Abàkhi è un’associazione senza scopo di lucro, laica, che si occupa di disagio sociale, fondata a Reggio Calabria il 15 ottobre 2015. Abakhi è testimonianza di legalità, speranza ma anche di ripartenza per il territorio, rappresentando un unicum in Calabria. E’ anche un modello da far conoscere a livello nazionale. Abbiamo dialogato con il Presidente dell’associazione Alessandro Cartisano e con il Tesoriere Fabio Siclari.
Cos’è Abakhi e perchè è stata fondata?
Abakhi è una parola Zulù che vuol dire “costruttori” ed il nostro logo simboleggia un ponte creato da due persone, ispirato dalla massima di don Andrea Gallo: “costruttori di ponti e non di muri”. Ci occupiamo di persone in situazioni di difficoltà, senza fare distinzioni tra italiani e stranieri.
Questa associazione di giovani tra i 25 ed i 35 anni è nata intorno ad una birra e dalla proposta di Alessandro di fare qualcosa di più per il nostro territorio.
Noi soci fondatori ci siamo conosciuti nella stagione degli sbarchi a Reggio, tra il 2013 ed il 2015. Ognuno di noi veniva da contesti di volontariato e di associazionismo diversi, tra cui Scout, Azione Cattolica, Gioventù Francescana, o comunque da attività nella vita politica, non intesa come affiliazione partitica, della nostra città. Tutto è partito da quell’esperienza di servizio in cui si è creato un legame ed un’unione di intenti. Rimanevamo spesso insieme dopo giornate impegnative, anche dal punto di vista delle emozioni, a parlare di ciò che succedeva intorno a noi, ai migranti di cui ci occupavamo. Gli davamo da mangiare ed i vestiti… E dopo? Non si poteva fermare lì il nostro impegno, non potevamo solo pensare ai bisogni materiali nell’immediato, e poi voltare le spalle.
Quali sono i progetti di cui siete parte?
Piano piano ci siamo fatti conoscere anche attraverso le istituzioni sia politiche che religiose ed abbiamo ricevuto tanta fiducia, anche se eravamo un’associazione giovane. Ciò ci ha portati a partecipare a diversi progetti, ad essere coinvolti nelle realtà locali, dalla Caritas al gruppo Reggio libera Reggio che è un movimento che si occupa di tutti quelli che si oppongono al pizzo a Reggio Calabria. Organizziamo dei percorsi di sensibilizzazione ed azione critica rispetto a dove comprare le cose, non come imprenditori ma come fautori di acquisto critico.
Abbiamo inserito nella nostra mission dei protocolli nazionali per conto del ministero della giustizia relativamente a Ussm e Udepe e con i servizi delegati del territorio. Ciò ci consente di seguire i ragazzi e gli adulti con la messa alla prova nei servizi che proponiamo di pubblica utilità e volontariato.
Siamo dentro Civitas, rete nata nel tribunale ordinario per proporre percorsi di legalità, siamo soci di Banca Etica, siamo nella rete di Libera e collaboriamo con il Parco Ecolandia.
Dentro ognuna di queste attività e progetti c’è un mondo.
Quali sono invece i progetti di accoglienza che avete realizzato con Abakhi?
Siamo arrivati a gestire un bene confiscato, casa Anawim, di proprietà della Caritas dove abbiamo fatto diversi percorsi sia per donne in difficoltà e per le donne vittime di tratta, sia per minori non accompagnati arrivati a Reggio, cioè i minorenni che sbarcavano senza genitori. Nell’ambito dei corridoi umanitari, ci siamo presi cura di una mamma e due bambini, rifugiati eritrei, seguendone il percorso di inserimento e totale inclusione nel tessuto sociale, ed in modo da favorire lo sviluppo della loro totale autonomia.
Casa Anawim fa parte di un pensiero che vuole essere provare a rendere la vita migliore a qualcuno. Vi sono passate più di 100 persone, persone a cui sicuramente è stata restituita la dignità. E’ un appartamento piccolo ma è un segno importante perchè è al centro città ed è anche un bene confiscato ad una cosca reggina.
Ci siamo anche occupati del piano freddo per senzatetto e gestito per il comune di Reggio Calabria una struttura per 3 mesi.
