Global Climate Strike: salviamo il pianeta!

In questi giorni Greta Thunberg si trova in Italia per incontrare il Papa ed esponenti politici per discutere con loro dell’impellente problema del Climate Change
E’ ormai superfluo fare presentazioni su Greta, questa giovane ragazza svedese che ha letteralmente movimentato il mondo intero con la sua lotta alla sensibilizzazione contro il cambiamento climatico. La sua battaglia è iniziata più concretamente il 4 dicembre 2018, quando Greta ha parlato ai microfoni del vertice COP24 per il clima, davanti ad una platea di capi di stato e ministri di tutto il mondo. Greta si è resa famosa per i suoi Fridays for future: dopo aver saltato la scuola ogni venerdì, manifestando sotto il parlamento svedese affinché i governi facessero qualcosa di serio per fermare il surriscaldamento globale, ha fondato il movimento a cui hanno aderito molti giovani da tutto il mondo.

Greta grida al mondo che “per il clima non c’è più tempo anche gli adulti devono agire”. 

FONTE:https://www.linkiesta.it/it/article/2018/12/08/questa-ragazza-si-chiama-greta-thunberg-e-sara-lei-a-cambiare-il-mondo/40381/

Ad oggi, ogni venerdì in diverse capitali di ogni parte del mondo Greta marcia per combattere il cancro che sta – neanche troppo lentamente – distruggendo il nostro pianeta.

“Non mi fermerò. Non fino a quando le emissioni di gas serra non saranno scese sotto il livello di allarme”.

Se un giorno vinceremo la battaglia contro i cambiamenti climatici, non potremo non ringraziare questa testarda ragazzina svedese che con il suo berretto di lana e le sue trecce è riuscita laddove migliaia di scienziati e di attivisti avevano fallito, nonostante i loro grafici, nonostante i loro slogan.

Secondo uno studio effettuato dalla NASA, il 2018 è stato il quarto anno più caldo mai registrato ed è emersa una verità ineluttabile: la Terra si sta scaldando, anche e soprattutto a causa dell’enorme quantità di anidride carbonica immessa ogni anno nell’atmosfera a causa delle attività umane. La NASA, che conserva un registro che contiene i rilevi di temperatura degli ultimi 140 anni, evidenzia che l’anomalia nell’aumento della temperatura è chiaramente visibile nella progressione storica delle rilevazioni. Gli ultimi cinque anni sono stati i più caldi mai registrati nella storia, e 18 dei 19 più caldi si sono verificati a partire dal 2001. Gavin A. Schmidt, responsabile del gruppo di ricerca che ha condotto le ultime analisi, ha detto che: “Non stiamo più parlando di una situazione in cui il riscaldamento globale è nel futuro. È qui. Sta succedendo ora”.

Nell’ultimo quinquennio, la temperatura media globale è stata di oltre un grado celsius superiore rispetto alla media registrata negli ultimi decenni dell’Ottocento, quando le attività umane iniziarono a comportare l’emissione di maggiori quantità di anidride carbonica nell’atmosfera. Come altri gas serra, l’anidride carbonica impedisce alla Terra di disperdere correttamente il calore accumulato dai raggi solari, portando a cambiamenti del clima e a eventi meteorologici – come uragani, tempeste e periodi di siccità – più estremi di un tempo. Secondo i ricercatori, per evitare le peggiori conseguenze del riscaldamento globale, la temperatura media globale non dovrà superare i due gradi celsius, rispetto ai livelli preindustriali. Un rapporto dell’ufficio delle Nazioni che si occupa del riscaldamento globale ha fornito prospettive poco incoraggianti, specificando che il limite dei due gradi celsius potrebbe essere troppo ottimistico e che per evitare gravi conseguenze ci si dovrebbe mantenere sotto 1,5°.

Come hanno reagito i governi mondiali a questa preoccupazione?

