“A volte nella vita non riusciamo a raggiungere il meglio, ma almeno possiamo evitare il peggio”.
Questa frase di Italo Calvino sembrerebbe descrivere alla perfezione una parte della nozione di equilibrio, introdotta nella teoria dei giochi dal matematico americano John Nash. Lo stesso Nash accolse la frase di Calvino come capace di rappresentare, parzialmente, la sua innovazione durante un’intervista concessa a Piergiorgio Odifreddi de L’Espresso nel 2008.
Nash, nato il 13 giugno 1928 a Bluefield e morto in un incidente d’auto a Monroe il 23 maggio del 2015, venne insignito nel 1994 del premio Nobel per l’economia per i suoi studi di matematica applicati alla Teoria dei giochi. E’ considerato dalla critica uno dei geni più innovativi ed originali di tutto il secolo scorso ed inserirlo, oggi, tra i soli matematici potrebbe apparire riduttivo. John Forbes Nash è stato un grande economista, ma soprattutto ha fatto scuola per il suo modo, molto spesso ritenuto singolare, di affrontare i problemi e giungere ad una soluzione in maniera elegante e talvolta insolita. Egli sovvertì la convinzione che per l’apprendimento fossero necessarie le lezioni universitarie nel college di Princeton ritenendo più importanti le osservazioni empiriche. Sempre a Princeton ebbe la fortuna di incontrare Albert Einstein e John Von Neumann e, probabilmente, il loro modo di pensare e di interpretare la realtà matematica influenzò nettamente gli studi di Nash.
La vita di questo grande scienziato contemporaneo è stata messa in risalto dal film “A beautiful mind”, uscito nel 2001 e diretto da Ron Howard, vincitore di 4 Golden Globe e altrettanti premi Oscar. Proprio come il film, in cui Nash è interpretato magistralmente da Russell Crowe, anche la carriera dello stesso genio statunitense fu costellata di premi e riconoscimenti per i suoi studi. Il film sembra essere solo sfiorato dalla “Teoria dei Giochi”, sebbene ad un’analisi più approfondita risultano evidenti i riferimenti a questa branca matematico-economico-comportamentale della società, di cui Nash fu profondo innovatore.
La Teoria dei Giochi può essere definita come una disciplina della matematica applicata, che analizza le decisioni comportamentali dei soggetti, soprattutto economici, che possono trovarsi in relazione di conflitto o collaborazione gli uni con gli altri. Una delle ipotesi che stanno alla base delle Teoria dei Giochi è la razionalità dei comportamenti di questi “giocatori”. Per razionalità si intende la finalizzazione delle scelte di ognuno alla realizzazione del massimo profitto. Appare evidente come le decisioni di un soggetto possano influire sia sulle scelte che sul guadagno dell’altro e viceversa. Si ipotizza, allora, che i due soggetti possano essere 2 aziende che si contendono una fetta più o meno ampia del mercato ed ecco come la Teoria dei Giochi appare in grado di aderire perfettamente alla realtà.
Potremmo adattarla anche a qualsiasi tipo di situazione in cui vi siano 2 potenziali giocatori che possono cooperare (giochi non competitivi) o competere tra loro (giochi competitivi). Dunque, la Teoria dei Giochi può essere applicata sia al gioco degli scacchi che all’ipotesi di scoppio della Terza Guerra Mondiale. Due concetti basilari per quanto riguarda questa disciplina sono il se, che implica la prima mossa o scelta da effettuare, e l’allora, che indica invece la decisione di risposta
(se X gioca A, allora Y giocherà B).
Altro presupposto è la conoscenza per tutti gli attori delle regole del gioco e, nel caso di giochi che si ripetono nel corso del tempo, l’insieme delle decisioni del singolo giocatore si definisce strategia. In base alla scelte intraprese e alle conseguenti decisioni dell’altro giocatore sarà possibile ottenere un “pay-off” o guadagno.
Il guadagno ottenibile può essere positivo, negativo o nullo. I giochi si diranno “a somma zero”, se il guadagno di un giocatore corrisponde ad una perdita di pari importo dell’altro. La vincita ottenibile è matematicamente definita da una funzione, la funzione dei pay-offs, che rappresenta il massimo ottenibile dai contendenti in funzione dei loro comportamenti. Un gioco si dirà cooperativo, quando tra i contendenti non vale la regola del “mors tua, vita mea” e l’interesse alla cooperazione è maggiore rispetto a quello per la competizione. Vi potrà essere tra i giocatori la volontà di associarsi per ottenere ciascuno un pay-off maggiore e non vi sarà alcuna tendenza allo scontro. Qui sorgeranno degli accordi tra i giocatori definiti vincolanti ed il desiderio comune di rispettarli. Affinchè ciò avvenga è necessario che i guadagni ottenuti da chi opera in coalizione siano sempre maggiori rispetto ai guadagni ottenuti da chi ne sta fuori (basti pensare alle motivazioni che spinsero l’uomo primitivo a vivere in società piuttosto che in solitaria). I giochi non cooperativi, invece, sono quelli maggiormente ricorrenti laddove vi è la possibilità di guadagnare qualcosa a discapito degli altri. Ai giocatori non è data la possibilità, o non vi è la convenienza, di stipulare alcun accordo vincolante con gli altri. Per risolvere tale tipologia di giochi, dei quali fu considerato pioniere, John Nash ideò nel 1954 la nozione di Equilibrio secondo la quale
«Un gioco può essere descritto in termini di strategie, che i giocatori devono seguire nelle loro mosse: l’equilibrio c’è, quando nessuno riesce a migliorare in maniera unilaterale il proprio comportamento. Per cambiare, occorre agire insieme».
Secondo Nash, dunque, una situazione di equilibrio è quella in cui nessun giocatore ha interesse a modificare unilateralmente la sua scelta, poiché da tale modifica non trarrebbe alcun vantaggio, stanti le mosse degli altri contendenti.
L’equilibrio di Nash non è da confondere con la definizione di ottimo paretiano, o equilibrio Pareto-efficiente. Questa definizione, offerta dallo studioso italiano Vilfredo Pareto, prevede che l’allocazione delle risorse a disposizione di un determinato sistema sia ottimale e tale che nessuno dei contendenti possa ottenere un miglioramento della sua condizione senza peggiorare la situazione dell’altro. L’ottimo paretiano può essere applicato all’economia, poiché è una situazione raggiungibile nelle diverse tipologie di mercato. Confrontando l’ottimo paretiano con l’equilibrio di Nash, si può verificare che l’innovazione introdotta dallo studioso americano nel 1954 mise in crisi le concezioni del filosofo scozzese Adam Smith, considerato il padre della moderna economia. Smith sosteneva che se un individuo persegue il proprio interesse personale, non potrà che accrescere il benessere della collettività. Nash, invece, mise in discussione questa teoria, poiché se ogni individuo persegue unicamente il suo interesse la collettività raggiunge un punto di equilibrio che non coincide necessariamente con l’ottimo paretiano. Sostanzialmente, se ogni giocatore considera solo la sua funzione di massimo guadagno, l’equilibrio che si raggiunge può coincidere con un’allocazione delle risorse inefficiente per la collettività, pur rappresentando un punto di equilibrio fra i giocatori.
Riprendendo la frase di Calvino l’ottimo paretiano è il meglio ma l’equilibrio di Nash consente di evitare il peggio.
John Nash, come si evince chiaramente dal film, combattè per tutta la vita con la schizofrenia che ne limitò la vita sociale e lo costrinse anche ad un periodo di ricovero in ospedale. La sua grandezza consistette anche nel riuscire a convivere con la malattia, ad accettarla ed a condurre la sua carriera accademica. Questo particolare avvalora la tesi del filosofo tedesco Nietzsche secondo la quale
“Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante”.
E' un commercialista cosentino. Appassionato di sport, qualunque esso sia, amante del calcio, adora tutto ciò che ha a che fare con i numeri. Ama la politica. Poco sportivo, molto tifoso, quasi estremista. In quello che fa ci mette tutto sé stesso.