Poi c’è stato l’avvento di casa di Benedetta. Il nome vuole ricordare una ragazza morta in tenera adolescenza per leucemia.
La struttura ad oggi accoglie 12 minori in situazione di estrema fragilità e bisogno. Sono minori che hanno difficoltà sotto vari punti di vista: sociale, familiare ed economico.
Questa casa era un cantiere aperto che abbiamo fatto diventare un laboratorio di vita, in cui ci siamo sperimentati anche noi che portavamo la sabbia e i materiali, che abbiamo ricostruito i muri e l’abbiamo arredata. Il sacrificio, il confronto ed il lavoro hanno creato nuovi stimoli. Non è stato solo ristrutturare una casa, sono stati tutti momenti di crescita e di apertura all’altro ad essere importanti e proprio qui abbiamo incluso i ragazzi in messa alla prova.
Non è stato un modo per riempire il cantiere, ma ha significato farli sentire protagonisti e parte di questo percorso, per fargli fare qualcosa per qualcuno.
Non solo centinaia di Scout sono venuti da tutta Italia per fare volontariato a casa di Benedetta, sono arrivate anche persone dalla Germania e dal Regno Unito.
Noi abbiamo organizzato percorsi di formazione ed incontri con testimoni di giustizia, magistrati e le istituzioni.
Quali sono stati i laboratori realizzati durante la ristrutturazione di casa di Benedetta?
La realizzazione del murales è stato un laboratorio dentro il progetto Casa di Benedetta mentre c’era il cantiere. Abbiamo messo insieme una rete di realtà con minori e adulti in messa alla prova, i Centri di servizio per il Volontariato (CSV) e l’Accademia di belle arti.
Con un percorso di incontri, una psicologa del CSV ha fatto immaginare ai ragazzi in messa alla prova il reato che avevano commesso, ed a farglielo rielaborare e pensare a cosa i ragazzi a Casa di Benedetta dovessero fare in quella struttura.
Il murales mostra un percorso in un bosco in cui c’è un passaggio dal buio alla luce, dove poi vengono rappresentati la musica e l’arcobaleno.
Altro laboratorio con i ragazzi in messa alla prova è stata la realizzazione delle scalinate di casa di Benedetta. I ragazzi hanno conosciuto 105 storie dei minori uccisi dalla mafia e dopo aver colorato i gradini con i colori dell’arcobaleno, i ragazzi hanno scelto 11 nomi da scrivere sulla scalinata.
E’ stato un percorso, per quanto breve, che è rimasto impresso.
A volte non ci rendiamo conto di quante cose abbiamo fatto e di quante cose piccole rimangono indelebili nelle persone di fronte a noi, questa conferma l’abbiamo avuta in questi giorni.
Alcune ragazze e ragazzi che hanno fatto il percorso di messa alla prova da noi sono tornati a casa di Benedetta per salutarci e prendere delle informazioni per fare il servizio civile con noi. Si sono trovati bene ed hanno capito le cose importanti. Noi siamo stati attori nella loro vita.
Adesso che siamo società civile rispetto a loro, loro ritornano e questo secondo me è estremamente significativo. I sacrifici che abbiamo fatto, i momenti di delusione, i momenti in cui siamo caduti e ci siamo rialzati sono stati importanti, a dimostrazione che il lavoro che abbiamo fatto insieme non è stato vano. Oggi i frutti del nostro operato non li raccogliamo noi ma li raccoglie la società.
In cosa consiste l’help center di cui vi occupate?
Nel 2020 ci è stata affidata la gestione dell’Help Center di Reggio Calabria che fa parte della rete ONDS di tutti gli help center d’Italia, i quali si trovano nelle maggiori stazioni.
“La stazione diventa un luogo fisico in cui le persone si fermano” (cit. Fabrizio Torella, il responsabile) e proprio da qui è nato il comparto delle politiche sociali delle ferrovie.
L’help center aiuta le persone senzatetto che sono intorno alle stazioni e fa da ascolto e da orientamento di servizio, cioè da filtro che indirizza verso i diversi servizi, ad esempio ad alcuni serve assistenza legale, ad altri il dentista, ad altri ancora servizio mensa, una doccia, o solo scambiare due parole.