In tanti hanno accolto il rapporto con scetticismo, preoccupazione, sgomento; ma anche con sorpresa, come se fosse una notizia quasi inattesa, un grave allarme del tutto inaspettato. Tuttavia, il primo rapporto dell’IPCC è del 1990 e la prima Conferenza delle parti sui cambiamenti climatici (COP) è del 1995, quando le modifiche climatiche indotte dalle attività umane erano già iniziate da tempo portando alla situazione corrente. Ciò che caratterizza però la società, si può dire mondiale, è l’inspiegata indifferenza per il problema: i governi, dopo un primo alone di paura e preoccupazione, si “arrendono” assuefatti all’ineluttabile destino. Viene da chiederci, perché? E’ la stessa domanda che si pone Greta e che, grazie alle sue marce, iniziano a porsi tanti giovani e tanti “grandi”. 
In realtà, nel 2015 oltre 190 paesi hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi sul clima, impegnandosi di ridurre le emissioni di anidride carbonica, sebbene ad oggi ci siano molti dubbi sul mantenimento delle promesse e sull’efficacia delle politiche implementate per farlo.
La commissione scientifica ha però recentemente esaminato oltre 6mila studi scientifici, arrivando alla conclusione che, se le emissioni di gas serra continueranno a questo ritmo, l’atmosfera subirà un riscaldamento di 1,5 gradi entro il 2040, facendo alzare sensibilmente il livello del mare – con il conseguente allagamento di molte zone costiere – e facendo aumentare la siccità e la povertà in molte zone del mondo. Un risultato che mette in discussione anche l’Accordo di Parigi del 2015, in cui si era stabilito di mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali. 

FONTE: http://theconversation.com/climate-change-has-left-some-weasels-with-mismatched-camouflage-97138

Il problema, credo, è che in molti ignoriamo quale sia la storia scientifica delle ricerche sui cambiamenti climatici, e da quanto tempo ne stiamo parlando anche a livello divulgativo. 
C’è troppa disinformazione sulla questione e forse troppa poca consapevolezza su quello a cui andiamo incontro nel breve periodo. 

Da quanto tempo l’opinione pubblica è davvero a conoscenza del riscaldamento globale per cause antropiche? 

Noi di Venti ci siamo fatti la stessa domanda e nelle scorse settimane abbiamo sottoposto Voi lettori ad un breve sondaggio: 

Global Climate Strike: salviamo il pianeta!

I risultati dell’inchiesta

Qui trovate il report con tutti i risultati dettagliati.

Il questionario era composto da 10 domande a cui ha risposto un campione di 51 utenti tra cui 16 maschi e 35 femmine, una metà aveva tra il 18 e i 25 anni, una buona parte aveva tra 25 e 50 anni e quattro persone erano over 50. A livello territoriale 9 erano del Nord, 16 del centro Italia, 23 del sud e 3 addirittura hanno risposto dall’Europa. In linea generale molti avevano terminato gli studi con il conseguimento di una laurea e altri avevano raggiunto la licenza media: comunque trattasi di un campione di soggetti che ha studiato e che quindi può intendere l’entità del problema e le possibilità che abbiamo di fronte.

In undici dichiarano di aver sentito parlare del Global Climate Strike e di condividerne il fine, tredici ne hanno sentito parlare solo di sfuggita e in ventisei ne vorrebbero sapere di più.

Abbiamo chiesto, poi, se sapessero farci un esempio di cambiamento climatico e queste sono state le risposte più frequenti: “innalzamento della temperatura, estati con temporali e temperature autunnali, lo scioglimento dei ghiacciai al Polo Nord, il surriscaldamento globale, la tropicalizzazione del mediterraneo, i dissesti idrogeologici, trombe d’ aria, l’effetto sera, le alluvioni”.

Alla domanda “Credi che la mobilitazione sociale possa contribuire a sollecitare i governi a prendere consapevolezza di quanto sta accadendo a livello climatico?” in molti hanno risposto di crederci ma di non avervi mai preso parte, in pochi poi vi partecipano attivamente e solo in cinque ritengono che la marcia sia del tutto inutile.

La domanda più pungente riguardava le motivazioni per cui i governi mondiali non si battono per salvaguardare il pianeta e attuare politiche anti-inquinamento: la maggior parte crede che vi siano interessi economici sottesi, altri ritengono non gli interessi la tutela dell’ambiente, e poi c’è chi ha affermato che “Permesso che il Pianeta avrà tutto il tempo che gli servirà per “rigenerarsi” e che invece sarà l’uomo a auto-distruggersi, la colpa non è dei governi ma di ciascuno di noi che non solo non è disposto a rinunciare alle “comodità” ma ne richiede sempre di altre, e spesso con connesso comportamento “menefreghista”. 

FONTE: https://clean.ns.ca/programs/youth-engagement/talking-climate-change-with-kids/climate-change-background-info/

Moltissimi soggetti, comunque, si dichiarano disposti a rendere il pianeta più pulito mediante alcuni accorgimenti e attenzioni da porre in essere nel quotidiano, tipo: seguire una politica più attenta riguardo la raccolta differenziata per produrre minori quantità di CO2, utilizzare quanto meno possibile l’automobile in città, non comprare (e dunque non usare e dunque non buttare) oggetti di plastica, essere rispettosi della natura quotidianamente, proporre ai comuni politiche di tutela dell’ambiente e sanzioni per chi non rispetta la raccolta differenziata (previo ottimo servizio di raccolta differenziata da parte dei comuni stessi), favorire la ” decrescita ” per ridurre l’ inquinamento e l’esaurimento delle materie prime, cercare di rimettere in sesto il trasporto pubblico per evitare di usare autovetture, applicare i Trattati Internazionali per l’Energia dal Sole, dall’Acqua(idrogeno), incentivare l’uso di mezzi di trasporto elettrici su strada, ma anche marittimi e aerei, realizzare le aree c.d. polmoni verdi, effettuare un controllo globale delle deforestazioni e, per quanto concerne gli inquinamenti, effettuare un controllo più severo sul conferimento dei rifiuti industriali e delle famiglie, e il confezionamento omogeneo di qualsiasi merce.

Occorrerebbe quindi attuare normative rigide sulla dispersione delle micro-polveri nell’aria da parte delle industrie, sullo smaltimento intelligente dei rifiuti con formule di riciclaggio all’avanguardia, creare una coscienza sociale mediante un’educazione civica severa del cittadino coadiuvata da sanzioni severe per i trasgressori.

Insomma, creare un passaparola a scopo “divulgativo” anche solo in un gruppo di amici può essere utile, perché a volte risulta più efficace prendere esempio da qualcuno che ci è più vicino rispetto a conformarci alle iniziative/imposizioni statali. 

A completamento della nostra indagine investigativa circa l’impatto sociale del climate change e le possibili soluzioni per contrastarlo, abbiamo chiesto il parere scientifico di un esperto
Di seguito riportiamo quindi la relazione del Dott. Alfonso Senatore, ricercatore dell’Università della Calabria nel “Department of Environmental and Chemical Engineering

Cosa dicono gli esperti – il parere del Dott. Senatore

Il tema del climate change è ampiamente studiato e dibattuto. Esiste al riguardo una letteratura (scientifica e non) sterminata e vi sono praticamente infiniti approcci e prospettive possibili per affrontarlo.

In effetti è improbabile che ogni singolo lettore di queste righe non abbia già sentito quantomeno trattare in una qualche sua declinazione l’argomento, anche ben prima dell’ondata generata dalla più che meritoria azione di Greta Thunberg. […] Il riferimento principale per un approccio rigoroso al tema è forse offerto dal Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), l’organismo delle Nazioni Unite per la valutazione delle scienze legate ai cambiamenti climatici. Questo panel di esperti produce periodicamente un dettagliato report (il quinto è uscito nel 2014, il sesto è atteso per il 2021/22) suddiviso in tre volumi relativi a: basi scientifiche; impatti, adattamento e vulnerabilità; mitigazione (è anche disponibile una opportuna sintesi per i “policymakers”, cioè i decisori politici).

Ogni tanto l’IPCC produce anche dei report speciali. L’ultimo ci suggerisce come agire per limitare il riscaldamento globale a +1.5 °C al di sopra dei livelli pre-industriali nel periodo 2030-2050, così come previsto nell’accordo di Parigi (poiché ormai il processo di riscaldamento globale non è più “previsto”, ma “in atto”, e si può solo provare a limitarlo). Un’altra fonte web interessante è il sito della NASA dedicato al climate change e al riscaldamento globale, in cui la questione è affrontata suddividendo, analogamente a quanto fa l’IPCC, tra evidenze, cause, effetti e soluzioni. Ed è questo il filo che sostanzialmente seguiremo.

Sostenere adeguatamente l’evidenza del riscaldamento globale è molto importante.

