Il Covid-19 ha modificato le nostre abitudini e i nostri stili di vita, anche in ambito lavorativo, costringendoci – nei casi possibili – a lavorare da casa.
Nei mesi scorsi abbiamo assistito ad una rapida accelerata della conversione al digitale di molti settori economici; e-commerce, digital delivery, web conference, video lezioni, video aperitivi sono solo alcuni termini e attività entrati appieno nella vita quotidiana di tutti noi. Così come lo smart working.
Ci siamo chiesti quali possano essere gli effetti e i benefici dello smart working sul territorio, le imprese e i nostri stili di vita. Ma, innanzitutto, è bene fare chiarezza sul concetto stesso di smart working, spesso confuso con il “telelavoro” o “lavoro da remoto”.
Cos’è lo smart working
Secondo l’Osservatorio Smart Working
“Lo Smart Working, o Lavoro Agile, è una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda che si basa su quattro pilastri fondamentali: revisione della cultura organizzativa, flessibilità rispetto a orari e luoghi di lavoro, dotazione tecnologica e spazi fisici.”
Dunque, smart working non vuol dire semplicemente lavorare da casa o da qualsiasi altro posto, diverso dalla sede lavorativa (come nel caso del telelavoro); lo smart working è un concetto più complesso e ampio, che mette al centro il lavoratore, la persona, per ricercare un equilibrio tra vita lavorativa e personale, tra obiettivi del singolo e dell’azienda.
Per di più, mentre il telelavoro si configura come una vera e propria forma contrattuale, con regole precise e rigide su orari di lavoro, luogo di lavoro e strumenti tecnologici utilizzati, lo smart working, o lavoro agile, è un accordo tra azienda e lavoratore all’interno del rapporto di lavoro che offre molta flessibilità al lavoratore.
La Legge sul Lavoro Agile
In Italia esiste una legge che regola lo smart working, la Legge n. 81 del 22 maggio 2017 (anche detta Legge sul Lavoro Agile) che disciplina la materia su vari aspetti – diritti del lavoratore, controllo da parte del datore di lavoro, strumenti e modalità con cui eseguire l’attività – improntando tutto sulla flessibilità organizzativa e la volontarietà della parti.
Lo smart working, secondo la normativa, si basa su un accordo scritto tra lavoratore e datore di lavoro, i cui elementi cardine sono: la parità di trattamento economico e normativo, il diritto all’apprendimento permanente e le tutele in ambito di salute e sicurezza.
Gli effetti del COVID – 19
Durante la pandemia Covid-19 è stato agevolato l’utilizzo della normativa sullo smart working, permettendone l’adozione anche senza accordo preventivo.
Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano nel 2019, lo smart working in Italia riguardava 570.000 lavoratori, il 20% in più rispetto al 2018. Il Covid-19 ha rappresentato una svolta: il numero di lavoratori è aumentato raggiungendo, infatti, circa 8 milioni. In questi mesi, però, spesso non ci siamo raffrontati con il “vero” smart working, quanto con un’estrema forma di telelavoro, in cui i lavoratori non godevano di flessibilità e autonomia, essendo vincolati a lavorare da casa e, soprattutto, essendo considerati reperibili e disponibili 7 giorni su 7. Molti lavoratori si sono sentiti così ancora più stressati, demotivati e insofferenti.
Ma qual era la situazione in Italia e in Europa prima del Covid-19?
Lo smart working in Italia
In Italia, fino al periodo precedente al Covid-19, ad adottare lo smart working erano soprattutto le grandi imprese (58%), mentre restava bassa la percentuale di adozione nelle PMI (12%) e nelle Pubbliche Amministrazioni (16%). Anche per i lavoratori l’utilizzo dello smart working restava limitato a un giorno alla settimana e prevalentemente riservato ad attività di lavoro individuale.
Tra i casi di successo di uso dello smart working nel nostro paese si possono menzionare Vofafone, Microsoft, Nestlè e AXA, tutte grande imprese.
Lo smart working in Europa
In Europa lo smart working è sostenuto dalla risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016, ed infatti molti paesi europei lo adottano in maniera molto più efficace rispetto al nostro paese.
Tra i paesi che per primi hanno adottato lo smart working si trovano il Belgio, dove, pur non essendoci una normativa ad hoc, lo smart working è presente già dal 2005 sia nel settore privato che nel pubblico; l’Inghilterra, che già nel 2014 ha approvato la legge Flexible Working Regulation, e l’Olanda, che ha emanato il Flexible Working Act.
In Svizzera lo smart working coinvolge soprattutto il settore pubblico e i lavoratori ad usarlo sono pari al 25% del totale.
In Francia, invece, nel 2017 sono stati approvati alcuni decreti che riformano il lavoro rendendolo più flessibile ma ancora non esiste una normativa vera e propria sul tema.
Il South Working
In quest’ultimo periodo si sta poi assistendo ad un fenomeno molto particolare derivato dallo smart working: il south working, ovvero lavorare con aziende del nord Italia vivendo, però, al sud.
Recentemente il sindaco di Milano Beppe Sala ha affermato che è importante che i lavoratori tornino a Milano, così da permettere di far girare nuovamente l’economia nella città, che conta molto sul grande bacino di lavoratori che ogni giorno la popolano, producono e consumano reddito.
