La letteratura è donna

Uno dei pregiudizi che accompagna da sempre le discipline del sapere risiede nella convinzione che le materie scientifiche – anche note con l’acronimo STEM (Sciences, Technology, Engeneering and Mathematics) – siano la scelta più consona per gli uomini e che quelle umanistiche siano invece prerogativa delle donne.
Gender equality, gender gap e leadership femminile sono tematiche che attraversano ogni campo. E se è vero che la società tutta trarrebbe beneficio dall’avere più donne in ruoli chiave, bisogna sottolineare la necessità di osservare il problema da un altro punto di vista: e se la soluzione fosse attrarre le donne alla base della piramide sociale, affinché esse contribuiscano a costruire non solo i vertici ma anche le fondamenta del mondo in cui viviamo?

A ben pensarci uno dei settori in cui questo accade è la letteratura. L’elenco delle donne letterate è lungo, fitto di nomi e volti che hanno segnato tappe fondamentali della letteratura italiana. Ma quante di queste compaiono nelle antologie letterarie? E non mi riferisco certo agli scarni trafiletti di alcuni tomi che spesso mancano persino delle foto. Durante i lunghi anni scolastici la presenza femminile passa in sordina, spesso addirittura inosservata. Eppure le donne hanno scritto, da sempre, grandi opere al pari dei colleghi uomini. La prima poetessa della storia italiana fu Sulpicia e visse nel I secolo a.C.: il Corpus Tibullianum contiene sei dei suoi biglietti d’amore. Nel Medioevo le donne scrivono nei conventi oppure nelle corti, come nel caso rispettivamente di Caterina da Siena – autrice di orazioni, lettere politiche e del Dialogo della divina Provvidenza – e di Christine de Pizan, nata a Venezia e naturalizzata francese, autrice dell’invettiva contro la misoginia dal titolo “La città delle dame”. E poi ancora Giulia Bigolina, autrice del romanzo “Urania”; l’esperienza dell’Accademia di Arcadia che contava ben 450 socie portata alla luce nel 2002 da Tatiana Crivelli con “La donzelletta che nulla temea. Percorsi alternativi nella letteratura italiana fra Sette e Ottocento”; Caterina Franceschi Ferrucchi, educatrice e autrice dell’opera “Dell’educazione morale della donna italiana” incentrata sull’educazione femminile. Occorre ricordare infatti che solo nel 1874 fu data la possibilità alle donne di iscriversi ai licei e alle università. Inizierà così il periodo di grande fermento e cambiamento che porterà alla nascita dei movimenti dell’emancipazione femminile e porterà all’attenzione del grande pubblico nomi e opere dal valore inestimabile.

Come l’autobiografico “Una donna” di Sibilla Aleramo, testo fondamentale per il femminismo italiano per via dell’analisi che l’autrice fa sulla condizione della donna attraverso il racconto della sua stessa storia. Dalla maternità alle ambizioni, fino alla necessità di salvare sé stessa lasciando marito e figlio. Per la prima volta in un’opera letteraria, inoltre, chi scrive narra uno stupro in prima persona.
Riflettendo e approfondendo la letteratura del Novecento, sono tantissimi i nomi delle donne che l’hanno influenzata e cambiata nel profondo.

Come Grazia Deledda, prima e unica donna a vincere il premio Nobel per la Letteratura “per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”. Oppure Elsa Morante, cui mai sono stati tributati gli stessi onori riservati al marito Alberto Moravia, prima donna a vincere il Premio Strega nel 1957 con “L’isola di Arturo” e autrice di quello che possiamo definire senza esitazione il più grande romanzo italiano moderno, “Menzogna e sortilegio”. Morante fu autrice-crisalide, padrona sin da bambina di una vocazione alla scrittura che tradurrà in creazione e rielaborazione di topoi ricorrenti calati in uno stile mutevole, personalissimo, mai prevedibile, quasi funambolico.
E ancora Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Alda Merini, Anna Banti, Matilde Serao, Oriana Fallaci, Dacia Maraini, fino a Elena Ferrante. Nessuno sa chi si nasconda dietro questo pseudonimo da milioni di copie, eppure ha contribuito a riaccendere (oppure accendere, chissà?) definitivamente i riflettori sulla letteratura femminile. Che non è, badate bene, quella dei romanzi rosa dalle copertine pastello intrisi di stereotipi, simile ai romanzi d’appendice o ai feuilleton: quella portata avanti dalle scrittrici italiane è una letteratura di spessore, da considerare importante, che rivendica maggiore spazio negli spazi culturali e nei media. Guai a inquadrare le scrittrici come donne che scrivono cose da donne per altre donne e a vedere nella demografia che le vuole che i lettori siano soprattutto lettrici più di un dato statistico.
Le scrittrici italiane contemporanee, da Claudia Durastanti e Nadia Terranova, da Veronica Raimo a Rosella Postorino, da Teresa Ciabatti a Lia Levi, raccolgono l’eredità delle grandi autrici che le hanno precedute e nulla hanno da invidiare ai colleghi che scalzano dagli scaffali dei libri più venduti e nelle finali dei premi più prestigiosi.
Sono donne che parlano delle proprie esperienze intime e portano a galla gioie, tragedie, amori fugaci o insolitamente longevi, famiglie da scegliere oppure da buttare, fallimenti, social network, figli o non figli, corpi. Siamo innanzi a vere e proprie antologie dei sentimenti che, complice il periodo storico di profondi mutamenti e lotte, attivano una sorta di “legge del contagio”: più donne leggono queste donne, più donne vorranno diventare scrittrici. È un circolo vizioso che si alimenta tra le pagine, si diffonde su Twitter e Instagram e torna sugli scaffali.

Dove spesso non arrivano gli autori di antologie o le critiche, arrivano i lungimiranti lettori di questi anni, che riscoprono le autrici di ieri e diffondono le relazioni orizzontali di quelle dei giorni nostri.

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