Presso l’help center stiamo facendo le messe alla prova de minori e degli adulti ed abbiamo anche attivato gli avvocati di strada dove un gruppo di 15 avvocati di Reggio Calabria prestano servizio legale gratuito. Questo è in fase sperimentale in cui tutto è in divenire, ma siamo partiti.
Qual è stato l’impatto del covid-19 sull’associazione e su quello che avete fatto nei 5 anni?
E’ stato un momento critico aver dovuto interrompere il cantiere a casa di Benedetta per un po’ di tempo. Però siamo riusciti a finirlo quest’estate ed abbiamo completato l’interno della casa.
Nelle strutture di accoglienza tutto procede, non ci siamo fermati. Chiaramente le attività non consentite non vengono svolte. Abbiamo fatto più volte i tamponi di controllo nelle due strutture ed alcuni di noi hanno già ricevuto il vaccino, in quanto le comunità sono categorie a rischio.
Riguardo l’Help Center, prima del covid-19 si poteva entrare nella struttura e fare una piccola colazione e riscaldarsi. Ora le persone vengono servite da fuori.
Dal punto di vista associativo, ci siamo ritrovati a fare le riunioni a distanza. Speriamo presto di tornare a farle in presenza perchè per un’associazione che si occupa di volontariato è fondamentale.
Quali sono i progetti che avete per il futuro?
Siamo diventati da poco ente accreditato per il servizio civile. E’ una grande cosa perchè il servizio civile fa toccare con mano i problemi della società e 4 ragazzi ora possono essere volontari da noi.
In più il progetto a casa Anawim è finito e non sappiamo la Caritas quale prossimo progetto ci proporrà, mentre casa di Benedetta deve essere ancora completata all’esterno.
Abbiamo un’idea che ci è stata proposta da alcuni ragazzi: aprire un centro per bambini con problemi cognitivi e del linguaggio e creare dei servizi di dopo scuola gratuiti.
Certamente l’altra prossima mission è espanderci con i numeri e raggiungere tante persone e volontari. Purtroppo siamo soggetti al problema che Reggio Calabria non offre lavoro per tutti, ad oggi abbiamo 4 soci fuori città, e ci vogliono forze fresche per portare avanti il nostro operato.
Come vi arrivano i fondi?
Attraverso le donazioni che possono essere effettuate una tantum o con cadenza mensile. Abbiamo dei donatori assidui che facendo donazioni periodiche ci aiutano moltissimo. Per noi anche la piccola cifra fa tanto. E’ anche attivo il 5×1000 e l’iban.
Il più delle volte i grossi fondi arrivano dai progetti, fondazioni e associazioni come la Fondazione Carical o l’associazione Eccomi e la Fondazione Benedetta è la Vita che continuano a sostenerci negli ideali e nei valori.
Abbiamo spesso organizzato auto finanziamenti ma per il covid ci siamo dovuti fermare.
In questo periodo abbiamo ricevuto anche donazioni esclusive per l’emergenza covid, non per i nostri progetti, con le quali abbiamo comprato mascherine, gel igienizzanti, bombole del gas, pagato le bollette di chi si trovava in difficoltà ed acquistato alimenti, oltre a distribuire quelli ricevuti dal banco alimentare.
Come può il nostro blog aiutarvi, a parte portarvi donatori? Avete delle idee da proporci?
Sul sito di Abakhi c’è una parte dedicata a Cosa puoi fare tu.
Offriamo la possibilità di venire da noi a trascorrere dei giorni e a fare le attività con noi senza pagare una quota di partecipazione. Dando la disponibilità di alcune ore a settimana, molte persone donano il proprio tempo ed esplorano il nostro territorio nel tempo libero. Noi ci attrezziamo in modo di dare un posto letto a tutti.
Questo è anche ideale per quei ragazzi che volessero scrivere la tesi di laurea sulle tematiche a noi a cuore e da noi trattate, tipo immigrazione e politiche sociali. E’ un modo per toccare con mano ciò che avviene nella vita reale.
Ringrazio Alessandro, Fabio e tutti i volontari di Abakhi per il loro assiduo impegno, per i loro nobili ideali e per aver dato una possibilità a molte persone in situazioni di marginalità e fragilità in una terra difficile come la Calabria.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni