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I diritti alla fine dell’arcobaleno

Com’è andato questo mese del Pride? Un resoconto sul mese di giugno e i diritti LGBT.

Esattamente cinquant’anni fa, New York fu teatro di violenti scontri tra la polizia locale e i movimenti LGBT, un punto di rottura dovuto alle continue incursioni e retate nei locali notturni omosessuali della città da parte delle forze armate.

La storia dei moti di Stonewall, ormai leggenda, vede il suo inizio ufficiale il ventotto giugno, quando Sylvia Rivera, la prima a reagire agli ennesimi soprusi degli agenti, ha colpito con una bottiglia il poliziotto che l’aveva pungolata col manganello. La donna transgender afroamericana, col suo gesto, incoraggiò gli altri a reagire e a dare inizio a una serie di azioni e manifestazioni che portarono alla nascita del movimento di liberazione gay, che si occupa di fare pressione e organizzare eventi che possano sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti arcobaleno. Da allora, quello che era inizialmente definito movimento gay, ha assunto connotati improntati a una maggiore inclusione di tutte le minoranze che volessero rivendicare i loro diritti e la libertà di essere se stessi senza paure e discriminazioni.

I moti di Stonewall

In onore di questi eventi, così significativi per la comunità lgbt, è stato istituito il Pride Month, rendendo giugno il mese in cui viene celebrata con orgoglio ogni diversità, in cui si sfila in parate organizzate che possano creare un ambiente sicuro per chi ancora si senta discriminato per le sue scelte sessuali, rivendicare i diritti di chi ancora non si sente tutelato nella società attuale e sensibilizzare sui temi che ancora generano dibattito creando e stimolando conversazioni tra i cittadini e le associazioni.

Quest’anno, la ricorrenza del cinquant’anni di Stonewall rendeva particolarmente importante focalizzarsi sui traguardi raggiunti e gli obiettivi ancora lontani. Il mese del Pride è iniziato in anticipo con i migliori auspici, con la notizia dell’elezione del primo sindaco transgender della storia d’Italia.

Gianmarco Negri, neosindaco di Tromello

Gianmarco Negri è stato eletto primo cittadino il 28 maggio 2019, con grande sorpresa e commozione per tutta la comunità lgbt. Il neosindaco di Tromello, in provincia di Pavia, ha approfittato della sua posizione per rendere nota la sua storia difficile, lanciando un messaggio positivo di speranza per altri giovani che come lui cercano il coraggio di accettarsi e farsi accettare nonostante i molti limiti della società italiana a rapportarsi alla comunità transgender, in primis dal punto di vista linguistico.

Molti quotidiani e giornali online, infatti, si sono riferiti a lungo a Gianmarco, usando il suo nome femminile e mostrato un’attenzione morbosa per i dettagli più intimi della sua transizione, ignorando aspetti ben più importanti riguardanti il percorso di accettazione che poteva essere- e in qualche modo è stato comunque- d’ispirazione per i giovani transessuali che hanno ancora difficoltà, in un simile contesto, a trovare modelli e supporto familiare che li aiuti in questa fase difficile di accettazione di sé.

Com’è andato, allora, questo giugno? Il mese del Pride ha registrato numeri impressionanti, eventi e pride organizzati in tutt’Italia hanno mostrato una partecipazione notevole. In particolare, per Milano Pride hanno sfilato trecento mila persone, abbastanza da riempire San Siro, dati che non possono essere ignorati e danno speranza su ciò che ancora si può fare, praticamente e politicamente, per affermare i diritti delle minoranze.

Eppure.

Il Pride è una festa, una festa per tutti, ma troppo spesso ultimamente si dimentica la sua connotazione attivista, sfiliamo per mostrare quanto siamo favolosi nella nostra diversità ma anche per dire “Noi esistiamo” “Non ci ignorate” “Non ci discriminate”, manifestando perché tutti abbiano gli stessi diritti. Partecipare attivamente significa anche creare un dialogo che permetta di dare voce a chi fa parte della comunità, di dare voce alle loro esigenze e mettere in luce le nuove tematiche da considerare quando si parla di inclusione.

Cinquant’anni sono pochi, i paesi in cui il matrimonio gay è legalizzato non sono ancora tanti e i tentativi di togliere quei pochi diritti acquisiti- che difficilmente trovano riscontro nella quotidianità, nonostante tutto- sono ancora troppi per adagiarsi sugli allori e pensare che “ormai il più è fatto, di cosa vi lamentate?”. E le prove di tutto ciò le abbiamo viste questo mese, il mese di giugno, il mese che vuole parlare di liberazione e inclusione, che vuole dare spazio a lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, asessuali, ecc, il mese in cui a farla da protagonisti sono stati: gli eterosessuali. Gli etero cisgender, per la precisione.

