Dove troverete un altro padre come il mio Rossana Campo Ponte alle Grazie Pagine: 160 Prezzo: 13 euro
‹‹Rossanì, tu non devi avere mai paura di niente nella vita, perché ricordati sempre che sei stata concepita sopra a un tavolo da biliardo!››
Così comincia.
“Bello!”, ho pensato. Non per la frase in sé, né tantomeno per l’atmosfera sfacciatamente osé – absit iniuria verbis – a cui rimanda.
Bello perché è curioso che qualcuno trovi un nesso causale tra le due parti del periodo, quel “perché” che, lasciato lì senza ulteriori spiegazioni, indica che per questo qualcuno l’essere concepito sopra un tavolo da biliardo abbia come conseguenza implicita la possibilità di non dover avere mai paura di nulla.
E questo qualcuno è Renato. E Renato è morto.
È così che Rossana Campo ci presenta suo padre. Uno che nell’allegria della goliardia più selvaggia trova giustificazioni a capacità sorprendenti.
Non lo chiama mai “papà”, però, se non una o due volte. Sempre “Renato”.
Viene da chiedersi se non sia per paura di contaminarne la descrizione: “papà” designa Renato in relazione a Rossana, “Renato” designa Renato e basta. Si, probabile, la spiegazione regge, ma è triste.
La spiegazione, l’incipit, la storia, le descrizioni, tutto volutamente triste.
È un romanzo profondamente spudorato, intimo e personale. Uno di quei lavori che ci si stupisce siano editi. Un diario.
Il ritratto che Campo dipinge di suo padre, come sempre accade quando si descrive con verità, è estremamente variegato, a volte persino contraddittorio.
Renato è un guru dell’anti-ipocrisia, un irresponsabile ubriacone, un giovane allegro e ottimista, un violento senza pari, un casinista, uno che si fa i debiti e li fa pagare alla moglie, un terrone che terroneggia sfacciatamente in un Nord che mal lo sopporta. Uno che procrea su un tavolo da biliardo.
Nonostante tutti gli episodi spiacevoli, poco condivisibili, che la scrittrice enarra del padre, ad ogni modo, l’unica emozione che ci si trova costretti a provare verso quest’uomo è la simpatia. Forse anche un po’ di pena, ma soprattutto la simpatia, perché è così che lo ricorda lei: con simpatia.
Sarà forse anche merito della sovversione sintattica e delle rotture grammaticali, un po’ “sporche, storte e scalcagnate”, che tanto ricordano Saramago e che sembrerebbero un manierismo se non fosse che l’autrice le incornicia in una tela di dialettismi meridionali; ma il mix di frasi storte è vero, funziona. Simpatico.
Campo alterna il ricordo infantile al dolore del presente, dolce nostalgia alla disperazione e allo sconforto, e li impasta con tutto e col contrario di tutto, con la gioia e col dolore, con benedizioni e maledizioni, con pensieri maturi in bambinate stilistiche, partorendo un mélange che commuove, fa piangere, rompe le scatole, poi fa sorridere ed addirittura ridere. Tragicomicità. Agrodolce.
‹‹Tu Renato, con l’alcol devi fare come se non esistesse più sulla faccia della terra, sennò addio, sei un uomo morto! E lui come sempre aveva detto sì sì, grazie dotto’, e dentro lo aveva mandato a farsi fottere, si era toccato le palle, e aveva ripreso la sua solita vita, la vita di Reian, che nessuno gli deve scassare ‘a uallera››.
Il riscatto del sorridere della sofferenza.
Calabrese, 21 anni.
Sempre occupato in estenuanti ricerche per scoprire se l’infatuazione che prova verso la carta stampata sia stata già catalogata come vera e propria patologia sotto qualche voce terminante in “-ite acuta”, cresce nell’era “ Tutti pazzi per la Rowling” e scansa per poco quella “ Amo Edward Cullen”.
Melanconico irrecuperabile, frequenta “il circolo dell’allegria” che vede militanti Leopardi, Schopenhauer e Zygmunt Bauman prima di Saramago e Calvino, ma non contento s’innamora della celeberrima soavità della lingua russa : Tolstoj, Turgenev e, soprattutto, Dostoevkij, a cui concede un 10 nella sua scala da 1 a 5.
“All’ombra delle fanciulle in fiore” conosce Proust , ed abbattuto da una perfezione stilistica che mai raggiugerà sfoga la sua frustrazione sul pianoforte, a volte a testate a volte a suon d’ Yiruma.
Ama il Mc Donalds e la pallavolo, odia la virgola tra soggetto e predicato e la falsità.
Ora vive a Roma.