Andrea Doro nasce in Sardegna nel 1986, è uno scrittore poeta e performer. Inizia a calcare i palchi con il “Poetry Slam Sardegna” nel 2012. Nel 2015 fonda il collettivo di letture pubbliche Grande Nave Madre nella città di Sassari, organizzando reading e altre performance poetiche e teatrali. Nel 2018 pubblica con la casa editrice romana Ensemle la raccolta Oggetti abbastanza smarriti.
Innanzitutto, cos’è uno “Slam poetry”?
I Poetry Slam sono delle meravigliose zone autonome poetiche, dei giochi che ti trasportano o ti catapultano nei più visionari degli universi paralleli. Lo Slam Poetry è anche una gara. È il momento in cui ciascuno di noi può avere i suoi tre minuti da protagonista su di un palcoscenico, un microfono davanti e la possibilità di lanciare il proprio barbarico “whoof!!” al resto dell’universo!
Chi può partecipare alla competizione?
Tutti, nessuno escluso, davvero.
Quanto fermento c’è in Italia per quanto riguarda i reading poetici?
Le letture di poesie si sono sempre svolte; secondo me, più che altro, c’è fermento per quanto riguarda la forma. Un reading di poesia può diventare uno spettacolo? In questa competizione, assolutamente sì!
Parlando di te, come ti sei avvicinato al mondo delle performance?
Mi ha sempre affascinato molto l’energia che si respira nei dintorni del palco, prima di tutto come vivendola da spettatore. Sono uno di quelli che va ai concerti e cerca di mettersi in prima fila, per riceverne la totale adrenalina.
Dalla tua biografia vediamo che ora vivi nel Cilento, ci parleresti del progetto che stai portando avanti e di quali sono le tue principali influenze?
Ho scoperto che mi piacciono i luoghi di confine, gli avamposti non ancora del tutto corrosi dalle metropoli. Per quanto riguarda il progetto, attualmente non ne ho uno specifico nei riguardi della poesia; anche se faccio parte di un laboratorio di teatro (Stare nel vuoto), posso dire che in qualsiasi posto vada o dove mi ritrovi a vivere per caso, cerco di instaurare delle collaborazioni, delle amicizie; i progetti poetici e/o musicali poi nascono di conseguenza. La poesia per me è un qualcosa messo di traverso davanti alla mia esistenza, quindi un po’ tutto il quotidiano prima o poi finisce per influenzarmi o per essere “cannibalizzato”; naturalmente ho degli approdi a cui ciclicamente faccio ritorno, per esempio un po’ tutta la beat generation, ma anche William Burroughs, Henry Miller, J.G. Ballard, Victor Cavallo, Antonio Moresco, Jean-Claude Izzo, Francesco Ghezzi, ma anche Gil Scott Heron, Saul Williams, Blixa Bargeld, Kae Tempest, Arooj Aftab oppure i libri di fantascienza/weird/horror, i quadri di Jeremy Mann, la fotografia di Jamel Shabazz, gli universi paralleli di Warner Herzog, etc.
Per farci toccare con mano ciò di cui stiamo parlando, ci lasceresti con uno stralcio di un tuo scritto?
Di recente ho cercato di spiegarmi tutta questa situazione pandemica globale che ci ha investito senza preavviso, il risultato è una serie di poesie più o meno lunghe intitolate: “Guerre Pandemiche”. Tutte le poesie sono leggibili gratuitamente a questo link.
Eccone uno stralcio:
tutte le mie prime volte
di qualsiasi cosa
oppure le parole lette nei libri
e i numeri delle pagine degli stessi
i traumi
gli incespichi
Le volte che ho provato vergogna
poi quasi sempre i passaggi successivi
l’attitudine interiore per superare le difficoltà
le euforie di quasi ogni mia sbronza
e trovarmi poi spesso a chiedere un parere oggettivo alle circostanze
ai marciapiedi
tutte le volte che ci ho sputato sopra
i miei occhi
il non avergli mostrato sempre tutto
l’anarchia
per tutte le volte che sono stato indifferente
tutte le storie a cui non ho dato una fine meno codarda
determinate circostanze
un dinosauro da compagnia
una nave spaziale in giardino
e un credito illimitato
forse in quanto essere umano
non dovrei prendermi troppo sul serio nei momenti di panico
cercare di assottigliare
questa mia cappa perenne
d’incertezza
ingigantire a dismisura ogni momento piacevole
l’intero universo il giovedì mattina
la mancanza di empatia
camminare nell’acqua bassa in mezzo alle alghe
ripetizione
routine
le giornate durano sempre e solo 24 ore
la costante e perpetua semplificazione
dei concetti complessi
le discussioni quando sento puzza di qualunquismo
tutte le mie intuizioni
i miei occhi coi tramonti
ogni volta che ne ho la possibilità
le passeggiate di nervosismo
ancora qualche volta
qualche cuore
con poche parole.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni