Colpevoli senza colpa: Aldo, Ettore e l’Italia degli anni Sessanta

Riflessione sulla pellicola Il signore delle formiche tra passato e presente

Il signore delle formiche è un film che ha debuttato da poche settimane sul grande schermo. Presentato all’ultima Mostra del cinema di Venezia, il nuovo lungometraggio di Gianni Amelio racconta la storia di Aldo Braibanti, un uomo che, nell’Italia degli anni ’60, si ritrova sotto accusa per il suo orientamento sessuale. 

La narrazione prende avvio con la presentazione del personaggio, un eclettico professore con una spiccata passione per la cultura in tutte le sue forme, uno studioso e un amante dell’arte e del teatro che si dedica all’osservazione delle formiche. Nel disegno globale del film e nell’immaginario dei personaggi, gli insetti rappresentano un mondo ideale e giusto, improntato su valori come la solidarietà e l’eguaglianza. Il mondo abitato dalle formiche è perciò contrapposto alla realtà, che non tarda a manifestarsi crudele e amara.

Lungo i fili della storia d’amore che lega Aldo (Luigi Lo Cascio) al suo giovane allievo Ettore (Leonardo Maltese), si snoda la vicenda processuale che vede il primo imputato per reato di plagio. Previsto dall’articolo 603 del Codice penale e poi abrogato, esso prevedeva la reclusione da cinque a 15 anni per chiunque sottoponesse una persona al proprio potere, riducendola ad un totale stato di soggezione. In verità, Aldo si ritrova sotto accusa per la sua omosessualità: la sua condizione, per l’Italia bigotta di quegli anni, è una colpa, una piaga. 

L’amore tra Aldo ed Ettore rappresenta il ripudio della società e – potremmo dire – anche della legge. Assistono al processo diverse persone, tra le quali emerge un giornalista particolarmente sensibile alla vicenda, interpretato da Elio Germano. A colpirlo sono soprattutto i silenzi di Aldo nel corso delle udienze, la sua volontà di non rispondere alle domande che gli vengono rivolte, di apparire quasi disinteressato alla vicenda. 

L’apparente inettitudine di Braibanti rivela in realtà la piena insofferenza dell’uomo, il suo tormento e la sua rabbia. Tuttavia, su consiglio del cronista, a un certo punto Aldo decide di far sentire la sua voce ai giudici. Dalle sue parole emerge con chiarezza la condizione di emarginato e di “mostro” a cui la società vorrebbe condannarlo. Ascoltando le parole del protagonista e la testimonianza di Ettore, il quale scandisce con chiarezza che non esiste un colpevole perché non c’è una colpa, si ha la sensazione che sia il sistema ad essere sotto accusa, che i ruoli si siano invertiti: emergono il dolore e l’impotenza dell’uomo di fronte alle istituzioni schierate contro di lui; la solitudine di chi viene abbandonato dalla propria famiglia, di chi viene sottratto alla propria esistenza per essere consegnato alla malattia, alla sofferenza, alla morte dell’anima. 

I protagonisti verranno travolti dall’odio e ne subiranno sulla loro pelle le conseguenze giuridiche, sociali e personali: Aldo sarà prima condannato e poi, dopo lunghi anni, assolto in secondo grado; Ettore sarà invece sottoposto dai propri familiari a cure mediche e spirituali, affinché esorcizzasse quel brutto mostro chiamato omosessualità. 

Benché si possa cogliere un barlume di speranza, Amelio restituisce alla fine del film una nota di nostalgia: nostalgia per il tempo perso, nostalgia per gli innocenti a cui niente e nessuno restituirà l’amore negato, la pace emotiva, il benessere psicofisico. 

La vicenda raccontata in questa pellicola induce a riflettere sul passato e sul presente. Il passato può insegnarci a non ripetere gli stessi errori; al passato dobbiamo guardare con occhi critici, elaborando giudizi obiettivi che non lascino spazio a maniacali presunzioni. Al presente è necessario guardare con la medesima obiettività, riflettendo su quanta strada sia necessario percorrere al fine di garantire gli stessi diritti a tutti: ancora oggi, infatti, la vita di una persona che è sessualmente attratta da persone dello stesso sesso non è affatto semplice. Ancora oggi, gli omosessuali sono preda di scherno e di discriminazione, nonostante la legge abbia fatto passi in avanti nel garantire ampi spazi di libertà alle coppie dello stesso sesso. Tutto questo dimostra che il problema è innanzitutto antropologico e culturale. 

A scuola e all’interno di tutte le formazioni sociali bisognerebbe insegnare ai bambini e agli adolescenti il rispetto verso l’altro che – a prescindere dal suo orientamento sessuale – è una persona unica, in quanto ciascuno ha una propria personalità.

La cultura della diversità, della unicità dell’essere è a mio avviso la chiave per superare stupidi preconcetti e pesanti pregiudizi. Quegli stessi limiti che possono distruggere la vita delle persone e creare le basi per la cultura dell’odio.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni