Come lo smart working può cambiare il paese, gli stili di vita e il territorio

I risultati del questionario

Lo smart working in Italia ha subito un’accelerata prima inimmaginabile, ma come lo stiamo vivendo? E come potrebbe incidere sulla redistribuzione della popolazione e delle risorse economiche tra le diverse regioni?

Questo era l’assunto del questionario che abbiamo somministrato nei giorni scorsi a un campione di 56 persone, costituito al 96% da giovani tra i 18 e i 35 anni.
Dalle risposte è emersa coerenza con quanto prima esposto in tema di smart working, di seguito trovate l’approfondimento sui risultati.

DATI QUANTITATIVI

CARATTERISTICHE DEL CAMPIONE

SMART WORKING

DATI QUALITATIVI

Le risposte più interessanti sono state date alle domande aperte, che hanno permesso di comprendere l’esperienza personale e la percezione che il target ha in merito allo smart working.

VANTAGGI E OPPORTUNITA’

Innanzitutto, si è propensi nel pensare che lo smart working possa essere uno strumento per ripopolare zone d’Italia a rischio spopolamento e ad accrescere l’economia delle regioni del centro-sud, senza che ciò possa danneggiare le regioni settentrionali (che, anzi, secondo il 42% del campione avrebbero molto da guadagnare dalla trasformazione manageriale delle proprie attività lavorative).

Per quanto tutto il campione si è rivelato concorde sui grandi benefici che deriverebbero per il nostro Paese da un uso più costante, mirato e ponderato dello smart working, non ha però molta convinzione sul fatto che l’Italia sia pronta a convertirsi appieno a questo modello di lavoro.

Tra le risposte, tra l’altro, spesso è emerso il tema dell’importanza di efficientare a monte la digitalizzazione dell’Italia, riducendo il digital divide, a cui solo successivamente può far seguito l’utilizzo dello smart working.

Molti sono poi d’accordo sulla necessità di realizzare il “vero” smart working, non il mero telelavoro, offrendo autonomia e flessibilità ai lavoratori e focalizzando l’attività sui risultati. 

La paura principale emersa, invece, è quella dell’alienazione delle persone, mancando nel lavoro da casa la componente dei rapporti interpersonali. Per tal motivo, pesso, tra le risposte, sono emerse proposte sull’alternanza di giornate lavorative da remoto e in sede e sulla creazione di momenti di incontro.

TESTIMONIANZE

Di seguito trovate una gallery con le risposte più interessanti che abbiamo ricevuto, prima però riportiamo due testimonianze raccolte da parte di due ragazzi italiani residenti all’estero.

Il primo, residente in Belgio, già da prima del lockdown lavorava con contratto regolare di smart working, per cui non ha trovato eccezioni alla sua attività lavorativa. “Qui il lavoro viene visto come aspettative e come obiettivi: il posto in cui li raggiungi conta poco”.

Il secondo, residente a Londra, ha affermato che lavorerà ancora in smart working fino al 31 agosto ma successivamente è probabile che nella sua azienda cambieranno modo di lavorare, poichè da una statistica interna è emerso che solo il 6% dei lavoratori è favorevole a rientrare in sede. Si tratta di una realtà molto organizzata, che punta anche al mantenimento dei rapporti umani tra i lavoratori e al team building, prevedendo, ad esempio, oltre ai meeting lavorativi, anche incontri di socialità, quali bevute in compagnia, “chiaramente in smart anche quelle”.