Nel tempo complesso in cui viviamo siamo travolti da valanghe di informazioni, dove trovano posto un po’ tutti, dai terrapiattisti ai sostenitori delle scie chimiche. Figurarsi se non c’è spazio per il cosiddetto negazionismo climatico, con relativi fake (alle nostre latitudini, ad esempio, è molto di moda un video che tira in ballo Carlo Rubbia). Quando questi fake trovano seguito tra giornalisti o, ancora peggio, tra capi di stato (magari dello stato più potente del mondo), la situazione diventa seria. Navigando sul sito della NASA, il primo elemento che balza agli occhi nella sezione relativa alle evidenze è un grafico che mostra una impennata impressionante del contenuto di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera negli ultimi decenni.

Sentiamo parlare di continuo di innalzamento di temperature su terre emerse ed oceani, di ghiacciai che si ritirano, di livello del mare che si alza, del susseguirsi di eventi meteorologici estremi, ma il dato importante, che rende la situazione che stiamo vivendo unica, è questo: l’elevata concentrazione di CO2 (e di gas serra in genere) in atmosfera.

Quale sia il reale impatto di questa situazione non è mai stato sperimentato in centinaia di migliaia di anni, lo stiamo iniziando a verificare adesso, ne saranno ben consapevoli i nostri figli. 

Ma perché il dato della concentrazione di CO2 è così importante? Perché si tratta del principale gas che induce il cosiddetto effetto serra. Grazie alla presenza dei gas serra in atmosfera una quantità sufficiente dell’energia termica irradiata dal sole viene trattenuta sulla Terra e ci permette di vivere alle temperature cui siamo abituati.

Se non ci fosse l’atmosfera, avremmo una temperatura media della Terra intorno a -20 °C! Dunque, l’effetto serra è di per sé un fatto positivo. Questo processo è però molto delicato. Quando la concentrazione dei gas serra inizia ad essere troppo elevata, l’atmosfera “intrappola” troppa energia ed inizia a surriscaldarsi, dando luogo ad una serie di effetti (retroazioni) molto complessi. I fenomeni indotti possono essere riprodotti, ed eventualmente anche previsti, tramite l’utilizzo di modelli numerici che simulano le dinamiche climatiche a livello globale.

Tali modelli non solo confermano che il global warming è da collegare all’incremento dei gas serra, ma provano anche che la velocità con cui sta avvenendo il cambiamento climatico non è spiegabile se non considerando anche la cosiddetta “forzante antropogenica”. I numerosi modelli sviluppati non sono in grado di simulare correttamente l’aumento di temperatura osservato senza considerare il contributo dell’uomo all’incremento della concentrazione dei gas serra in atmosfera, in particolare a partire dalla metà del XX secolo. In altre parole, citando l’IPCC “è estremamente probabile che l’influenza umana sia stata la causa principale del riscaldamento osservato dalla metà del XX secolo”.

Se la causa del climate change è da ricercare nella mutata composizione dell’atmosfera, gli effetti sono ben visibili sulla terraferma e sugli oceani.  Lo scioglimento dei ghiacci (il cosiddetto passaggio a nord-ovest è ormai una realtà) contribuirà ad un possibile innalzamento del livello medio del mare fino ad oltre un metro, con una serie di preoccupanti conseguenze per molte comunità costiere in giro per il mondo. L’agricoltura, e quindi la possibilità di soddisfare le esigenze alimentari di una popolazione sempre crescente, subirà (per molti versi già subisce) conseguenze importanti.

Il nesso tra cambiamento climatico, guerre e migrazioni inizia ad essere rilevato con sempre maggiore evidenza.

La sfida del cambiamento climatico è dunque epocale. Affermare che delle soluzioni vanno cercate con urgenza è pleonastico. Tecnicamente, urge ridurre (mitigare) quanto più possibile l’immissione di gas serra in atmosfera, in particolare limitando (annullando, preferibilmente) l’alterazione del ciclo naturale della CO2, che è stata fissata nel corso di ere geologiche nei giacimenti di combustibile. La ricerca di fonti di energia alternative e rinnovabili sta ottenendo ottimi risultati, impensabili fino a pochi decenni fa. Anche per quel che riguarda l’adattamento delle comunità, grandi passi in avanti sono stati compiuti a vari livelli. I cambiamenti climatici sono diventati spesso un fattore che incide sulla pianificazione della difesa dai rischi ambientali, della conservazione e valorizzazione dei beni naturali e della protezione di energia e infrastrutture pubbliche. 

Tuttavia, il problema non è solo tecnico. Piuttosto, alla base c’è una fondamentale questione etico/politica, che investe i nostri stili di vita personali (si pensi ad esempio all’impatto della zootecnia, e quindi delle nostre abitudini alimentari, sul cambiamento climatico) ma soprattutto il nostro sistema economico/politico. È sostenibile ipotizzare un modello di sviluppo, “verde” finché si vuole, che per funzionare ha bisogno di crescere in continuazione? Questa visione ricorda molto certi tumori che, a poco a poco, invadono un intero corpo uccidendolo.

Lo stesso concetto di “sostenibilità”, usato non sempre a proposito, necessita in tal senso di una profonda revisione.

La consapevolezza che la rotta va cambiata, che il modello di sviluppo va cambiato, sta gradualmente prendendo piede. Ma si tratta di un percorso lento, inevitabilmente faticoso e certamente non indolore, perché interpella tutti personalmente e collettivamente. Tempo fa nelle piazze si gridava che “un mondo diverso è possibile”, poi si è aggiunto che è anche necessario. Pur senza cedere al catastrofismo, pare proprio che non sia possibile attendere oltre per declinare concretamente (e velocemente) queste parole d’ordine.

Iniziative come i Fridays for Future sono le benvenute da questo punto di vista e, c’è da augurarsi, un ottimo punto di (ri)partenza.

Cogliamo l’occasione per ringraziare il Dott. Senatore per il suo preziosissimo contribuito e, a conclusione di questo excursus sul cambiamento climatico, vi lasciamo un semplice decalogo per contribuire, nel vostro piccolo, a salvare il mondo:     

10 piccoli gesti per salvare il pianeta


1. Riduci il consumo di carne– la produzione di carne rossa, infatti, immette nell’atmosfera quantità di CO₂ fino a 40 volte superiori di quelle prodotte da cereali e verdure.
2. Riduci il consumo di latticini– per tenere in vita una mucca da latte ci vogliono grandi quantità di acqua e mangime; esse, inoltre, contribuiscono per il 28% alle emissioni di metano correlate all’attività umana.
3. Cambia le tue abitudini di guida– i veicoli a motore inquinano l’aria che respiriamo: evita l’uso dell’auto: torna a camminare, usa i mezzi pubblici, usufruisci del car sharing oppure pedala.
4. Fai caso a come usi l’acqua– entro il 2050, 5 miliardi di persone del mondo potrebbero sperimentare carenze di acqua: fai docce più brevi o chiudi il rubinetto quando ti lavi i denti.
5. Riduci il consumo di carta– il 40% del legname ricavato dal taglio degli alberi serve a produrre carta: passa alle bollette digitali, recedi dagli abbonamenti a riviste che non leggi più e scegli delle buste riutilizzabili.
6. Usa bottiglie riutilizzabili e contenitori per il pranzo– ad oggi produciamo circa 300 milioni di tonnellate di plastica ogni anno, metà della quale è usa e getta, di cui ogni anno 8 milioni di tonnellate vanno a finire negli oceani.
7. Fai attenzione a ciò che butti nella spazzatura – evita gli imballaggi multimateriale che non possono essere riciclati e fai la differenziata.
8.  Usa le buste per la spesa riutilizzabili.– le buste di plastica sono la principale minaccia per la vita degli animali marini.
9. Invece di acquistare, prendi in prestito o aggiusta.– l’arma più potente per aiutare l’ambiente è produrre meno spazzatura: per farlo, puoi e devi riciclare.
10. Per saperne di più vi consigliamo la visione di “Our Planet”, il nuovo imperdibile documentario a puntate di Netflix che racconta le conseguenze del riscaldamento climatico.

Dobbiamo, tutti insieme, lottare e salvare il nostro pianeta perché non si sta più parlando di preoccupazione remota per il mondo che lasceremo alle generazioni future, ma di quello in cui noi stessi ci troveremo a vivere da qui a dieci anni.