Considerando quanti sono – e quali sono – i paesi orientali che di solito compaiono ai primi posti delle liste dei posti da visitare, mi sono sentita chiedere il perché di questa mia scelta; perché la Corea del Sud? E io rispondo: perché no?
La Corea, o il paese della calma mattutina, è un paese vivo, movimentato e dalle sorprendenti contradizioni che lo rendono appetibile agli occhi di una romana, abituata ad inciampare in sanpietrini e cocci dell’epoca antica ad ogni passo.
Ispirata dall’aver studiato coreano per un anno e dalla folta rete di università collegate alla mia, ho preso la palla al balzo e mi sono imbarcata (metaforicamente parlando) per la Corea.
Al mio arrivo mi ha accolto la famiglia di una mia amica, che mi avrebbe ospitato poi per la settimana successiva. Stare in casa di una persona a me già nota forse ha reso meno traumatico il trasferimento, se escludiamo l’influenza e il raffreddore che mi portavo da Roma e che mi ha fatto pentire amaramente di aver anche solo assaggiato il cibo piccante per cui il Paese è famoso.
Già nel primo mese mi sono vista scorrazzata in giro da nuove amicizie, coreane e non, passando per i templi Buddhisti, le case tradizionali (hanok), i mercati, gli stand di street food e i picnic in riva al fiume Han.
L’ambiente underground di Seoul
Quello che, però, mi è rimasto più impresso è stato l’ambiente underground di Seoul, caratterizzato da club, localini nascosti e outdoor stages dove si esibiscono gruppi pseudo famosi o interamente sconosciuti. Devo ammettere che, ad esclusione delle performance di strada, sono venuta a conoscenza di questi concerti per puro caso: era la classica situazione in cui l’amico-di un’amica-di un’amica dava una festa in uno di questi locali per il suo compleanno, e che non ci vai? Mai sia!
Contrariamente al k-pop (la musica pop coreana, da qui la “k”), che di solito ha un audience più giovanile e che spesso fa storcere il naso ad universitari e over 30, il cosiddetto k-rock e k-indie copre una fascia d’età più ampia e spesso è sconosciuto anche ai Coreani stessi.
Le particolarità dei coreani
Quello a cui magari bisogna un po’ abituarsi sono i modi di fare dei Coreani. All’inizio è meglio fare attenzione a non prendersi troppe confidenze, perché rischia di partire la classica lite al “chi sei tu e chi sono io”. Ma una volta che vi siete guadagnati la loro fiducia non vi si scolleranno più di dosso, vi prenderanno sotto braccio e vi porteranno per un weekend a casa della nonna (true story).
Un’altra cosa a cui bisogna fare attenzione è il differente metodo di studio utilizzato in Corea. Avendo frequentato un’università Americana, sono stata abituata fin dall’inizio della mia carriera universitaria che non esistono giochi di parole per convincere la persona che si trova di fronte a te che il tuo discorso è valido e che imparare a memoria ti serve a molto poco se devi applicare le nozioni imparate ad un contesto pratico o, addirittura, ad una simulazione. A causa della filosofia confuciana che permea ogni aspetto linguistico e culturale della Corea del Sud, in questo paese si ha la tendenza ad arricchire il discorso con una serie di fronzoli e giri di parole atti a far intuire il fulcro della questione senza essere costretti a dirlo espressamente, cosa che potrebbe essere considerata un atto di arroganza e maleducazione. Questo è valido anche in ambito universitario, sebbene in questo caso il fulcro del discorso venga enunciato alla fine di una serie quasi infinita di abbellimenti e voli pindarici che, in effetti, non aggiungono sostanza alla discussione. Inoltre, l’apprendimento è spesso basato sulla capacità mnemonica dello studente.
Un esempio pratico tratto dalla mia esperienza personale: per uno degli esami di fine semestre ho dovuto collegare ogni presidente Coreano alla rispettiva data di mandato e ad una foto. Potrebbe sembrare una cosa da niente, ma vi assicuro che per me che sono abituata a ricordare al massimo il cognome dei presidenti stranieri, il dover mettere in ordine cronologico una serie di presidenti omonimi dal punto di vista del cognome è stata un’impresa epocale. Ciò nonostante sono tornata a casa dopo questo semestre con i voti più alti che avessi mai preso nella mia carriera universitaria, quindi basta stringere i denti e abituarsi, velocemente, al diverso metodo di studio.
Grazie, Corea
Devo ringraziare la Corea per molte cose: per avermi fatto combattere la mia proverbiale timidezza ed avermi costretto a parlare coreano, che io volessi o no; per avermi fatto conoscere molti di quelli che posso orgogliosamente chiamare i miei migliori amici; per avermi fatto accettare il mio effetto sole-repellente e il conseguente pallore del mio incarnato, osannato in Asia ma massacrato nella terra natia; e per moltissime altre cose che non starò qui ad elencarvi.
In conclusione, vi consiglio di andarci, anche se magari non ci sono tante bellezze paesaggistiche quante in altri paesi. Uscite dalla vostra comfort zone e andate a provare le grigliate di carne offerte da locali che all’apparenza neanche i peggiori bar di Caracas. Provate gli hanbok, i meravigliosi vestiti tradizionali dai colori sgargianti ed i tessuti pregiati. Fatevi mettere in mezzo ad un concerto perché il cantante vi ha riconosciute e vi saluta sorridendo, incorrendo così nell’ira delle fan coreane (Okay, magari questo no! Ma avete capito cosa intendo).
Andate, miei prodi, e ditemi cosa ne pensate.
Nata a Roma, ma dotata di cuore e anima del Sud, è appassionata di musica, cinema, libri, manga, Asia. Fotografa dilettante, ma ambiziosa, e pianista per passione. Padrona di due gatti e una cucciolona su cui, prima o poi, girerà una serie TV.