Le città del nord risultano ancora svuotate, mentre si sono ripopolate molte località del centro e sud Italia, con il ritorno dei tanti studenti e lavoratori che nel corso del tempo erano emigrati al nord per motivi di studio e lavoro.
Con il south working si sfrutta il potenziale offerto dallo smart working per contrastare il fenomeno del brain drain, dell’emigrazione dei talenti e dei tanti giovani del sud, che possono attualmente evitare di recarsi fisicamente sul posto di lavoro e svolgere la propria attività da remoto, nelle regioni natie.
Tra i vantaggi del south working per i lavoratori risultano sicuramente l’inferiore costo della vita al sud, la vicinanza dei propri affetti (questione non da poco in un periodo in cui siamo stati separati dalle persone a noi care e la cui vicinanza, in caso di costrizione in casa, permetterebbe un supporto concreto anche nella gestione della vita quotidiana; si pensi, ad esempio, ai genitori che lavorando da casa potrebbero avere supporto dai parenti nella gestione dei figli) e la possibilità di tenere uno stile di vita più a misura d’uomo, meno stressante.
Riguardo il primo aspetto, secondo i dati Istat, il costo della vita a sud è più basso in media di 900 euro al mese rispetto al nord. Gli affitti delle case sono ancora più bassi: si passa da almeno 1.600 € al mese per un appartamento di cento metri quadrati nel centro di Roma, a massimo 600 € per una casa delle stesse dimensioni nel centro di Lecce. Per non parlare del confronto con le case nel centro di Milano, in cui i prezzi di vendita arrivano anche a oltre 7 mila euro a metro quadro.
Il south working, tra l’altro, non è solo una tendenza recente ma è anche un vero e proprio progetto che ha preso vita in queste settimane per iniziativa di venti professionisti trentenni, che hanno coinvolto i comuni di Palermo e Milano, alcuni enti di formazione, enti di ricerca, aziende e lavoratori, per puntare sul rilancio del Sud proprio tramite lo smart working.
I benefici del south working e dello smart working
Il south working potrebbe essere un modo per mitigare e riequilibrare il forte divario tra nord e sud Italia, in termini economici ma anche sociali, consentendo un aumento della densità urbana in aree che, invece, pian piano, rischiavano di essere abbandonate.
E il rilancio del sud non accadrebbe a scapito del nord, continuando le aziende settentrionali a beneficiare della stessa forza lavoro. Come spesso si è detto, un sud più ricco e forte consentirebbe a tutto il Paese di beneficiare di maggiore coesione territoriale tra le diverse regioni, di un aumento della ricchezza e del PIL.
Più in generale, lo smart working consentirebbe di ottenere benefici economico-sociali enormi, in termini di qualità della vita, aumento di produttività, minore traffico e minore inquinamento: sempre dalle ricerche dell’Osservatorio Smart Working emerge che le imprese potrebbero raggiungere un incremento di produttività di circa il 15% per lavoratore, e che a livello di sistema Paese significano 13,7 miliardi di euro. Per i lavoratori, anche una sola giornata a settimana di lavoro agile può far risparmiare in media 40 ore all’anno di spostamenti che, in termini ambientali, determinerebbero una riduzione di emissioni pari a 135 kg di CO2 all’anno.
E i contro?
Tra i contro che vengono spesso sollevati, potrebbe esserci l’assenza di contatto umano determinata dallo smart working, la quale, però, potrebbe essere facilmente risolta costruendo una cultura aziendale che sappia creare momenti di aggregazione tra i lavoratori, anche in contesti virtuali.
Molte aziende nel mondo stanno infatti ritenendo che i benefici derivanti dallo smart working possano essere maggiori dei contro. Jack Dorsey, a capo di Twitter, ad esempio, ha dato la possibilità ai dipendenti di lavorare da casa per sempre. Cisco o Microsoft, invece, adottano lo smart working già da anni e da tempo puntano alla realizzazione di momenti di team building e aggregazione per lo sviluppo e il mantenimento del lato umano e sociale dell’attività lavorativa.
Cosa ci riserva il futuro?
Sicuramente dal periodo del Covid-19 abbiamo imparato l’importanza del digitale in molti contesti della nostra vita, lavorativa e familiare. In tema di lavoro agile, la pandemia ha rappresentato un importante test per l’organizzazione delle attività lavorative, private e pubbliche. Bisogna però ancora fare passi avanti e orientarsi verso la vera forma di smart working, che richiede una trasformazione dei modelli manageriali e dell’intera cultura delle organizzazioni. L’impegno, per le aziende di ogni settore, dovrebbe essere far sì che i lavoratori possano avere maggiore autonomia nella scelta delle modalità di lavoro, imparando a lavorare con orientamento ai risultati. Sicuramente una trasformazione culturale di questo tipo non poteva avvenire in tempi rapidi, durante la pandemia, ma partendo da oggi può e deve essere supportata, considerati i benefici enormi che ne deriverebbero, per le persone, per l’economia e per i territori.
Aggiornamento: in sede di conversione del decreto Rilancio è stata estesa l’applicazione dello smart working. Fino al 31/12/2020 – data fino alla quale è prorogato lo stato di emergenza per il Covid-19 – si incentivano le aziende private a continuare in smart working, mentre la pubblica amministrazione manterrà in lavoro agile il 50% dei propri dipendenti (portandoli al 60% nel 2021).
Articolo già pubblicato in versione ridotta sul Quotidiano del Sud – l’Altravoce dell’Italia di lunedì 13/07/2020