Una donna di carattere, certo.
Per la mia laurea, una delle persone che più stimo al mondo, mi dedicò questa frase: “Sempre sulle tue gambe, in direzione ostinata e contraria”. In effetti, nella mia vita, ho sempre fatto questo: ho sempre risalito la corrente opponendomi al flusso di idee, di pensieri, di obblighi e di “dovresti” che volevano affibbiarmi. Più volte, e da più uomini, mi sono sentita ripetere che, col mio modo di fare, col mio carattere troppo duro per una donna, non avrei mai trovato un compagno perché, quelle fatte così, sono ingestibili, quasi difettose. Mi sono sempre consolata guardandomi intorno. Di tipe come me, quelle dure, quelle che non sono abituate agli abbracci, quelle che danno aiuto ma sono restie a chiederlo perché “tanto ce l’ho sempre fatta da sola”, ne ho conosciute tante. Ecco, a quelle donne dedico questi pensieri perché io vi vedo, vi sento. Vi vedo quando girate la notte da sole perché avete la patente, una macchina e non avete paura. O meglio, so che avete paura ma so anche che avete imparato a combatterla perché non si sono mai offerti od offerte di darvi un passaggio. A voi non serve, siete donne indipendenti e ve la cavate da sole.
Vi sento quando dite “non fa nulla, non ci sono rimasta male” e invece ci siete rimaste male eccome ma dalle donne sole e forti ci si aspetta che nulla le scalfisca. Vi vedo quando vi trasferite in un’altra città alla ricerca di fortuna e non avete nessuno che vi porti le valigie perché, appunto, “faccio da me”.
Vi sento quando siete arrabbiate, quando maledite il giorno in cui avete scelto di essere indipendenti, ruvide e forti perché è una strada senza ritorno, perché lì sono terminati gli abbracci, perché da quel momento sono finiti i “ci sei rimasta male?”. So anche che, spesso, in un misto di invidia e acrimonia, vi scagliate contro quelle che, diversamente da voi, hanno sempre chiesto aiuto, sono sempre rimaste impaurite e indifese, perché di loro si curano; a quelle donne domandano sempre come stanno, se ci sono rimaste male, se si sono fatte male perché, loro, sono fragili. Voi no, loro sì.
Vi vedo pure quando, mentre aprite il portone di casa, vi girate per vedere se lui o lei sta attendendo di vedervi sane e salve dentro l’atrio e soffro con voi quando vi rendete conto che la macchina è già ripartita, oppure, che non c’è mai stata.
Vi sento quando combattete per i vostri, per i nostri diritti e avreste voglia, come ogni guerriero che si rispetti, di trovare riparo tra le braccia di qualcuno che “qualcuno” non è mai ma ha nome-cognome-codice fiscale e quel “qualcuno” lì non c’è perché siete compagne definite scomode mentre Lei (reale o inventata che sia, nella nostra testa c’è sempre una Lei che è pure più bella, più simpatica e soprattutto più bisognosa di voi) si crogiola nella sua presenza.
Soprattutto, più di ogni altra cosa, vi sento quando vi concedete quel momento per piangere, sì, voi che non piangete mai ogni tanto sentite il bisogno di inumidire le guance anche solo per ricordare come si fa ma sempre, rigorosamente, lontano da occhi indiscreti.
Ecco, volevo dirvi che io vi vedo e vi sento. Vedo e sento questa legione di moderne Valchirie che avanzano “in direzione ostinata e contraria” per cercare il proprio “Io”, il proprio posto nel mondo senza l’altrui aiuto. E vorrei cullare la vostra, la nostra solitudine come si fa con i bambini piccoli, per addormentarla e per permetterle di sognare. Vorrei asciugare le vostre lacrime, quando siete sole in quelle dannate stanze, e dirvi che, tutto sommato, ci è andata pure bene che se fossimo nate in altri tempi staremmo già bruciando sul rogo. Vorrei sapeste che, se fossi Lui o se fossi Lei, io vi amerei e vi sceglierei perché amare una donna indomita è un’esperienza totalizzante ma so pure che può far paura perché, secondo loro, una donna che non ha bisogno di te è una donna che può deviare la propria strada da un momento all’altro. E tanti, tante, hanno invece la necessità di instaurare un rapporto di dipendenza con la donna che hanno accanto per essere sicuri e sicure che, quella donna, non se ne andrà mai. Eppure l’Amore non è bisogno, è condivisione e, più di ogni altra cosa, loro non hanno capito che, proprio perché non avete padroni se non voi stesse, amate con la lealtà di cui è capace solo chi sceglie di amare. Ecco, forse, anch’io vorrei qualcuno ad asciugare le mie rarissime lacrime perché non ricordo, o forse non so, cosa significa appoggiarmi a qualcuno. Questa lettera d’amore, perché d’amore si tratta, la dedico a Voi, donne che “nessuno vorrebbe mai accanto”: io vi scelgo ogni giorno riservandovi la forma più pure d’affetto che conosco, l’amicizia. Io scelgo di avere voi, amiche mie, nella mia vita perché amo la vostra determinazione, la vostra tenacia e il pudore che dimostrate quando sussurrate “ti voglio bene”. Scelgo la purezza dei vostri sentimenti, il candore del vostro dolore e il tepore della vostra solitudine condivisa perché so quanto significhi per voi un abbraccio o un gesto d’affetto, per noi che, come cani randagi, non siamo abituate alla gentilezza dell’essere umano e questo ci ha rese adorabilmente spigolose, dure, fredde. Ecco, non ho l’amore di Lui o di Lei da darvi ma vi dono quello che ho di più prezioso: la mia attenzione. Io vi vedo e spero, prima o poi, che incroceremo lo sguardo di “qualcuno” ad attenderci mentre si chiude il portone perché indipendenti sì ma, in fondo, bisognose di amore più di tante altre. Nel frattempo, incroceremo i nostri di sguardi, mentre si chiude il portone e mentre affrontiamo la vita, in direzione ostinata e contraria.
“Acqua cheta rovina i ponti”.
Nessuna massima potrebbe riassumermi meglio. Sono irrequieta per natura, di quell’irrequietezza che non si sfoga in una vita di manifesti eccessi quanto in una di perenne flusso ideativo. Insomma: mi chiamo Angela ho 26 anni e non sto ferma un attimo, anche quando rimango seduta per ore a fissare un quadro. Un’altra cosa che penso possa valere la pena sapere su di me è che non sono mai così sincera come quando scrivo. Ecco, la scrittura è il mio personalissimo “vindica te tibi”.