I principali confronti, ormai, avvengono su internet- ad oggi luogo fondamentale per partecipare a discussioni ed essere aggiornati sui temi che stanno davvero a cuore a chi, della comunità, può esprimersi al meglio solo in quel contesto. Un luogo di una influenza tale che molti politici, internazionali e italiani, ne hanno colto il potenziale e investito soldi e personale nella comunicazione social, riuscendo in molti casi a imporre la loro agenda politica e monopolizzare l’attenzione dei media tradizionali con una emoji scritta al momento giusto.

Twitter, Facebook e Instagram si dividono l’attenzione del pubblico interessato al pride e soprattutto all’anima dell’evento. Ma invece di stimolare dibattiti, lo spazio già stretto è stato completamente occupato da aziende e alleati.

Gli alleati sono coloro che sostengono attivamente i diritti e le iniziative della comunità lgbt, pur non facendone parte (perché sono etero e cisgender, ossia si identificano nel genere con cui sono nati), ma una categoria che non subisce discriminazioni non può prendere in mano il microfono e dettare le regole della festa, al massimo può tenerlo su e permettere, a chi un microfono non l’ha mai avuto, di parlare.

La tendenza che si è registrata attraverso diversi post, che pur con intento nobile, hanno attirato più attenzione di altri, è che l’inclusione urlata agitando la bandiera arcobaleno arroghi a tutti il diritto di parlare, anche quando non si è titolati a farlo.

Porterò degli esempi per essere più chiara, cominciando con una domanda: possiamo veramente parlare di discriminazione quando a sentirsi discriminata è una categoria privilegiata? Il senso di movimenti come Black Lives Matter in USA non è sminuire le violenze della polizia sui bianchi, ma riconoscere che vi è un razzismo così radicato che la statistica vede gli afroamericani come la categoria più a rischio, una minoranza che non viene tutelata, che ha bisogno di campagne specifiche per sensibilizzare e far conoscere una realtà che per chi è privilegiato non esiste. Il movimento femminista non può essere accusato di sessismo quando indica, statistiche alla mano, gli uomini come i principali autori di violenze sessuali sulle donne e di femminicidio, non vuole sminuire le violenze subite dagli uomini, ma mettere in risalto le disparità di una minoranza che ancora oggi non sente di aver raggiunto uguaglianza di diritti- giuridica, teorica, fattuale.

Dietro le ottime intenzioni di sostenere una categoria a cui si appartiene, si nasconde un protagonismo che danneggia il movimento e, come il movimento All lives matter (nato in contrasto al Black Lives Matter, qui per approfondire) impedisce che i veri detentori dei diritti vengano ascoltati. La massiccia presenza di aziende che per questo mese- e questo mese soltanto- ha colorato i propri prodotti con l’arcobaleno, senza avviare campagne concrete a favore della comunità lgbt, ha portato al pride “alleati” che mai prima di allora avevano mostrato interesse per la causa.

Caterina Balivo

Eterosessuali come Caterina Balivo, scelta come madrina di Milano Pride da un gruppo di organizzatori che devono essere stati terribilmente sbadati per aver designato al ruolo non solo una donna bianca cisgender- ignorando le numerose personalità lgbt che potevano lanciare messaggi più incisivi e positivi – ma anche una conduttrice che più di una volta ha mostrato atteggiamenti misogini e transfobici (qui le sue dichiarazioni su Diletta Leotta e qui le parole riguardo la femminilità di Vladimir Luxuria).

Una sbadataggine che è stata ferocemente attaccata sul web e che ha imposto un ripensamento degli organizzatori che, nel dubbio, una madrina non l’hanno più scelta.

Non solo, a trovare eco sui giornali e in radio, sono state le storie su Instagram di Stella Manente, influencer e modella che, bloccata per strada dalla manifestazione tenuta a Milano, ha inquadrato la folla mostrando il suo sdegno e invocando Hitler. Una serie di esternazioni che sono state accompagnate da scuse ancora peggiori che le hanno dato ulteriore risonanza oltre a, sono sicura, procurarle qualche invito in un salotto televisivo in autunno.


E dove sono le voci di lesbiche, gay, bisessuali? Non pervenute. Coperte dall’esibizionismo di chi ruba microfoni che verranno smontati a fine mese. Ormai siamo bravi a spiegare perché il Pride non è una “carnevalata”, sarà difficile rivendicare il giusto spazio per le persone che davvero hanno bisogno di quel mese e di quella festa, per non dimenticare a chi è rivolta. Non puoi mostrare atteggiamenti transfobici e partecipare al pride, perché fu una trangender a scagliare la prima bottiglia, non puoi essere misogino perché fu una donna, non puoi essere razzista perché Sylvia Rivera è afroamericana, ma non puoi neanche- da eterosessuale cisgender- prendere tu in mano la bottiglia e scagliarla per lei, perché non è il tuo compito, non è la tua lotta, la tua lotta è dire ogni giorno che fa bene a esistere una Sylvia Rivera e contrastare chi non riconosce i suoi diritti, non cercare la loro approvazione. Non si lotta solo a giugno, solo al mese del Pride, si lotta tutti i giorni dell’anno, finché ognuno si sentirà libero di essere se stesso.