Cristiano Ronaldo, se uno dei due dovesse trionfare, potremmo stabilire chi dei due prevale sull’altro, per accontentare gli appassionati di dualismi e rivalità.
Non vorrà fare da spettatore, però, Mbappè che macinando gol su gol sembra voler spezzare l’egemonia dei due campionissimi e rafforzare il suo ruolo nel gotha calcistico all’età di soli 24 anni. Naturalmente le altre nazionali non staranno guardare e ci attendiamo dei grandi incontri. Merita menzione anche l’ennesima dimostrazione che talvolta Davide può battere Golia, data dal Marocco, in grado di battere ai calci di rigore la Spagna, indicata come una delle favorite ad in inizio torneo. A uscire sconfitta, probabilmente, non è stata solo la compagine di Luis Enrique, ma la sua idea di calcio fatta di possesso palla asfissiante ma sterile. A prevalere contro gli spagnoli, è riuscito anche il Giappone. In entrambi gli incontri il possesso palla, con conseguente dominio del gioco, è stato largamente in mano agli iberici. Il risultato finale però dimostra, semmai ce ne fosse bisogno, che nel calcio contano i gol e che puoi dominare quanto vuoi, ma se gli avversari ne segnano uno in più vincono loro. È la dura legge del gol.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni